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In Italia. Lila denuncia: “Insufficienti le spese per la prevenzione”


22 LUG - Se lo slogan dell’edizione 2012 della Conferenza internazionale sull'Aids deve essere “Invertire la marea insieme”, allora il messaggio deve arrivare forte e chiaro non solo alla cittadinanza, alle associazioni e ai centri di ricerca, ma anche e soprattutto alle istituzioni. Ecco perché la Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids (Lila) nel fare suo questo motto e partecipare al cambiamento, ha una richiesta chiara per il nostro governo: quella di modificare, finalmente, le politiche di prevenzione delle infezioni da Hiv.

A maggior ragione dato che la fotografia che emerge dall’ultima Relazione al Parlamento del ministero della Salute sullo stato di attuazione delle strategie contro l’HIV e di cui una copia viene inviata all'UNAIDS, non è per nulla lusinghiero. L'unica spesa di prevenzione stanziata dall’Italia è indirizzata alla “comunicazione” – destinata esclusivamente alla promozione del test Hiv nella popolazione generale – per la quale nel 2011 nel nostro paese sono stati spesi complessivamente di 180 mila euro. A quanto scrive sul sito (www.lila.it ) l’organizzazione no-profit, i dati di confronto con altri Paesi possono aiutare a capire meglio cosa significa avere un piano strategico: in Germania (dati tratti dai rispettivi Country Report, pubblicati in questi giorni) per la prevenzione nel 2011 si sono spesi 29 milioni di euro (17 stanziati dal ministero della Salute e 12 dagli Stati federali); per la Spagna la spesa complessiva da parte del governo è stata di circa 15 milioni di euro, altrettanto è stato stanziato dalle Comunità autonome; in Svizzera la sola Confederazione (Cantoni e Comuni esclusi) investe ogni anno circa 10 milioni di euro.
 
Il dato italiano non è dunque all’altezza di quello degli altri paesi europei, che cifre che vanno da centinaia di migliaia di euro a diversi milioni per sviluppare anche programmi specifici per le popolazioni vulnerabili. In particolare in questo ambito l'Italia brilla per l'assenza di programmi di prevenzione destinati alle popolazioni più colpite, uomini che fanno sesso con altri uomini e lavoratrici del sesso, e per la completa assenza di strategie di promozione dell'uso del preservativo, o della riduzione di stigma e discriminazione per le persone che vivono con l'Hiv. E i riferimenti a generiche campagne per i giovani sono da ricondurre alle sporadiche iniziative delle singole Regioni. Una situazione che non ha eguali nell'Europa Occidentale. 
“In Italia semplicemente la prevenzione non si fa”, dicono dalla Lila. “In tempi di spending review pare che nessuno si renda conto che una fetta non indifferente della spesa sanitaria, circa mezzo miliardo di euro (per l'esattezza 470 milioni), se ne va ogni anno solo per i farmaci antiretrovirali, per un'infezione che può essere evitata. E si tratta di un calcolo sottostimato, che non tiene conto dei costi sociali e umani, e neppure dei costi legati alle cure necessarie per le patologie opportunistiche che possono colpire le persone sieropositive”.

Secondo l’organizzazione no-profit, inoltre, se uno dei temi cardine della conferenza di Washington sarà “Come rendere reale la rivoluzione che sta avvenendo nella prevenzione”, questo impegno difficilmente sarà trasferibile in un'Italia che non possiede né un piano strategico sull'HIV né un sistema di monitoraggio e valutazione del proprio operato. Il Piano nazionale di Prevenzione (generale, non riguarda solo l'Hiv) delega le Regioni, che per il 2012 hanno finanziato esclusivamente progetti di “educazione all'affettività e alla sessualità” nelle scuole. Oppure stanno utilizzando fondi destinati alla prevenzione  per adeguare i sistemi di sorveglianza epidemiologica (con incredibile ritardo peraltro, visto che la legge che li istituisce è del 2008). 
Altra nota dolente secondo Lila è il ruolo delle associazioni, lasciate troppo spesso sole: a diffondere informazioni e strumenti, a fare campagne anche innovative rivolte alle popolazioni più vulnerabili, a operare perché sia la popolazione generale che le persone sieropositive potessero essere consapevoli delle corrette pratiche sanitarie in tema di Hiv e Aids. “Se in questi 30 anni di storia anche italiana di Hiv/Aids la prevenzione è stata fatta, e anche bene, lo si deve solo alla società civile”, dicono alla Lila. “Abbiamo combattuto stigma e discriminazione in completa solitudine, contando solo sulle nostre forze”.
Anche in questo caso, nel confronto con i Paesi europei l’Italia perde, visto che come emerge dagli stessi Report nazionali nel resto dei grandi paesi del continente il ruolo delle associazioni è in generale riconosciuto e valorizzato: in Spagna sono stati stanziati quasi 4 milioni di euro per la community; l'Olanda ne versa annualmente circa 10; la Germania specifica nel documento che "la mutua e coordinata collaborazione di agenzie governative e non governative ha fatto della prevenzione dell'Hiv/Aids una storia di successo".
 
Per questo le stesse associazioni,che hanno contribuito alla stesura del rapporto per la parte che gli compete, hanno inviato all'UNAIDS anche una nota di accompagnamento. Lo scopo? Segnalare la risposta inadeguata di un Paese che ormai da molti anni non ha più la diminuzione delle infezioni da Hiv tra le proprie priorità nazionali, in netto contrasto con quanto dichiarato in sede ONU. “Anche questa marea va invertita. Ora. Chiediamo da subito più risorse per le associazioni, all'interno della strategie di prevenzione, e il loro riconoscimento come partner privilegiati di intervento”, scrivono ancora nel loro sito. “A maggior ragione dato che la prevenzione non è solo questione economica, ma soprattutto strategica”.

22 luglio 2012
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