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Diabete. A Torino la prima tappa di #5innovazioni. Focus sul Piemonte, dove la gestione integrata della malattia viaggia a gonfie vele. Il 75% dei medici ha aderito a percorsi ad hoc

Durante il convegno gli stakeholders hanno condiviso l'importanza di costruire percorsi multidisciplinari, caratterizzati da un elevato grado di interconnessione tra tutti i professionisti coinvolti. Denominatore comune resta sempre il tasso di innovazione, in grado di garantire ai pazienti enormi miglioramenti a tutti i livelli della condizione psicofisica

22 GIU - L’innovazione come vettore di riferimento nella gestione del diabete per rafforzare la prevenzione, ridurre i costi e migliorare la condizione fisica e psicologica del malato. Un assunto che ha costituito il perno della prima tappa di #5innovazioni, viaggio fisico e virtuale nell’Italia che innova promosso da Sanofi a Torino presso la sede dell’Unione Industriale e trasmessO in live streaming. Nell’occasione è stato anche lanciato il bando del Premio rivolto ad enti locali, associazioni di persone con diabete, Onlus e strutture pubbliche territoriali. I progetti saranno valutati da un Comitato indipendente e da esperti del mondo scientifico e delle istituzioni presieduto da Antonio Gaudioso, presidente di Cittadinanzattiva.
 
Si tratta di un’iniziativa che prosegue l’esperienza iniziata nel 2014 con #5azioni: ascolto e coinvolgimento in Rete dei malati, per stilare la prima agenda digitale di priorità. In prossimità della Giornata Mondiale del Diabete 2015 (14 novembre), il Comitato decreterà i 5 progetti finalisti, valutati sulla base di criteri quali: impatto sulla qualità di vita delle persone, capacità di rispondere ai loro bisogni di salute non ancora soddisfatti, innovatività, originalità e replicabilità del progetto. Nel 2016 si scoprirà il vincitore.

Il convegno ha rappresentato l’occasione per costruire un focus sulla realtà piemontese, dove ci sono circa 275mila diabetici. La cifra mostra però un progressivo e costante aumento. Il 91% sono adulti con diabete di tipo 2, il 65% ha più di 60 anni, il 33% un’età compresa fra il 30 e i 60 anni e il 2% meno di 30 anni.
 
In apertura dei lavori il giornalista scientifico Federico Mereta ha spiegato che una riduzione media pari all’1% della glicata può determinare un abbassamento del 20% della mortalità, del 14% degli attacchi cardiaci e del 37% delle complicanze cardiovascolari. Modificare radicalmente il paradigma di approccio alla malattia, puntando sull’innovazione, garantirebbe quindi un ritorno di enorme portata.
 
Isa Cecchini, ricercatrice Gfk Eurisko, ha riferito gli esiti di un’indagine condotta in profondità su 220 malati. Il primo dato emerso è che i soggetti coinvolti presentano un vissuto particolarmente critico a causa della patologia, giudicata invasiva a più livelli e generatrice di stigma e vergogna nella società. In sostanza risulta difficilissimo imparare a convivere con il diabete, tanto che è diffusissima la tendenza a dissimularlo, soprattutto sul lavoro per il timore di subire discriminazioni. Sono poi significative le difficoltà di carattere logistico e operativo, poiché sottoporsi quotidianamente alle iniezioni comporta notevoli sforzi organizzativi. Si innesca una mesta routine che infonde un’idea di estrema solitudine, rendendo complicato stringere forti relazioni con medici e infermieri.
 
“Alla luce di questo quadro – osserva Cecchini – diventa fondamentale costruire sistemi integrati per migliorare il supporto al paziente, sfruttando pienamente le potenzialità dei sistemi digitali di comunicazione. Si tratta di risorse che raccolgono il favore dei malati e che permettono di migliorare aspetti come, per esempio, la somministrazione di diete adeguate e la pianificazione dell’attività motoria. Un autentico salto di qualità si compie quindi puntando su meccanismi di rete”.
 
L’impatto benefico dell’innovazione si rivela immediatamente sul territorio. Salvatore Oleandri, responsabile Endocrinologia e Diabetologia presso la Asl Cuneo 1, racconta la sua esperienza, che costituisce un vero e proprio caso esemplare. “Lavoro in un’area che con circa 420 abitanti configura il 25% del territorio piemontese e in cui sono presenti circa 20mila diabetici. Poiché la zona è prevalentemente montana – riferisce – abbiamo cercato di capillarizzare la nostra attività per renderla uniforme. Sono state definite reti incentrate sulla cartella clinica informatizzata che permette ai diabetologi di condividere le informazioni in ogni distretto e di coordinarsi efficacemente con i laboratori di analisi dove non c’è più bisogno della versione cartacea. La rete è connessa anche con i Cup dei 5 ospedali e contestualmente siamo impegnati in una fitta comunicazione con i farmacisti sul territorio. Delineato anche un sistema di triangolazione con i medici di famiglia tramite un apposito portale, utilizzando la telemedicina per i soggetti che presentano difficoltà a spostarsi, soprattutto gli anziani che alloggiano nelle case di riposo”.
 
La tecnologia presenta molteplici potenzialità, che incidono sempre di più e portano a raggiungere obiettivi impensabili sino a poco tempo fa: è in atto un’autentica rivoluzione dell’assistenza. “Tramite un semplice glucometro – aggiunge Oleandri – possiamo trasferire i dati del paziente direttamente alla cartella informatizzata del diabetologo che, a sua volta, condivide il contenuto con il medico di medicina generale. Questo tipo di procedura è attivo da due anni ed è possibile soltanto grazie a un’intensa interconnessione tra tutti gli attori coinvolti. E i risultati sono strabilianti: gli accessi per ipoglicemia ai Pronto soccorso sono ridotti a zero”.
 
L’innovazione da sola non basta e per funzionare deve viaggiare di pari passo con altre risorse. “Sono imprescindibili anche integrazione e prevenzione – evidenzia Paolo Allemano, portavoce Sanità della Regione Piemonte – E per raggiungere questi traguardi bisogna mettere al centro il protagonismo degli assistiti, rendendoli proattivi assieme ai medici. Nel complesso segnalo che sono in fieri percorsi per rendere omogenee le prestazioni, diabete incluso, su tutto il territorio. Assi di questo cambiamento sono il riordino della rete ospedaliera e il piano sulla prevenzione. Comun denominatore di ogni iniziativa resta sempre la volontà di garantire virtuosamente la cronicità che l’ospedale scarica sul territorio”. Un processo che non può prescindere dal coinvolgimento organico delle associazioni dei pazienti. “La componente dell’interazione umana è la chiave di volta – ragiona Marilena Bono, presidente dell’Associazione Diabetici Torino 2000 – Noi tentiamo costantemente di fornire informazioni che sono difficilmente reperibili. Il nostro intervento deve procedere in questa direzione, organizzando percorsi di partecipazione condivisi puntualmente con le persone”.
 
All’interno dell’ampia gamma di professionisti che ruotano intorno al diabete, la figura dell’infermiere si presenta come un solidissimo pilastro. “Siamo una sorta di anello di congiunzione nel legame che il paziente stabilisce con il medico e con l’azienda sanitaria – racconta Germana Russo, rappresentante Anied – Ascoltiamo le famiglie e tentiamo di rafforzarne l’autonomia decisionale. In questo senso l’innovazione è un mezzo potentissimo: basti pensare all’ormai irrinunciabile condivisione a domicilio dei dati. Importante anche l’operato che riguarda le scuole, dove gli studenti vengono istruiti a controllarsi la glicemia e a trasmettere le informazioni al Centro diabetologico, ma anche a convivere con la loro cronicità. In generale, mutuando una frase di Virginia, Henderson ritengo che l’infermiere non è colui che fa assistenza, ma colui che rende l’altro capace di assistere se stesso”.
 
Funzionale al sistema anche il contributo dei pediatri. “Abbiamo in cura 1300 persone in tutta la Regione – ricostruisce Francesco Cadario, pediatra all’Aou di Novara – A livello algebrico è poco rispetto al numero complessivo, ma si tratta di una fetta della popolazione che racchiude un valore elevatissimo: prestazioni di qualità oggi garantiranno un domani privo di complicanze. La rete diabetologica pediatrica è cruciale e negli ultimi anni si è nutrita abbondantemente della tecnologia, come dimostra il diffuso utilizzo del microinfusore. Per noi è importante relazionarci fruttuosamente con altri professionisti, in primis gli psicologi, per dare vita a team diabetologici”.
 
La multidisciplinarietà appare quindi un punto di svolta ineludibile. “E’ questa la ricetta per ridurre concretamente i tempi d’attesa – è convinto Ezio Labaguer, presidente del Coordinamento associazioni persone con diabete in Piemonte e Valle d’Aosta – Allo stesso tempo i medici devono sempre godere di piena autonomia decisionale: intaccarla produrrebbe effetti nefasti. La nostra realtà è oggi fortemente attiva nella promozione di progetti: mi riferisco alla socializzazione tra malati, anche mediante soggiorni estivi. In cantiere abbiamo poi un’iniziativa volta ad agevolare la transizione da giovane ad adulto con percorsi di formazione ad hoc”.
 
Altro apporto di assoluto rilievo proviene dai farmacisti. “Importantissimo è valorizzare a tutto tondo la funzione delle farmacie sul territorio – considera Massimo Mana, presidente di Federfarma Piemonte – Si tratta infatti di realtà che presentano la peculiarità di riuscire a intercettare soggetti convinti di stare bene, ma in realtà già malati. In questo modo si individuano numerose persone che, altrimenti, si sarebbero rivolte al medico 6 o 7 anni dopo, con il diabete già in una fase avanzatissima. Il nostro lavoro è orientato anche al miglioramento dell’aderenza terapeutica, evitando che il soggetto acceda più volte all’ospedale e arginando la conseguente moltiplicazione dei costi”.
 
La realtà piemontese sta quindi evidenziando un importante avanzamento nell’approccio al diabete, generato “dall’ampia partecipazione ai processi di gestione integrata – riflette Giulio Titta, componente della Commissione PT-RP – Allo stato attuale il 74% dei medici piemontesi ha aderito, ma auspico che a breve si uniscano anche tutti gli altri. I riscontri sono infatti eloquenti: l’integrazione ha abbassato del 21% i ricoveri e del 7% la spesa”. Si tratta di un terreno che costituisce “il terreno di prova di ciò che speriamo si l’innovazione della medicina territoriale – ha concluso Edoardo Tegani, Direttore distretto Asl To 2 – Sul campo ci sono però ancora numerose sfide aperte: riuscire a utilizzare la ricetta elettronica anche per le prestazioni diagnostiche, ma pure contemperare efficacemente le esigenze di privacy e la necessaria condivisione delle informazioni in relazione al fascicolo sanitario elettronico. Senza dimenticare che i Pdta devono riuscire a collocare costantemente la persona al centro perché molto spesso i soggetti sono pluripatologici. In questo senso un ulteriore salto di qualità si concretizzerà valorizzando pienamente il ruolo nodale del distretto”.
 
Gennaro Barbieri

22 giugno 2015
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