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QS Edizioni - lunedì 1 luglio 2024

Il dibattito. Gli stakeholders in coro: "Servono un maggior coinvolgimento dei pazienti e uno sforzo per ridurre la frammentazione territoriale"

20 aprile - Lo studio elaborato dal Forum per la Ricerca Biomedica e dal Censis mette in luce “la crescente importanza sociale del farmaco, che è diventato un elemento di assoluto riferimento”. E’ la valutazione secca e incisiva con cui Giuseppe De Rita, presidente Censis, ha aperto la tavola rotondo che ha riunito diversi stakeholders del settore per analizzare i risultati e le implicazioni della ricerca. Tuttavia il farmaco “rappresenta un prodotto estremamente peculiare, che si discosta dagli ultimi 30 anni di ricerca sulla medicina alternativa e di cui la maggior parte dei cittadini non conoscono la composizione e le procedure di lavorazione”.

De Rita ha poi osservato come l’arrivo di quelli innovativi e di ultimissima generazione “accentuerà la già elevata dipendenza psicologica e la fiducia quasi cieca nutrita verso i farmaci dalla maggior parte della popolazione italiana, aprendo quindi nuovi scenari e ponendo questioni sino a oggi sconosciute anche in relazione al costo e ai meccanismi di partecipazione alle spesa. Il farmaco è sempre più contemplato come elemento risolutivo e si tradurrà in una vera e propria emergenza, in quanto subito e desiderato ma ben poco conosciuto nel dettaglio”.

I dati evidenziati dallo studio “presentano anche molteplici elementi positivi, come la speranza di vita che continua a crescere nella realtà scientifica e anche nella percezione delle persone – ha osservato Carla Collicelli, segretario generale Forum per la Ricerca Biomedica – Basti pensare che oltre il 27% delle persone con tumore in Italia oggi riesce a guarire ed è in netta crescita la richiesta di poter vivere il più a lungo possibile con le patologie tumorali, conducendo un’esistenza normale: si tratta di un approccio funzionalista che sta attecchendo e che schiude implicazioni sino a oggi poco conosciute”. Allo stesso tempo però “viene denunciata l’indisponibilità di farmaci innovativi rispetto alle effettive esigenze. Come certificano i riscontri Istat, il 7,4% degli italiani ha totalmente rinunciato a determinati prodotti perché non li trova oppure per motivi economici”. La difficoltà di accesso “è quindi in Italia un problema enorme, dovuto soprattutto al fatto che i giorni che intercorrono tra l’autorizzazione internazionale all’immissione sul mercato di un farmaco e la disponibilità italiana sono spaventosamente superiori alla media europea”.

E’ quindi necessario, aggiunge Collicelli, “una maggiore cooperazione tra strutture pubbliche e private e un migliore coinvolgimento dei pazienti e delle loro rappresentanze, il tutto imperniato su un approccio olistico che tenga conto di ogni componente del farmaco”. Anche perché l’attesa verso i nuovi prodotti “ha ormai raggiunto livelli elevatissimi il 2014 ha rappresentato un anno particolarmente interessante sotto il profilo dell’innovazione – ha ricordato Americo Cicchetti, direttore Altems dell’Università Cattolica – Tuttavia lo studio mostra come il 78,8% ritenga che troppi farmaci per patologie gravi siano a carico dei pazienti. Ciò rende l’idea di quanto sia distorta la percezione: tantissimi cittadini pensano di non avere a disposizione soluzioni in realtà esistenti. Questo dato costituisce una sfida nodale che attende al varco il Ssn per i prossimi anni”. Anche Cicchetti ha sottolineato, sulla base di questi dati, “la necessità di un più ampio coinvolgimento dei pazienti e delle loro associazioni sul piano istituzionale in modo da oliare e rinforzare i sistemi di valutazione dei farmaci, soprattutto per quanto concerne l’impatto sulla qualità della vita”.

Altra questione annosa che accompagna l’Italia “ormai da anni è legata alla disuguaglianza nell’accesso dovuta principalmente alla frammentazione del nostro sistema organizzativo e gestionale – ha ragionato Stefano Vella, direttore del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità – Per garantire una maggiore omogeneità condivido l’importanza di coinvolgere con più decisione i pazienti, migliorarando le verifiche e le attività regolatorie. I farmaci devono infatti rappresentare un poderoso strumento di prevenzione: in questo senso è prioritario rendere più efficace il profilo comunicativo, valorizzando in primis l’enorme funzione sociale che può rivestire il prodotto farmaceutico”.

Un altro concetto che necessità di una più attenta definizione e modulazione è quello di innovazione: questa la priorità tracciata da Pierluigi Navarra, direttore dell’Istituto Farmacologico della Cattolica. “Bisogna affinare gli strumenti per quantizzare l’innovazione dei nuovi farmaci – ha spiegato – evitando assolutamente di restare ancorati ad aspetti intuitivi. In materia di quantizzazione l’Italia era infatti partita nel migliore dei modi, ma attraversa oggi una fase di stallo. Definire in maniera condivisa l’innovazione deve infatti avvenire tenendo conto di tutte le componenti e non soltanto del contesto industriale”.

Anche Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria, ha proposto alcune riflessioni sullo stessa tema. “In Italia registriamo una notevole difficoltà a comprendere come gestire la valanga di farmaci innovativi in arrivo – ha riferito – Si tratta di prodotti in grado di garantire una mole enorme di risparmi: basti considerare quante spese potrebbero limitare quelli contro l’epatite poiché eviterebbero procedure spiacevoli e costose come chemioterapia, trapianti, etc. Tuttavia c’è ancora grossa confusione in materia: mi chiedo, per esempio, quale sia la funzione dei registri regionali quando già esiste il registro Aifa”. Scaccabarozzi non ha poi risparmiato stoccate all’intesa Stato-Regioni sui tagli che sta approdando alla fase conclusiva. “Per l’ennesima volta verranno accollati, tramite il ripiano, all’industria i costi dell’innovazione. Purtroppo si fatica sempre più a comprendere che il farmaco è parte integrata di un approccio complessivo in grado di far risparmiare sul serio”.

Sembra in atto “un autentico fenomeno di razionamento dei farmaci – ha concluso i lavori Francesco De Lorenzo, presidente Favo – che si manifesta a vari livelli. Si tratta di una dinamica che si argina intervenendo sugli assetti istituzionali e organizzativi. Bisognerebbe, in primis, restituire centralità allo Stato per quanto attiene la gestione del Ssn, rivedendo l’attuale sistema che ha generato un’enorme dispersione di risorse su tutto il territorio. Non si riesce infatti a mettere in campo una politica omogenea: è assurdo, per esempio, che il Piano oncologico nazionale giaccia nel cassetto dal 2011. L’universalismo come è inteso oggi non è inoltre più sostenibile: i benestanti che devono acquistare farmaci per patologie acute non gravi paghino interamente; al contrario, chi si colloca sotto certe fasce di reddito non dovrebbe sostenere neanche il ticket”.
 
Gennaro Barbieri
 
20 aprile 2015
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