I casi di malpractice arrivati sul tavolo della Cassazione sono aumentati del 200% negli ultimi dieci anni rispetto ai 60 anni precedenti. Negli ultimi anni poi si è verificato un vero e proprio boom, tanto che, solo dal 2008 al 2011, la Corte di Cassazione ha deciso un numero di casi di responsabilità medica (82) pari a tutti quelli decisi tra il 1991 ed il 2000, ed addirittura superiore a quelli decisi nei quasi sessant’anni intercorsi tra il 1942 ed il 1990.
L’allarme da tempo lanciato da numerosi rapporti di associazioni mediche e di pazienti è confermato oggi dalla Corte di legittimità stessa, in un
Quaderno ad hoc dedicato”Responsabilità sanitaria e tutela della salute” ed elaborato dal magistrato Marco Rossetti.
Nel dettaglio, si legge nel rapporto, dal 1942 (anno di entrata in vigore del codice civile) al 1990 nell’archivio Italgiure della Corte di Cassazione sono state inserite 60 massime in materia di responsabilità del medico (in media poco più di una l’anno); negli anni dal 1991 al 2000 il numero delle massime inserite in tema di responsabilità medica è salito a 83 (in media otto l’anno), per ascendere a 201 negli anni dal 2001 al 2011 (in media 20 l’anno).
Da questi dati, si sottolinea nello studio, "risulta non soltanto che, negli ultimi 10 anni, il contenzioso dipendente da malpractice sanitaria, in sede di legittimità, è aumentato del 200% rispetto ai 60 anni precedenti; ma risulta altresì che negli ultimi quattro anni (dal 2008 al 2011) la Corte di cassazione ha deciso un numero di casi di responsabilità medica (82) pari a tutti quelli decisi tra il 1991 ed il 2000, ed addirittura superiore a quelli decisi nei quasi sessant’anni intercorsi tra il 1942 ed il 1990".
Ed è chiaro che, osserva Rossetti, “in una materia tanto rilevante”, vi sia la “necessità che si formino orientamenti conformi esalta il ruolo del giudice di legittimità, chiamato così ad una funzione di chiarimento e di indirizzo che è propria di una Corte regolatrice”. Che armonizzi, insomma, tutti gli orientamenti sviluppati negli anni e che hanno dato vita, o almeno dovrebbero essere la base affinché cioè avvenga, a un vero e proprio “sottosistema” della responsabilità civile. Caratterizzato, in particolare, dal passaggio dalla “responsabilità del medico” alla “responsabilità medica”, sebbene, ricorda Rossetti, “il quadro normativo in materia di responsabilità professionale, colpa e nesso causale sia rimasto pressoché immutato dal 1942 ad oggi”. Ma è stata la giurisprudenza stessa, nel corso dei pronunciamenti, a ravvisare la necessità di cambiare le regole del gioco.
Una tesi sostenuta anche in considerazione delle cause che sono alla base del boom di contenziosi. Secondo il magistrato, infatti, “va da sé che una simile crescita non è seriamente spiegabile per il solo fatto che oggidì i medici sbaglino di più che in passato: al contrario, è nozione di comune esperienza che la scienza medica abbia fatto negli ultimi anni passi da gigante, e la preparazione dei sanitari sia divenuta via via più raffinata”. Piuttosto, secondo Rossetti, a far crescere il fenomeno è stata una più consapevole presa di coscienza dei propri diritti da parte degli utenti del servizio “sanità”; l’attività di sensibilizzazione compiuta dalle associazioni di difesa dei diritti del malato; l’accresciuta scolarizzazione della popolazione, che produce una maggiore attenzione ai propri diritti; l’evoluzione dei mezzi di cura e diagnosi, che ha consentito sia un più approfondito controllo ab externo sull’attività del medico, sia l’esposizione di quest’ultimo al rischio derivante dal controllo e dal governo di strumentazioni assai sofisticate; l’evoluzione del concetto e delle funzioni della “responsabilità civile”, la quale, da criterio di riparto delle conseguenze sfavorevoli di un evento dannoso, è andata assumendo la natura di strumento di allocazione delle risorse del sistema; il massiccio ricorso di tutti i sanitari e le strutture ospedaliere all’assicurazione di responsabilità civile; la crescita esponenziale degli importi liquidati a titolo di risarcimento, il che ha talora alimentato istinti non proprio commendevoli da parte delle presunte vittime o dei lori consiglieri.
Di fronte a questo scenario, anche la giurisprudenza è chiamata a rivedere il suo approccio, che oggi è evidentemente in netto sfavore dei camici bianchi, ad esempio là dove, per il principio generale risultante dal combinato disposto degli artt. 2043 e 2697 c.c., anche l’onere di provare la colpa del danneggiante incombe sul danneggiato, nel caso di responsabilità medica la giurisprudenza ritiene che il paziente possa invocare la presunzione di colpa di cui all’art. 1218 c.c., anche quando non sia stato concluso nessun contratto tra questi ed il medico. O là dove, in base alla prevalente interpretazione degli artt. 40 e 41 c.p. che disciplinano il nesso di causalità materiale tra la condotta illecita e l’evento di danno, invece di ritenere quest’ultimo “causato” dal danneggiante quando via sia la prova positiva che, senza la condotta del responsabile il danno non si sarebbe prodotto, nel caso di responsabilità medica la giurisprudenza ritiene configurabile l’esistenza del nesso causale anche quando vi sia incertezza circa l’effettiva causa del danno, a condizione che il medico abbia posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare il danno.
Ancora, osserva Rossetti, “è altresì principio generale, in tema di responsabilità civile, che il danneggiato non possa rispondere dei danni quando nella sua condotta non siano ravvisabili profili di colpa; in tema di responsabilità medica, tuttavia, la giurisprudenza ha spostato a monte la valutazione in termini di colpa della condotta del medico, esigendo non soltanto che sia diligente l’esecuzione dell’intervento, ma anche che il paziente sia diligentemente informato della natura e dei rischi della prestazione medica; con la conseguenza che, in difetto di informazione, il medico potrà essere chiamato a rispondere delle conseguenze sfavorevoli dell’intervento”.
Un quarto scostamento del “sistema” della responsabilità medica rispetto ai principi della responsabilità civile è poi rappresentato dall’estensione della colpa per omissione. In ambito extracontrattuale, ognuno ha l’obbligo di astenersi dal violare l’altrui sfera giuridica (neminem laedere), ma nessuno può essere costretto ad attivarsi per preservare gli altrui beni. “Il medico invece – sottolinea il magistrato -, anche quando opera al di fuori di un rapporto contrattuale, è tenuto a conformare la propria condotta agli stessi princìpi di correttezza e buona fede che presiedono all’adempimento delle obbligazioni contrattuali, ed ha l’obbligo di attivarsi, anche ben oltre il limite dell’apprezzabile sacrificio, per
accertare e curare non solo le patologie per le quali il paziente sia stato ricoverato, ma anche qualsiasi altra patologia dalla quale il paziente sia affetto, ove obbiettivamente riscontrabile”F
Criticità a cui la giurisprudenza è chiamata a dare risposte. Partendo dalla considerazione, osserva il magistrato, che “se si vuole individuare un filo conduttore, nel campo della responsabilità medica (e più in generale della responsabilità sanitaria), lo si può identificare nel carattere strumentale di tale responsabilità e nella ricerca di un equilibrio fra le diverse prerogative dei soggetti coinvolti, da raggiungere anche mediante la valorizzazione di profili di collaborazione dei rispettivi titolari (c.d. alleanza terapeutica), sì che la stessa garanzia della libertà professionale si ponga come mezzo per attuare pienamente la tutela della salute (che finirebbe per essere pregiudicata da una eccessiva limitazione dell’iniziativa dell’operatore e dai rischi connessi alla c.d. medicina difensiva). L’equilibrio, però, non è facile da raggiungere”.