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Gli standard veneti per infermieri e oss. Metodologia vecchia e regressiva

di Ivan Cavicchi

Quanto introdotto con la delibera regionale non fa che brutalizzare la questione delle dotazioni organiche nel vecchio calcolo con il quale nel ‘69 si quantificavano gli organici di base degli ospedali. La grande differenza è che allora si era in una fase espansiva della sanità  e gli organici servivano a far funzionare gli ospedali, oggi  siamo in pieno definanziamento

07 GEN - La delibera del Veneto sulla “definizione dei valori minimi di riferimento per il personale di assistenza” in ospedale (QS 2 gennaio 2014) mi ha sorpreso e  fatto riflettere*. E’ un  “atto interno” senza effetti giuridici, a “costo zero”, che definisce dei “minimi” al di sotto dei quali non si potrebbe andare, che si propone come una innovazione metodologica e che definisce costi standard  quelli che sono semplici valori di riferimento.
 
Il presidente Zaia  ha spiegato così la ragione della sua delibera: “perché i costi standard non rimangano parole e carte, ma si traducano al più presto in realtà”. Contento lui contenti tutti con preghiera se è possibile di non esagerare con l’autoinganno. Su una cosa Zaia ha ragione, la sua delibera è “un provvedimento storico” ma nel senso  che essa ripropone una vecchia  metodologia per calcolare gli organici ospedalieri  introdotta esattamente 45 anni fa (DPR 128/1969 “ordinamento interno dei servizi ospedalieri”).
 
Questa metodologia “storica” ribattezzata dal Veneto  “tema” (tempo di erogazione minuti di assistenza) definisce i valori minimi di  tempo di assistenza ai malati  nelle 24 ore  distinti per aree assistenziali dai quali dedurre le dotazione organiche di infermieri e di oss necessari. Il Veneto quindi ha  semplicemente  aggiornato dei vecchi valori per la determinazione degli organici limitatamente a infermieri e oss. Giusto per dare una idea: se  nel 1969 per gli equivalenti  della medicina interna si calcolavano  120’, per l’assistenza  neonatale 420’, e per l’area critica 420’ oggi  tali valori diventano per le ragioni più diverse,185’, 350’, 700’. Ma nulla di più. 
 
Considerando  l’ambivalenza della nozione di “minimo”, non si capisce bene quale sia lo scopo reale del provvedimento. Il “minimo”  può  significare tanto una soglia invalicabile quanto un plateau  al  quale, in regime di blocco del turn over, riallineare a ribasso gli organigrammi. Tuttavia l’assessore Coletto  ci rassicura che : “sulla base dei minuti per giorno assegnati ad ogni singolo infermiere saranno i direttori generali a determinare il fabbisogno di personale ideale. Dove ci sarà, bene, dove mancheranno figure professionali, si assumeranno”.
 
In verità non si capisce  perché l’assessore Coletto auspichi  che questo “storico” metodo di determinazione delle dotazioni organiche  diventi legge in modo che “nessuno potrà sottrarsi ad applicare tutte le possibili pratiche virtuose”, quando è già legge da quasi mezzo secolo, come si evince, pur con qualche omissione di fonte, dai richiami legislativi della sua stessa delibera. Resta il dubbio: “l’ideale” sono per caso i valori minimi in luogo  di quelli ottimali? E’ forse disaggregare e non integrare gli organici per professioni separate?  E’ forse standardizzare gli organici di infermieri e oss al minor costo?
 
Siccome come dice la delibera, la definizione degli organigrammi è correlabile ai Lea, la questione da “tecnica” diventa “politica” perché organici minimi contribuiscono a definire una assistenza ospedaliera minima. Da par mio sarei  felicissimo se con questa delibera come dice il presidente Zaia si riuscisse ad “assistere a cinque stelle il paziente ricoverato”, ma il mio timore risiede nella banalizzazione nella frantumazione e nella vetustà della metodologia di standardizzazione. La metodologia descritta dalla  delibera  è molto impoverita: non sono dichiarate le “modalità” con cui viene costruito il parametro “minuti di assistenza”, né le variabili di tipo strutturale, tecnologico, relative alla complessità assistenziale e relative al modello organizzativo, né le forme di lavoro interdisciplinare, in base alle quali i minuti di assistenza possono essere modificati.
 
Le aree individuate  sono definite per “specialità” e non sono chiari i parametri  di intensità di assistenza, e poi mi sembra che rispetto alla normativa sui carichi di lavoro ci sia una regressione. Rammento che  per carico di lavoro si intende “la quantità di lavoro necessario, dato un contesto operativo e un periodo di riferimento, per trattare i casi che vengono sottoposti ad una unità organizzativa” (circolare ministeriale  23 marzo 1994). La misurazione dei carichi di lavoro nella norma richiamata  fa esplicito riferimento alla “domanda” e alle “condizioni di produzione dei servizi”, in quanto dipende dalle “esigenze degli utenti”, dalle risorse, dalle condizioni e dall’organizzazione complessiva dell’ospedale; dagli obiettivi della produzione.
 
Nella delibera del Veneto tutto questo manca il che vuol dire che la questione delle dotazioni organiche  si brutalizza nel vecchio calcolo  con il quale nel ‘69 si quantificavano gli organici di base degli ospedali: dato il numero di posti letto di degenza, si moltiplica per i minuti previsti dalla delibera, nelle 24 ore per paziente e si divide per i minuti il debito orario medio giornaliero del personale infermieristico e oss. La grande differenza è che nel ‘69 si era in una fase espansiva della sanità  e gli organici servivano a far funzionare gli ospedali, oggi  siamo in pieno definanziamento e gli organici, come sottolinea Zaia, sono  “una delle voci di spesa più elevate, sulle quali andrà posta attenzione totale”.
 
Chiudo osservando che: 1) mentre gli infermieri del  Veneto  ci informano sulle loro interessanti esperienze di “competenze avanzate” (QS  29 dicembre 2013; 3 gennaio 2014), nella stessa regione gli organici ospedalieri per l’infermiere e per l’oss  sono calcolati al minimo e non all’ottimo; 2) mentre tutto tende all’integrazione organizzativa  tra servizi e professioni si calcolano organici disaggregati, come se le professioni non lavorassero insieme; 3) mentre il criterio dei “volumi” in generale si tende a sostituirlo con quello degli esiti (Kaplan, QS 10 novembre 2013), il Veneto va avanti  con superate  metodologie volumetriche. Occhio… lo dico in particolare ai sottoscrittori della delibera…a volte, come si dice, le cose che sembrano belle possono  finire a coda di pesce.
 
Ivan Cavicchi
 
 
* Questo articolo è stato scritto prima  che io leggessi quello di Fabio Castellan che ho trovato di grande interesse e di grande puntualità e che conferma alcune mie perplessità sulla delibera. Non posso che compiacermi di questa sintonia.
 
Ps: all’ospedale  l’Annunziata di Cosenza la questione degli “organici” è diventata drammatica (QS 5 gennaio 2014). Medici e infermieri sono ormai alle prese con una funzionalità estenuata. Lottare come stanno facendo loro per garantire ai cittadini le  garanzie di cui hanno diritto , è un atto di responsabilità etica che mi sento di sostenere pubblicamente. Il “minimo” in sanità  non è curare con meno, non è avere meno di ciò che serve, non è  togliere senza mai aggiungere ma  è avere “abbastanza”. E’ ora di smetterla di  violare  le cure  violando le regole della loro sufficienza etico scientifica. Se il “minimo” non è adeguato allora  esso è un  diritto violato.

07 gennaio 2014
© Riproduzione riservata

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