Scompenso cardiaco in Puglia. Chronic care Model e Distribuzione di prossimità dei farmaci nel convegno di Quotidiano Sanità
In Puglia sono circa 80 mila persone con scompenso cardiaco. A fronte di una diminuzione generale dei ricoveri del 40% negli ultimi anni per lo scompenso cardiaco, il dato è invece cresciuto a +20%. Per far fronte a questi dati si è proposta la creazione di una rete regionale che coinvolga soprattutto il territorio e solo in piccola parte gli ospedali.
05 MAG - "Lo scompenso cardiaco sarà una patologia sempre più importante nel prossimo futuro. E' infatti in fortissimo aumento, soprattutto per ragioni demografiche ,e rispetto alle previsioni fatte negli anni novanta, stiamo constatando che la crescita si è dimostrata molto superiore alle attese". Questo l'incipit con cui
Massimo Iacoviello, UO Cardiologia del Policlinico di Bari, ha aperto i lavori delConvegno regionale sullo scompenso cardiaco "Le regole del cuore in Puglia" organizzato la settimana scorsa a Bari da
Quotidiano Sanità, in collaborazione con l'Associazione italiana scompensati cardiaci e con il contributo incondizionato di Novartis.
"In Puglia" ha quindi sottolineato Iacoviello "abbiamo censito circa 80 mila persone con scompenso cardiaco e tantissimi, purtroppo, con una vita costellata di ospedalizzazioni. Peraltro i dati parlano chiaro: a fronte di una diminuzione generale dei ricoveri di ben il 40% negli ultimi anni (da 900mila a 500mila/anno) per il Drg 127, quello appunto dello scompenso cardiaco, il dato è invece cresciuto a +20%". Numeri e valori che danno il polso di come questa patologia cronica, in crescita, costituisca un vero campanello di allarme sia in termini di spesa ospedaliera rispetto alle grandi possibilità di presa in carico che dovrebbe avere il territorio, sia in termini di qualità di vita dei pazienti che nel ricovero trovano sempre una parentesi traumatica della loro storia di malattia. Ci sono molti, troppi ricoveri, ha infine sottolineato il clinico "e purtroppo anche tanti ripetuti (circa il 29%): un punto sul quale dobbiamo necessariamente intervenire".
Come? lo ha spiegato e proposto il secondo relatore dell'evento,
Pasquale Caldarola, Direttore Utic dell'Ospedale San Paolo di Bari: "La nostra proposta, ha spiegato, prende il nome di "Rete regionale dello scompenso cardiaco" nel cui ambito l'ospedale deve rappresentare soltanto un piccolissima parte del percorso del paziente, il resto può e deve curarlo il territorio. E anche i numeri delle sperimentazioni in corso ci danno ragione. Su 300 pazienti seguiti in maniera coordinata tra ospedale, specialistica e medicina del territorio abbiamo registrato una diminuzione dei ricoveri di circa il 50%. E meno ricoveri significa meno costi e, soprattutto, maggiore aderenza alla terapia potendo godere il paziente di un'assistenza di prossimità più strutturata e frequente. L'acuzie" ha quindi concluso Caldarola "dovrebbe essere veramente una virgola nel poema che ciascun paziente scrive sulla propria malattia".
Un problema, quello dell'aderenza alla terapia, peraltro stigmatizzato dai clinici presenti facendo riferimento alla distribuzione diretta dei nuovi farmaci contro lo scompenso e che costringe pazienti e familiari a lunghe percorrenze stradali.
Un disagio che si somma ai tanti che già vivono questi pazienti e che al tavolo dei lavori sono stati molto ben rappresentati dai rappresentanti dell'Aisc, medici e pazienti, che hanno offerto la loro testimonianza. Tra questi
Domenico Scrutinio, cardiologo e membro dell'Associazione che ha ricordato quando nel 2016 il Ministero della Salute emanò il Piano nazionale delle cronicità. "Nelle sei patologie degli adulti è contemplato anche lo scompenso cardiaco che compare dunque per la prima volta in un atto di indirizzo ministeriale. Tuttavia" ha avvertito "alle regioni è demandato il compito di realizzare percorsi di cura efficaci e realmente fruibili dai pazienti. In Italia esistono tanti PDTA, scientificamente ineccepibili ma non con qualche criticità, specialmente laddove non contemplano le quotidiane esigenze del paziente e, soprattutto, il suo empowerment. Sono tre gli elementi chiave di cui bisognerebbe quindi tenere conto: 1) Medici e operatori sanitari devono ampliare la loro vision dei problemi con gli occhi e le esigenze dei pazienti; 2) Un salto di qualità in termini di innovazione organizzativa; 3) La creazione e razionale utilizzazione di una rete infrastrutturale tecnologica che permetta maggiori comunicazioni, con maggiore qualità".
"Se potete guarire, guarite; se non potete guarire, curate; se non potete curare, consolate…". Con la citazione della celebre frase di
Augusto Murri è quindi intervenuta
Enza Colavita, Rappresentante Aisc e responsabile Urp dell'Irccs della Fondazione Maugeri di Cassano secondo cui guarire, curare o almeno consolare è certamente uno dei ruoli fondamentali delle associazioni così come è altrettanto certo che i cittadini non possano più soltanto delegare alle istituzioni ogni scelta ma fare proprio un impegno maggiormente partecipativo e propositivo". Azione che bene è stata testimoniata dall'intervento di Nicola Ruccia in rappresentanza dei pazienti Aisc e molto attivo sul piano dei rapporti con le istituzioni regionali.
Se dunque la presa in carico delle patologie croniche deve passare necessariamente anche per un impegno alla formazione ed educazione dei pazienti, fondamentale diventa il ruolo della medicina generale e della sanità del territorio.
Anche secondo i dati elaborati dalla Fimmg, ha reso noto
Nicola Calabrese, Vice segretario vicario della Fimmg di Bari, lo scompenso è in crescita con l'aumentare dell'età. E in Puglia gli anziani sono in sensibile aumento. Il 40% dei pugliesi inoltre ha almeno una patologia cronica e assorbe circa l'80% delle risorse economiche. Diventa quindi fondamentale la prevenzione e il ruolo che può giocare il medico di famiglia in essa ma anche nell'aiutare i pazienti già malati a mantenere uno status di equilibrio per evitare episodi acuti. Ciascun paziente però ha la propria personale complessità" ha osservato "quindi va bene il patto di cura ma nella consapevolezza che deve essere fatto ad personam. Il che significa, però che poi tutti, dal medico di famiglia allo specialista devono parlare la stessa lingua e nello stesso modo con il paziente. Per fortuna la medicina generale in Puglia è tra le più avanziate. Non lavoriamo quasi più da soli. Oltre il 50% dei medici di famiglia opera in regime di associazionismo complesso (con oltre 10 ore di attività ambulatoriale al giorno) con oltre 2000 collaboratori di studio e circa 600 infermieri, il 40% opera in associazionismo semplice tuttavia abbiamo la necessità che il sistema ci riconosca come parte integrante di esso. La distribuzione diretta" ha quindi sottolineato Calabrese riferendosi ad una delle questioni evidenziate da chi lo aveva preceduto, crea parecchi problemi ma sicuramente fa risparmiare risorse al sistema. Tuttavia, sebbene, sia utile, credo sia necessario che possa e debba essere rivista in qualche forma, soprattutto per i malati più fragili, perché no anche utilizzando gli stessi studi dei medici di famiglia".
"Ospedale e territorio giocano /devono giocare) nella stessa squadra" ha quindi esortato
Vincenzo Gigantelli, Presidente di card Puglia, l'Associazione cui afferiscono direttori e dirigenti di distretto. "Non esiste e non può esistere il paziente ospedalizzato a vita ma il paziente che va seguito bene, con appropriatezza, per tutta a vita. E' in tal senso che bisogna interpretare il ruolo del Distretto, come facilitatore del percorso del cittadino tra medico di famiglia e ospedale. Soprattutto attraverso, questa la nostra convinzione, i cosiddetti "Presìdi territoriali di assistenza" che sono già una realtà, ancora troppo piccola, in alcune zone della nostra Regione. Di certo, ha quindi concluso, c'è soltanto il fatto che senza un'assistenza territoriale ben organizzata (e aggiungerei anche visibile) l'ospedale non può che congestionarsi".
I dati elaborati dall'Ares Puglia, presente al convegno nella persona del Commissario straordinario,
Giovanni Gorgoni, "indicano un numero di pazienti sensibilmente maggiore (oltre 100mila) ma" ha precisato "il dato forse più evidente sono le differenze tra Nord e Sud della regione, per esempio in termini di numero di ricoveri. Dal momento che non ci sono sostanziali differenze di carattere socio-economico né demografiche, il problema risiede nell'offerta dei servizi e nella loro organizzazione. Secondo i nostri dati i ricoveri per scompenso sono circa 13mila l'anno, e con quelli con comorbidìdità associate si arriva a circa 80mila. Oltre il 50% di questi ricoveri avviene in 12 ospedali e non ci sarebbe nulla di male se l'altro 50% non venisse ricoverato in ben altri 51 ospedali…! Con tutto quello che ne deriva in termini di sicurezza, casistica e appropriatezza. Anche in questo caso, il problema dunque è nell'offerta. Il futuro" ha quindi concluso Gorgoni "è nel progetto su cui stiamo lavorando, "Care Puglia 3.0". Il modello si basa sulla presa in carico del paziente cronico, nell'ambito delle cure primarie, secondo il Chronic Care Model, mutuando anche qualcosa dai Creg lombardi".
"La presa in carico globale intende offrire un percorso assistenziale razionale aderente alle linee guida nazionali e locali, favorire l'aderenza al follow up da parte del paziente cronico rendendo i servizi assistenziali più facilmente fruibili sul terriorio di residenza, evitare la mobilità dei pazienti cronici e il ricorso al ricovero ospedaliero inappropriato, azzerare l'attesa per i pazienti coinvolti, incidendo anche sulle "liste d'attesa" aziendali, offrire un livello assistenziale efficiente a tutta la popolazione. Elemento fondamentale del modello è l'individuazione dei compiti assistenziali dei diversi professionisti coinvolti (chi fa che cosa?) e la forte integrazione tra di essi attraverso momenti istituzionalizzati di comunicazione. Altra caratteristica fondamentale è l'orientamento verso l'empowerment del paziente che viene coinvolto nella determinazione del piano delle cure al fine di acquisirne la progressiva responsabilizzazione e la migliore aderenza a esso. IN poche parole, esemplificato in conclusione Gorgoni "dobbiamo alleggerire gli ospedali, chiudere le piccole strutture e potenziare la specialistica territoriale e il territorio in tutte le sue componenti".
05 maggio 2017
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