16 NOV - “Il settore farmaceutico rende allo Stato molto più di quello che prende. Mi auguro quindi che ci tengano in considerazione. Il nostro valore è sotto gli occhi di tutti e siamo pronti a un dialogo proficuo”. Parola del presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi che in vista del 13° Forum Risk Management in Sanità che si terrà a Firenze, Fortezza da Basso, dal 27 al 30 novembre 2018, in quest’intervista fa il punto sul settore affrontando il tema dei farmaci biosimilari, industria 4.0 e le iniziative per il ricambio generazionale.
Presidente, avete da poco pubblicato un paper sui biosimilari, che conclusioni avete tratto?
Abbiamo voluto precisare la posizione rigorosa e scientifica dell'industria sui biosimilari. La conclusione è molto semplice: si dice che l'industria sia contro i biosimilari, ma non è vero, abbiamo sempre riconosciuto il loro valore
Però?
Però è importante sottolineare che sono simili e non identici ai farmaci biologici originali. All'origine di un biologico non c'è una sintesi chimica che già è difficile riprodurre, ma una cellula vivente che non può essere la stessa che sintetizza un biosimilare. La nostra posizione è che debba essere solo il medico a decidere quale sia quello più adatto. Dire che siano tutti uguali e optare per scelte di tipo economico non è giusto anche perché in realtà non è il biosimilare che fa risparmiare, ma la scadenza del brevetto. La scelta del medico deve quindi essere tutelata.
Quanto punta la ricerca sui farmaci biologici?
Ormai il farmaco biologico sta entrando in tutte le aree terapeutiche. Siamo quindi di fronte a un cambiamento epocale della ricerca, oltre il 50% dei farmaci e oltre il 70% di quelli oncologici saranno di origine biologica.
Avete da poco attivato il progetto Tris, di che cosa si tratta?
Si tratta di un Fondo di Solidarietà Bilaterale, previsto dal D.lgs. n. 148 del 2015, per gestire il ricambio generazionale. E’ stata fatta una ricognizione organica delle diverse normative sul lavoro (ammortizzatori sociali e sistema pensionistico in primis) finalizzata a specifici interessi di settore. Tra cui: ricambio generazionale, percorsi di innovazione delle organizzazioni aziendali e supporto alla riconversione e riqualificazione professionale dei lavoratori. Siamo industria 4.0 e per questo abbiamo bisogno di qualificazione e ricambio generazionale. Dal 2014 ad oggi abbiamo inserito 6mila addetti all'anno, la metà sotto i 35 anni, il 93% a tempo indeterminato. E' quindi giusto creare condizioni per il ricambio generazionale per facilitare la competitività e l'ingresso dei giovani, senza penalizzare chi è vicino alla pensione.
E come?
Attraverso una serie di prestazioni, finanziate, in alcuni casi, anche attraverso una compartecipazione di misure pubbliche (es. NaSpi), integrazioni aziendali e misure di cui è titolare il lavoratore (Ape Social e Rita). Quella più rilevante è il prepensionamento. Il meccanismo consente ai lavoratori a cui mancano 5 anni alla pensione di accedere su base volontaria alla prestazione e per ricevere una indennità, dell’importo pari al trattamento pensionistico calcolato al momento della cessazione del rapporto di lavoro, finanziato con misure pubbliche, integrazioni aziendali e su scelta facoltativa del lavoratore con indennità private di quest’ultimo. Un’integrazione al reddito sufficiente ad arrivare alla pensione senza gravare sullo Stato. Chi accede al Fondo Tris lo fa non per risolvere una crisi, ma per rinnovare il personale, il suo compito è facilitare l'ingresso dei giovani senza penalizzare chi lascia.
Quando sarà attivo?
Stiamo aspettando che venga emanato un decreto interministeriale a firma del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Manca quindi solo l'operatività, ma c'è già l'accordo con il Sindacato.
Come avete sfruttato le opportunità delle misure sull'industria 4.0?
Noi eravamo partiti ben prima, siamo già alla 5.0. Siamo riusciti a diventare il primo produttore di farmaci europeo, abbiamo agganciato la Germania e l'abbiamo superata.
Oggi è bellissimo poter dire che - anche in anticipo rispetto alle previsioni - siamo i primi.
Quanto vale il settore?
Il settore vale come produzione 31 miliardi, più altri 14 miliardi – tra industria e indotto – che vanno in investimenti, tasse e stipendi diretti. E dei 31 miliardi oltre il 75% è di export. Quando negli anni della crisi la produzione industriale generale faceva segnare -17% noi eravamo al +24%. E' il mercato estero ad averci trainato.
Quanti sono gli addetti del settore?
Impieghiamo oltre 65mila diretti e 66mila nell'indotto di cui il 42% sono donne. Nella ricerca sono 6.500: il 52% sono donne.
Cosa ha funzionato in particolare?
L'intelligenza, la qualità delle nostre risorse umane e la certezza delle regole. Pensi che prima, in 10 anni, ci sono state 44 manovre di tagli che non hanno mai consentito di elaborare un piano industriale. Negli ultimi anni c'è stata perlomeno un po' di stabilità.
E poi sicuramente la ricerca e lo sviluppo...
Abbiamo investito nell'ultimo anno circa 2,8 miliardi in ricerca, sviluppo e innovazione. Nei prossimi anni i Ceo delle principali aziende sono pronte ad aumentare gli investimenti a fronte di una stabilità.
Cosa si aspettano da voi le industrie?
Che venga valorizzato all'esterno e con le Istituzioni il loro valore.
Avete incontrato il nuovo Governo?
Siamo in attesa, perché vorremmo presentare le nostre idee e proposte. Il settore farmaceutico rende allo Stato molto più di quello che prende. Mi auguro quindi che ci tengano in considerazione. Il nostro valore è sotto gli occhi di tutti e siamo pronti a un dialogo proficuo.
Diego D’Ippolito
16 novembre 2018
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