Come trattenere i medici nel servizio sanitario pubblico? Le riflessioni della Cimo-Fesmed Piemonte
Lavorare su premialità economiche e di carriera; rafforzare la sicurezza negli ospedali, soprattutto nei PS; investire nella medicina di territorio, con una maggiore responsabilizzazione dei medici di base; incentivare i giovani a specializzarsi in medicina d’emergenza. Cavalli: “Concentriamo l’attenzione sulle cause e non sulle conseguenze”.
29 FEB - I medici in Piemonte ci sono e hanno anche una preparazione molto alta. Ma molti fuggono dalla sanità pubblica. Per questo la Federazione regionale Cimo-Fesmed entra nel dibattito pubblico, nazionale e locale, sulla carenza di medici sottolineando come non sia tanto una questione di numeri ma di scelte. Per questo “occorre concentrare l’attenzione sulle cause e non sulle conseguenze” di queste fughe, dichiara
Sebastiano Cavalli, segretario Cimo-Fesmed Piemonte.
“È innegabile – entra nello specifico Cavalli - che sia necessaria una riorganizzazione del nostro personale sanitario, i dati elaborati dal nostro sindacato ci dicono che dal 2019 al 2021, sono stati quasi 250 i medici che hanno lasciato le strutture ospedaliere pubbliche, soprattutto per pensionamento. Occorre adottare una politica che rimetta al centro il rapporto medico-paziente, iniziando dai territori. I medici di base e tutta la medicina territoriale sono l’ingranaggio fondamentale per la cura e la tranquillità quotidiana delle persone, serve una maggiore responsabilizzazione del medico di base. È impensabile gestire qualunque problematica solo attraverso il pronto soccorso. Occorre ridefinire il concetto di medicina d’emergenza-urgenza, ristabilendo un ordine all’interno degli ospedali e soprattutto garantendo al personale medico sicurezza e premialità dal punto di vista economico e di carriera”.
I giovani medici con i punteggi più alti preferiscono specializzazioni più “convenienti” lasciando un vuoto nella medicina d’emergenza e in ambiti più generici come la chirurgia: secondo il sindacato piemontese la responsabilità di queste scelte non è riconducibile ad una vocazione individuale bensì ad un’idea “distorta”, amplificata dall’opinione pubblica, secondo la quale le migliori gratificazioni di carriera ed economiche si ottengono fuori dal contesto della sanità d’urgenza.
“E’ molto importante – continua il Segretario Cavalli – che le Università forniscano ai giovani una fotografia il più possibile reale dell’evoluzione della professione medica, puntando sul sentimento di missione e di propulsione sociale che questo mestiere ha nel suo DNA. La carenza di personale nelle strutture sanitarie pubbliche rappresenta oggi un tema fisiologico, dovuto oltre al cambio generazionale anche a gravi errori di programmazione compiuti negli anni passati. Il sistema nel suo complesso deve ridefinire modalità di accesso e di valorizzazione della professione, incentivando la medicina d’urgenza rispetto ad altre specializzazioni perché è la società attuale che impone questa esigenza”.
Per Cavalli “non intervenire ora significherebbe mettere in forte rischio l’assistenza sanitaria a tutela dei più deboli, oggi ma soprattutto nei prossimi anni”.
29 febbraio 2024
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