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I medici dell’ospedale di Cosenza hanno ragione da vendere

di Ettore Jorio

Le ragioni della protesta ci sono tutte e risiedono nella storia che dimostra come si è sempre remato contro i diritti sociali. Ma anche contro quelli civili. In Calabria si fa di tutto perché non funzioni nulla e l’esempio più palese è rappresentato da un commissariamento della salute che ha fatto acqua sin dal suo esordio

07 GEN - La sanità in Calabria è stata sempre la bestia nera. Indomabile dai partiti divenuti pavidi e asserviti alle “cosche” politiche locali che li occupano e che ne determinano i successi. Feroce con i più deboli che vi soccombono quotidianamente, impauriti addirittura nell’esprimere la loro domanda di salute. Ingrata con gli operatori sanitari, soprattutto con quelli che spendono il loro sangue nelle corsie. Vile nei confronti di tutti quelli che non fanno il loro dovere percependo retribuzioni immeritate. Incapace (e spesso complice) nei riguardi di chi fa da tempo degli appalti la propria e l’altrui fortuna. Ispiratrice delle cooperative di lavoro che determinano l’altrui indebito successo elettorale. Generalmente assolta e/o molto spesso franca dei processi penali che, invece, le competerebbero.
 
In mezzo a tutto questo, il diritto alla tutela della salute sfacciatamente leso, nonostante preteso dalla Costituzione.
L’ultimo episodio dell’Azienda ospedaliera di Cosenza la dice lunga. Gli operatori sanitari, abbandonati da tutti (fatta qualche eccezione di tipo clientelare), indossano la “tuta blu” sui loro camici bianchi per protestare contro il sopruso che li vede costretti a non dare ciò che possono e vogliono: l’assistenza ai cittadini.
 
Non solo. Mirano giusto. Scolpiscono in una bellissima lettera, indirizzata e trasmessa al direttore di Quotidiano Sanità, le ragioni della loro iniziativa di protesta. Astensione dall’attività ambulatoriale per l’esterno e occupazione della città, nel senso di ivi manifestare, confrontandosi per le strade principali con chi sta bene, chi sta male e chi, comunque, ha voglia di stare meglio.
Le ragioni della protesta ci sono tutte e risiedono nella storia che, in una regione come la Calabria, dimostra come si è sempre remato contro i diritti sociali. Ma anche contro quelli civili.
In Calabria si fa di tutto perché non funzioni nulla. L’esempio più palese è rappresentato da un commissariamento della salute che ha fatto acqua sin dal suo esordio.
 
Un esercizio commissariale nettamente al di fuori delle righe della Costituzione, fatto con decreti che espropriano il Consiglio del suo ruolo legislativo, con quest’ultimo che osserva impietosamente incapace di reagire, salvo qualche rara eccezione.
Quanto alle decisioni di merito, non ne parliamo neppure. Una programmazione inesistente e una gestione retta da chi non sa che pesci prendere.
Per intanto ciò che c’è muore. Muoiono i presidi ospedalieri, come l’Annunziata di Cosenza, che hanno costituito il vanto della medicina calabrese. Muoiono gli altri che hanno garantito le periferie e i territori disagiati. Vengono buttate alle ortiche le professionalità maturate con tanta fatica e grazie a quelle genialità mediche che hanno fatto scuola. Viene messa sotto i piedi la dignità di quegli operatori che hanno evitato sino ad oggi il disastro.
 
Ciò che dovrebbe rappresentare il nuovo abortisce, quando va bene. Perché frequentemente non viene neppure concepito, nonostante ampiamente promesso e promosso. Tutto questo grazie ad un ufficio del Commissario costituito da chi è nuovo all’esperienza oppure è vecchio ma ha necessità di chiedere scusa per le rovine che ha fatto altrove. Da un ufficio commissariale che esercita prepotenze indebite, ottenendo espulsioni degli unici capaci, e che fa danni ovunque. Da una struttura che verosimilmente confonde la programmazione sanitaria, che non fa, con le campagne di guerra di un tempo, destinate a fare della moria dei servizi l’obiettivo prioritario.
 
Nel frattempo: i cittadini muoiono per le cause più banali; le collettività impaurite cercano rifugio altrove, generando una mobilità passiva che vale 250 milioni di euro; i medici ospedalieri sono fiaccati anche nelle speranze; le case di cura chiudono, salvo a riaprire attraverso metodiche procedurali tutte da chiarire, fatte apposta per taluni piuttosto che per altri.
 
Insomma è tutto un subbuglio nei confronti del quale ci si augura ci sia una presa di coscienza del Governo che decida di intervenire, finalmente, nell’interesse della Calabria e dei Calabresi tutti, e non già per salvaguardarne qualcuno che indegnamente rappresenta entrambi. 
 
Ettore Jorio
Professore di diritto sanitario presso l’Università della Calabria

07 gennaio 2014
© Riproduzione riservata

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