Negli ultimi 25 anni quasi 11 milioni di donne, in tutto il mondo, sono decedute per dare alla luce il loro bambino o per complicanze durante la gravidanza. Si tratta di una cifra impressionante, se si considera che la cifra corrisponde alla somma degli abitanti di Berlino e Londra. Tuttavia questi numeri possono essere analizzati anche in chiave ottimistica, poiché la
mortalità materna si è ridotta di quasi il 44% negli ultimi 25 anni, passando dalle 532 mila vittime del 1990 a 303 mila di quest’anno, con un rapporto globale stimato di 216 morti materne ogni 100 mila nascite, in netto calo rispetto al 1990 che quando si attestava a 385. Nel complesso, però, ogni giorno circa 830 donne muoiono per cause prevenibili legate alla gravidanza e al parto (303mila in tutto il 2015) e il 99% di tutti decessi materni si registra nei Paesi in via di sviluppo.
E’ la fotografia scattata dal Rapporto Globale sulla Mortalità Materna realizzato dall’Organizzazione Mondale della Sanità in collaborazione con Unicef, Unfpa, Banca Mondiale e la Divisione Popolazione delle Nazioni Unite, presentato oggi presso l’Istituto Superiore di Sanità nel corso di una conferenza stampa condotta da
Flavia Bustreo Vice Direttore Generale, Salute della Famiglia, delle Donne e dei Bambini dell’Oms.
I dati sono stati presentati in anteprima mondiale simultaneamente a Roma e a Ginevra.
Nel mondo soltanto 9 Paesi (Bhutan, Capo Verde, Cambogia, Iran, Repubblica Democratica Popolare del Laos, Maldive, Mongolia, Ruanda e Timor Est) hanno raggiunto l’obiettivo di ridurre la mortalità materna di almeno il 75% entro il 2015. E in alcuni di questi Paesi i tassi di mortalità materna rimangono comunque superiori alla media globale. Ed è nei Paesi in via di sviluppo che si registra il 99% delle morti materne di tutto il mondo, Il 66% dei casi nella sola Africa sub-sahariana, nonostante si sia comunque registrato un miglioramento importante con il 44% di morti materne in meno dal 1990 ad oggi, passando da 987 a 546 ogni 100 mila donne. In Asia orientale si registra il miglior risultato per la salute materna: il tasso di mortalità è sceso drasticamente del 72%. Mentre
nelle regioni sviluppate, il tasso di mortalità materna è sceso del 48% tra il 1990 e il 2015, passando da 23 a 12 casi ogni 100 000.
“I Paesi considerati più fragili – ha spiegato
Bustreo – sono quelli in cui c’è un conflitto in corso o dove è appena terminato. Ma anche le realtà che hanno subito radicali cambiamenti climatici e che sono state colpite da epidemie infettive, come nel recente caso di Ebola. “Per aiutare i Paesi a raggiungere l'ambizioso obiettivo di porre fine alle morti materne evitabili entro il 2030, l’OMS ha presentato da poco la nuova Strategia Globale per la salute delle donne, dei bambini e degli adolescenti lanciata dal Segretario Generale delle Nazioni Unite all’Assemblea Generale lo scorso Settembre 2015. La risposta da parte dei paesi ed altri stakeholder della comunità internazionale è stata immediata e forte, con un impegno iniziale del valore totale di 25 miliardi di dollari. Il nuovo obiettivo è la riduzione dei decessi materni a meno di 70 ogni 100 000 nascite e per raggiungerlo tutti i Paesi dovranno andare avanti ad un ritmo ancora più veloce portando il tasso di riduzione della mortalità materna annuo da 2,3% a 7,5%”.
I progressi ottenuti sono comunque tangibili e sono dovuti, in parte, a un migliore accesso degli interventi semplici, ma efficaci, come l'assistenza prenatale e l’assistenza qualificata durante e immediatamente dopo il parto. Garantire assistenza qualificata durante la gravidanza e al momento della nascita permette di ridurre il rischio di infezione, così come la somministrazione dell’ossitocina immediatamente dopo il parto per ridurre il rischio di emorragie. Monitorare la gravidanza consente di individuare e affrontare i casi potenzialmente mortali come l'ipertensione indotta, in molti casi, dalla gravidanza stessa.
In questo scenario
l’Italia si configura come “un esempio da insegnare, diffondere e condividere”, ha sottolineato Bustreo. Il nostro Paese si colloca infatti nella top ten mondiale dei Paesi con i più bassi tassi di mortalità materna, con un numero di 4 morti materne ogni 100mila nascite tra i migliori al mondo ai livelli di Francia, Inghilterra, Germania e Stati Uniti.
L’Italia, ha messo a punto un sistema di sorveglianza attiva della mortalità materna, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e finanziato dal Ministero della Salute che, in una fase pilota, ha coinvolto
6 regioni (Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania e Sicilia) che coprono il 49% dei nati del Paese e, dal 2015, ha incluso anche la Lombardia e la Puglia estendendo la copertura al 73% dei nati. La mortalità materna stimata dal sistema di sorveglianza coordinato dall’Iss, nelle 6 regioni partecipanti alla fase pilota, è pari a 10 decessi ogni 100mila nati vivi con una forte variabilità regionale compresa tra 5 morti in Toscana e 13 in Campania.
L’obiettivo prioritario del sistema di sorveglianza italiano è la riduzione delle morti materne evitabili, stimata pari al 50% nei Paesi socialmente avanzati. Lo studio italiano ha rilevato che le principali cause di morte materna diretta sono state:
emorragie (52%), disturbi ipertensivi (19%) e tromboembolismo (10%). Morti da disturbi cardiovascolari, cerebrovascolari e neoplasie rappresentano rispettivamente il 36%, 21%, e 14 % delle morti materne indirette. Questi risultati sono simili all'analisi globale pubblicata dall'Oms che ha trovato tra le principali cause di mortalità materna diretta: emorragie gravi (per lo più durante e dopo il parto) nel 27% dei casi, la pressione alta indotta dalla gravidanza per il 14%, e le infezioni per l’11%. Il suicidio è risultato responsabile del 12% del totale delle morti materne nella sorveglianza italiana e per questo motivo l’Iss ha promosso un progetto di ricerca - intervento sulla maternità e paternità fragile e sulla prevenzione del disagio perinatale.
In Piemonte, Emilia-Romagna, Lazio e Sicilia il tasso di mortalità materna è due volte più elevato tra le donne con un basso livello di istruzione rispetto a quelle con un titolo di studio superiore. Nonostante il tasso di mortalità materna per l'Italia sia relativamente basso rispetto alla media globale, nella successiva fase di monitoraggio globale l'Italia dovrà garantire che le disuguaglianze, quali le differenze in termini di istruzione o di classe socio-economica, siano eliminate in modo da offrire gli stessi esiti di salute a tutta la popolazione.
Su scala mondiale la nuova Strategia Globale propone la realizzazione di programmi che siano pensati, guidati e compiuti dagli stessi Paesi e resi concreti attraverso investimenti sostenibili. Allo stesso tempo, chiede la realizzazione di sistemi sanitari più solidi, dotati di personale qualificato e capace di dare un servizio alla popolazione che sia adeguato e di qualità. Chiede che tutte le donne, i bambini e gli adolescenti abbiano pieno accesso ai servizi di prevenzione, alle cure e al trattamento ovunque ne abbiano bisogno nel mondo e in qualsiasi momento. E perché questo possa realizzarsi chiede alla comunità internazionale e ai paesi di realizzare approcci innovativi al finanziamento, allo sviluppo dei prodotti e ad efficienti servizi sanitari e promuovere in tutto il mondo la prevenzione. "L'obiettivo di porre fine alla mortalità materna entro il 2030 è un traguardo ambizioso e realizzabile a condizione che raddoppino anche i nostri sforzi – ha concluso
Bustreo - Serviranno investimenti combinati, anche perché in genere la mortalità materna è una spia attendibile di un sistema complessivo. Mi riferisco in particolare a vettori determinanti come istruzione, emancipazione e trasporto”.