Lo stato dell’arte della professione infermieristica
16 APR -
Gentile Direttore,
torno sull’argomento dello stato dell’arte della professione infermieristica. Voglio iniziare da una criticità sotto gli occhi di tutti, quella relativa all’organizzazione della macchina sanitaria. Le due colonne portanti sono rappresentate dai medici e dagli infermieri; inutile girarci attorno: la filosofia degli uni e degli altri va in direzioni diametralmente opposte.
Non è un mistero che la professione medica rincorre la specializzazione della propria attività all’ennesima potenza, restringendo il campo di competenza con la parcellizzazione del corpo umano in specialistiche a volte monoorgano o anche meno (cardiologia, oculistica, otorinolaringoiatra, chirurgia pancreatica ecc.); per contro la professione infermieristica abbraccia una preparazione totipotente, avendo la pretesa di preparare professionisti in grado di assistere con competenza ogni tipo di malato nella complessiva sfera della sua persona e d ei suoi bisogni.
Nel momento dell’emergenza (vedi covid), alla bisogna si reperiscono infermieri in specialità diverse rispetto all’area critica dove sorge la necessità, mentre non è mai accaduto che uno specialista medico di qualsiasi disciplina, sia chiamato per svolgere l’attività afferente a diversa specialità ( ad esempio un cardiologo che intervenga in luogo dell’anestesista ad intubare un paziente).
Va da sé che l’infermiere, in tali casi, subisce pressioni che lo portano sull’orlo di una “crisi di nervi”( si pensi a chi lavora in una tranquilla routine di reparto allorchè venga sbattuto in rianimazione dall’oggi al domani).
In più: la qualità dell’assistenza garantita non potrà essere la stessa del collega che lavora lì da anni!!
Pensate a un paziente ricoverato in rianimazione che venga assistito da un infermiere che fino a ieri lavorava in oculistica, ma anche in medicina……
In anni di rincorsa all’economizzazione delle risorse umane, per far combaciare le due filosofie, gli infermieri si sono dovuti adeguare alla specializzazione della prestazione, mantenendo la capacità nominale di essere ecletticamente abili ad occuparsi di ogni tipo di paziente ( per fare qualche esempio possiamo apprezzare l’enorme differenza tra gli infermieri di un reparto di oculistica e quelli della chirurgia generale oppure quelli di neurologia in relazione agli infermieri di dialisi, e si potrebbe continuare …..).
In una sanità medicocentrica, l’infermiere ha sempre pagato un pegno di sudditanza, ed anche oggi non riesce ad affrancarsi in modo da farsi carico della piena assistenza che gli è stata riconosciuta come specifico ruolo professionale.
La linea di confine tra le due professioni è passata attraverso fasi diverse: dapprima il medico ha vissuto come minaccia la pretesa dell’infermiere di occuparsi dell’assistenza, poi ha compreso che si trattava di ambiti diversi che riguardavano il paziente, ma ha continuato ad avvalersi della collaborazione infermieristica per eseguire attività di sua competenza; infine oggi l’infermiere fatica a capire quale sia il suo ruolo, tanto che si trova ad eseguire attività che a volte esulano dagli ambiti assistenziali e lo rendono anche inottemperante alle sue attribuzioni naturali.
Come in una brughiera avvolta dalla nebbia, l’opinione pubblica fatica a riconoscere i contorni della figura dell’infermiere, e capita che conduttori televisivi apostrofino i professionisti in modo svilente e offensivo, senza considerare, per ignoranza o per “cattiveria” i progressi della professione sul piano culturale e legislativo. Resta comunque un vulnus, perché nonostante l’ascesa dell’infermiere nella categoria del professionista intellettuale, i suoi compensi equivalgono a quelli di “classi” decisamente inferiori.
Inoltre, in tutte le professioni, l’organizzazione dell’attività viene assegnata al professionista che la svolge, mentre nel caso dell’infermiere, chiunque si arroga il diritto di decidere e tracciare programmi senza “conoscere la materia” (non è raro che l’organizzazione spettante all’infermiere venga decisa dal medico, ma anche dal dirigente amministrativo se non, talvolta, da figure appartenenti all’ambito tecnico).
Quando poi si attribuiscono a figure infermieristiche responsabilità di coordinamento, tale responsabilità non si accompagna all’attribuzione del corrispondente livello economico. Un esempio: l’ex caposala, oggi coordinatore, che a fronte del titolo richiesto per l’esercizio della funzione, continua ad essere inquadrato nel suo livello D anziché DS. Certo, è tutto legale, l’azienda lo può fare in virtù di una contrattazione scellerata, ma che fine ha fatto la salvaguardia del trattamento più favorevole per il dipendente? Come si coniuga una responsabilità superiore con un livello economico giuridico di base? Chi si farebbe carico, in qualsiasi azienda, di maggiori responsabilità organizzative-gestionali mantenendo il livello retributivo del personale sottoposto?
Ma come può un’Azienda Pubblica, promanazione di quello Stato titolare della Potestà Legislativa, sfruttare così vilmente la sua supremazia sul singolo?
Per rifarci ai coordinatori di recente memoria, la loro progressione di carriera passa attraverso la riduzione dello stipendio, in quanto le indennità di turno e gli straordinari e le reperibilità vengono azzerati, con perdita secca del 25 % della remunerazione (questo vale anche per un professionista che sceglie un’occupazione più leggera magari per prescrizioni medica o semplicemente perché con l’avanzare dell’età non riesce più a lavorare in turno h 24, o nelle specialità più remunerative come terapie intensive, dialisi, blocchi operatori); non solo, i coordinatori vengono valutati ogni 3 anni, e nel caso di valutazione negativa tornano a fare gli infermieri ( forse è per questo che non vengono inquadrati nel livello dovuto dalla responsabilità).
Alcuni coordinatori, a seconda del servizio in cui la prestano la loro opera, gestiscono magazzini inventariali del valore di milioni di euro annuali e nel contempo organizzano risorse umane che superano di gran lunga le cento unità.
Mi domando: nel privato a quanto ammonta il corrispettivo di chi gestisce un tale quantitativo di risorse?
A volte qualcuno pensa di far valere con un’azione legale quello che ritiene un diritto calpestato: si innesca una spirale che lo accompagna sino alla pensione ed oltre perché le aziende pur di non retrocedere dalla propria posizione ed ammettere l’errore, appellano ogni sentenza sino al massimo grado, in quanto i dirigenti che decidono di resistere non pagano di tasca propria; questa pessima abitudine dovrebbe secondo loro servire da deterrente nei confronti di altri infermieri che vogliano percorrere la stessa strada.
Potremo continuare ad approfondire le ragioni per le quali l’infermiere avrebbe bisogno di una scossa, ma quel che si è detto è più che sufficiente per farci prendere in seria considerazione da chi detiene il potere per cambiare le cose.
Stefano Angeletti
Il responsabile gruppo Legale
OPI Ancona
16 aprile 2021
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