Il prolungamento della vita e le elevate aspettative dei cittadini, dei malati e degli operatori sanitari pongono con urgenza il tema della valorizzazione dell’innovazione terapeutica e farmacologica e quello della effettiva disponibilità dei nuovi farmaci per i pazienti che ne hanno bisogno. Ma gli ostacoli sono molteplici. E se la crisi economica non aiuta, a frenare Ricerca e Sviluppo sono anche problematiche di natura politica, dall’inadeguata tutela del brevetto ai ritardi di immissione dei nuovi farmaci sul mercato e nei prontuari regionali, per fare un esempio.
Per invertire la rotta, il Forum per la Ricerca Biomedica, insieme al Censis, ha realizzato un documento che illustra le criticità più importanti legata alla produzione dei farmaci, ma avanza anche alcune proposte per risolverle rivedendo, ad esempio, il ruolo dei soggetti coinvolti nelle diverse fasi del processo, le piste di lavoro prioritarie per la ricerca di base e per quella applicata, i processi regolatori, le modalità di remunerazione dell’innovazione in fase di immissione sul mercato, l'accesso da parte dei pazienti alle terapie innovative. Questioni sulle quali si sono confrontati oggi a Roma
Giuseppe De Rita e
Carla Collicelli, rispettivamente Presidente e vicedirettore del Censis;
Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria;
Pierluigi Navarra, Direttore dell'Istituto di Farmacologia Università Cattolica del Sacro Cuore;
Stefano Vella, Direttore del Dipartimento del Farmaco dell’ISS;
Americo Cicchetti, Direttore Altems Università Cattolica del Sacro Cuore;
Francesco De Lorenzo, Presidente Favo.
Il ragionamento parte da un dato di fatto: negli ultimi 30 anni la speranza media di vita alla nascita è aumentata di 6,5 anni per le donne e di 8 per gli uomini, e la sopravvivenza a molte patologie, sia acute che croniche, è migliorata significativamente. Oltre che allo stile di vita, il successo va ascritto ai risultati ottenuti in ambito terapeutico, che hanno aumentato le guarigioni e migliorato la qualità della vita dei pazienti. Particolarmente eclatanti sono i dati relativi all’oncologia. Secondo le recenti elaborazioni dell’Airtum (Associazione italiana registri tumori), pur in presenza di un aumento della incidenza di tutte le forme tumorali, stiamo assistendo ad un netto aumento degli anni di sopravvivenza: il 27% degli italiani colpiti da tumore può essere definito “già guarito”, e il 60% dei pazienti a cui è stato diagnosticato un tumore ha avuto la diagnosi da oltre 5 anni.
LA SFIDA DEI FARMACI. IMPRESE IN PRIMA LINEA
A fronte di questi successi, è evidente la domanda di cure sempre più efficaci, e di una copertura degli assistiti senza lacune ed eccezioni, continua a crescere, e le aspettative nei confronti dei farmaci sono elevate, in termini di guarigione, di miglioramento della qualità della vita e di supporto per una convivenza accettabile con la malattia.
In particolare, il 36,7% degli intervistati dal Censis ritiene che la finalità dei farmaci debba essere quella di guarire le malattie, per il 7,4% di sconfiggere le malattie mortali, per il 15,5% prevenire le malattie, per il 19,5% devono dare la possibilità di convivere accettabilmente e a lungo con le malattie croniche, per il 20,9% contribuire al miglioramento della qualità di vita.
Ma la ricerca ha un costo, anche molto alto e sempre meno sostenibile dalle imprese. Basti pensare, come spiega il Rapporto, che per rendere disponibile un nuovo farmaco sono necessari circa 15 anni di studi e che solo una sostanza ogni 5-10 mila supera con successo i molti test necessari per essere approvata. Solo 2 farmaci su 10 consentono di ammortizzare i costi di R&S, e gli investimenti diretti possono superare 1 miliardo di euro, arrivando a 2,6 se vi si aggiunge il costo del capitale investito nel progetto preliminare di ricerca.
Le imprese del farmaco sono comunque decise a raccogliere e vincere la sfida. Infatti, seppure rallentata rispetto allo scorso decennio, l’evoluzione degli investimenti in R&D farmaceutica nei prossimi 6 anni è prevista in costante aumento.
INVESTIRE SUI FARMACI PER RIDURRE LA SPESA SANITARIA NAZIONALE
Ma la ricerca, la produzione di nuovi farmaci o la loro carenza non ha peso solo sulle aziende. Altrettanto rilevante è il costo che il Servizio sanitario deve affrontare nel momento in cui un farmaco innovativo appare sulla scena, soprattutto se la platea dei destinatari è ampia, ed il valore elevato. Il recente caso del farmaco anti epatite C (sofosbuvir) è emblematico da questo punto di vista. Il costo di un ciclo terapeutico è pari al momento per le strutture pubbliche a 37.000 euro, mentre lo stanziamento del governo per questa terapia è stato di 1 miliardo di euro per due anni, rispetto ad una platea complessiva stimata in circa 1,5 milioni di malati e ad un numero di pazienti oggi in trattamento attorno ai 300 mila individui (secondo le stime più accreditate).
Eppure, osserva il Censis-Forum per la ricerca biomedica, “se da un lato il contenimento della spesa farmaceutica rappresenta tradizionalmente la leva sulla quale il soggetto pubblico agisce per modificare rapidamente ed in modo immediatamente tangibile la spesa sanitaria, dall’altro vanno considerate la grandi potenzialità che i farmaci innovativi, e in generale le nuove tecnologie sanitarie, hanno di abbattere i costi delle patologie, non solo quelli indiretti e sociali, ma anche degli stessi costi sanitari”. Sempre che se ne faccia buon uso, ovvio. Oggi non sempre è così. Basti pensare che il 42,8% dei pazienti dichiara di non seguire a pieno le prescrizioni e le indicazioni del medico in materia di cure farmacologiche.
PER IL 35,2% DEGLI ITALIANI I FARMACI GARANTITI DAL SSN SONO TROPPO POCHI
La disponibilità di farmaci garantiti dal Servizio sanitario nazionale è reputata insufficiente dal 35,2% dei cittadini italiani, quota che sale al 53,8% nella fascia meno scolarizzata. Il 78,8% ritiene che troppi farmaci per patologie gravi siano a carico dei pazienti e l’83% che il ticket penalizzi le persone malate. Il 58% dichiara di avere subito un aumento della spesa di tasca propria per la sanità negli ultimi anni, con un peso medio dell’aumento percepito del 18%. Il 65% indica i farmaci come voce di spesa in aumento per le tasche delle famiglie. Secondo l’indagine Forum per la Ricerca Biomedica-Censis del 2014, sarebbe pari al 33,5% la quota di italiani che ha rinunciato nell’ultimo anno al ricorso ad una o più prestazioni sanitarie, mentre il 27,6% ha ridotto la quota di farmaci pagati di tasca propria. In particolare, le indagini periodicamente condotte dal Censis su specifiche patologie (cancro, Alzheimer, sclerosi multipla, Parkinson, Down, autismo, ecc.) rimandano un quadro caratterizzato da grandi aspettative nei confronti dei farmaci, ma al tempo stesso da preoccupazione per le disparità territoriali e per il carico economico dell’accesso ai farmaci, anche con riferimento alle procedure di autorizzazione e immissione in commercio ed alla regolamentazione della compartecipazione alla spesa.
LA CRISI ECONOMICA E QUELLA DEI FARMACI
La situazione finora descritta appare ancora più critica nella fase attuale, nella quale la crisi economica, la scadenza di numerosi brevetti e l’andamento crescente della spesa farmaceutica ospedaliera, rischiano di avere effetti negativi sulla quantità e qualità degli investimenti in ricerca biomedica. Secondo quando si legge nel rapporto, la scadenza di brevetto dei farmaci immessi in commercio negli ultimi decenni, che ha raggiunto nel 2012 il proprio picco, ha prodotto vendite a rischio pari a 67 miliardi di US$ per la scadenza brevettuale di numerosi farmaci “blockbuster”.
Inoltre, dalle valutazioni effettuate da Cergas Bocconi, Ims e Farmindustria risulta che lo sforamento del tetto programmato di spesa farmaceutica ospedaliera in Italia sarà tra 2014 e 2016 di quasi 4 miliardi di euro. La insostenibilità di un simile disavanzo è evidente sia per l’industria che per il Servizio sanitario.
Strettamente legato al costo è il “fattore tempo” per quanto riguarda il percorso di ricerca, valutazione e farmacovigilanza di un nuovo farmaco. In questo contesto, “particolarmente critica – secondo il Censis - è la situazione italiana, dove i tempi di accesso per i nuovi prodotti sono stati tra 2008 e 2013 in media di complessivi 427 giorni, contro i 109 del Regno Unito, i 364 della Francia e gli 80 della Germania”. A cui aggiungere gli ulteriori ritardi per l’introduzione nei Prontuari terapeutici ospedalieri regionali. Il risultato è che i nuovi farmaci disponibili rispetto agli autorizzati Ema tra 2011 e 2013 erano il 34% in Italia, a fronte di una media europea del 52%. E i problemi non finiscono qui.
Queste criticità, tuttavia, non fanno che frenare le imprese e, con esse, la ricerca e lo sviluppo. Procurando danni alle imprese, ma anche ai pazienti e al Paese tutto, come precedentemente accennato e illustrato approfonditamente nel rapporto..
Occorre dunque intervenire. Come? "Da un lato - secondo il Censis-Forum per la ricerca biomedica - appare necessario ragionare attentamente sui meccanismi con i quali viene riconosciuta l’innovatività dei farmaci, non solo in relazione ai dati disponibili nella fase autorizzativa, ma lungo tutto il percorso di vita del farmaco. Dall’altro vanno approfonditi anche gli aspetti legati alla valorizzazione, e dunque alla analisi degli strumenti messi in campo per incentivare i farmaci innovativi e la loro utilizzazione".
CANCRO. E' QUI CHE SI CONCENTRA LA RICERCA
La ricerca in campo oncologico è la più diffusa nel mondo: si prevede che al 2018 gli studi in fase di sperimentazione clinica saranno concentrati per il 38% sull’oncologia, mentre tutti gli altri settori si manterranno sotto la soglia del 10%. Anche in Italia la sperimentazione sulle patologie neoplastiche costituisce il principale ambito di ricerca. Nel nostro Paese nel 2012 erano in corso 697 studi clinici per la sperimentazione di farmaci innovativi, finanziati per il 67,7% dalle imprese e per il 32,3% da enti non profit. Nel 2013 il numero degli studi clinici in corso era pari a 583, con una concentrazione prevalente nell’area delle neoplasie (35%). Sono poi allo studio 403 prodotti biotecnologici, di cui 169 in area oncologica.
LE PROPOSTE DEL FORUM PER LA RICERCA BIOMEDICA
Secondo il Censis-Forum per la ricerca biomedica, "proposte particolarmente importanti sono state formulate negli ultimi tempi sugli aspetti regolatori della spesa pubblica per farmaci e dei meccanismi di rimborso". Da una parte "un saggio delisting dei farmaci a basso costo, la revisione dei prezzi di riferimento per alcune patologie, l’unificazione del tetto per la spesa farmaceutica territoriale con quello per la spesa farmaceutica ospedaliera, la rinegoziazione dei farmaci biotech a brevetto scaduto e l’introduzione di procedure price/volume, vale a dire di rimborso proporzionale ai volumi di vendita, al posto dell’attuale pay-back, se adeguatamente e tempestivamente applicate, potrebbero portare a risultati interessanti e a risparmi nell’ordine di diverse centinaia di milioni di euro".
Per gli aspetti relativi al finanziamento, secondo il Censis-Forum per la ricerca biomedica, "occorre riflettere sugli attuali meccanismi di pay-back, che ribaltano sui produttori, e dunque anche sugli investimenti in ricerca, i risultati dei fallimenti terapeutici, quelli del carente controllo regionale sulla programmazione a livello di prescrizioni e consumi di farmaci, ed anche (ancor più grave) quelli dei disavanzi di bilancio conseguiti in altri ambiti della sanità".
Ma bisogna anche individuare le priorità, solitamente sulla base della “promessa di successo”, e le modalità concrete di conduzione della ricerca e della sperimentazione nel campo della salute. Inoltre, per il Forum per la ricerca biomedica, "punto di assoluta importanza è quello relativo alle politiche di incentivazione dell’innovazione, ed in particolare della ricerca biomedica innovativa, ed alla relativa remunerazione, senza il quale ogni altro sforzo risulterebbe vano”.
In particolare, il Forum per la Ricerca Biomedica propone di vagliare le seguenti significative opzioni:
- la collaborazione tra pubblico e privato, "tema antico, rispetto al quale notevoli passi avanti sono stati fatti nel tempo anche in paesi come l’Italia, tradizionalmente poco inclini a simili collaborazioni. Ma molto ancora resta da fare, rispetto all’ampio possibile panorama delle collaborazioni e alleanze tra industria e accademia in modo particolare";
- la collaborazione precompetitiva tra aziende, favorita da programmi nazionali ed internazionali;
- la definizione di innovatività nel campo specifico della ricerca biomedica e le modalità della sua misurazione e remunerazione.
C'è un punto, poi, che "appare particolarmente importante tra le proposte da portare avanti per un futuro non immediato": quello della valutazione congiunta dei costi delle terapie in tutte le loro articolazioni. “Come accade anche in altri comparti e settori, questo ambito di spesa pubblica per le politiche del benessere soffre per la carente integrazione delle informazioni e delle valutazioni sul mix degli strumenti e dei servizi e sull’impatto complessivo del processo terapeutico sul singolo paziente e sulle categorie di pazienti. Questa carente integrazione non permette di valutare ad esempio quali siano i risparmi ottenibili in uno dei segmenti della terapia grazie al potenziamento di una altro segmento. Così non siamo in grado di produrre valutazioni rispetto ai risparmi ottenibili ad esempio nella spesa ospedaliera a seguito dell’investimento in farmaci innovativi”.