La dimensione ideale delle Asl? Né quella maxi ma nemmeno quella mini, se entrambe sono frutto di dogmi o semplificazioni. Tipo, “aumenta la dimensione aziendale, quindi si fanno economie di scala e tutto il resto può rimanere com’è”. La dimensione ideale delle Aziende sanitarie e ospedaliere è quella che a seconda dei territori e delle singole storie aziendali viene definita evitando generici scivolamenti sull’equazione “meno aziende, meno costi della politica”. E’ un position paper articolato quello elaborato da Mario De Vecchio, professore di economia aziendale Università di Firenze, a seguito della “consensus conference” FIASO del 9 novembre scorso e presentato il 12 giugno a Roma, in occasione dell’Assemblea nazionale della stessa Federazione delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere.
La cura dimagrante dalle Usl alle Asl
L’attualità e la rilevanza del tema è tutta nei numeri. Nell’ultimo decennio il numero delle aziende si è ridotto parecchio con una accelerazione soprattutto negli ultimi 5 anni, specie nelle regioni in Piano di rientro. Nel ’92 alla vigilia della Riforma le vecchie Usl sostanzialmente ancorate ai Comuni erano ancora ben 659. Nel ’95 l’applicazione della Riforma riduceva le nuove Aziende a 228 e da allora è stato un inarrestabile processo di aggregazione, che ha portato prima alle 197 nel 2001 e poi alle 145 Asl del 2002, mentre il numero delle Aziende ospedaliere è rimasto sostanzialmente invariato: 81 erano nel ’95, 80 sono ora (dato 2012). Nella maggioranza dei SSR la dimensione comune delle Asl è diventata quella Provinciale. Con casi di aggregazioni persino regionali, come quello delle Marche.
Aggregazioni figlie del neo-centralismo
“I processi di aggregazione –sottolinea il position paper Fiaso- tendono a far prevalere logiche e razionalità sovraordinate rispetto all'autonomia aziendale, rafforzando una visione dei sistemi regionali come gruppo di aziende pubbliche dirette da una holding regionale cui pertiene interamente la titolarità dei risultati così come l’onere per il loro conseguimento. Tale visione trova la sua più estrema applicazione in alcune esperienze di regioni sottoposte a piani di rientro (PdR) dove gli interventi sugli spazi di autonomia delle aziende sono stati di tale entità da relegarle al ruolo di unità operative di centri decisionali accentrati a livello regionale o, addirittura, nazionale.”
Tutto questo muovendo da un’idea “largamente diffusa ma scarsamente motivata”, sottolinea il Prof. Del Vecchio, che le Aziende più grandi possano assicurare un maggior controllo finanziario del sistema. Idea che non troverebbe supporti nelle evidenze fino ad oggi note. Tant’è –si sottolinea- “nemmeno i risultati delle esperienze britanniche, a fine alla fine degli anni '90, dopo dieci anni di processi di concentrazione degli ospedali, consentono di sostenere con convinzione che più grande è meglio”
Vantaggi e svantaggi delle Aggregazioni
Certo, le aggregazioni hanno i loro vantaggi. E non sono pochi, visto che vanno dalla esaustività dei servizi offerti all’aumento del potere contrattuale rispetto ai fornitori, dalle economie di scala (soprattutto sui servizi di supporto e la catena del farmaco) alle potenzialità di innovazioni su larga scala. Ma di contro possono comportare perdita di identità culturale, complessità del coordinamento e difficoltà a bilanciare la centralizzazione del controllo e della programmazione con l’autonomia di gestione a livello periferico.
“Piccolo”, al contrario, consente tra l’altro: migliore integrazione socio-sanitarie ed ospedale-territorio, tempestività di azione del management, maggior controllo di spesa, maggior coinvolgimento degli operatori. Ma anche per le Aziende di ridotte dimensioni c’è il rovescio della medaglia, dato dalla incapacità di conseguite economie di scala, da funzioni ospedaliere incomplete e da una figura del Dg che può finire per comprimere le autonomie professionali.
La dimensione ideale: l’Azienda “dai confini duttili”
E allora? “E allora il ridimensionamento aziendale dovrebbe essere frutto di un attento esame del rapporto “costi-benefici” per l’intero funzionamento del sistema, senza scivolare nella falsa retorica dell’efficientismo tout court” , sottolinea il Presidente della Fiaso
, Valerio Fabio Alberti. Per il quale “non esistono automatismi che facciano concludere maxi è meglio di mini o viceversa”. “Più che concentrarci sui modelli accentramento o decentramento, che vanno e vengono come il pendolo, abbiamo preferito concentrarci sui meccanismi che determinano la funzionalità dei servizi: come la perdita di identità aziendale e la presenza di top e middle management con le capacità di gestione dei processi e delle risorse che aziende di più vaste dimensioni richiedono”.
“Avremo raggiunto il nostro scopo –conclude Alberti- se chi ha il compito di programmare affronterà il tema del dimensionamento aziendale considerando tutte le variabili in gioco e senza accontentarsi di seguire un dogma”.
Parole in linea con le conclusioni del documento. “Le ragioni esposte – conclude il position paper Fiaso- rendono addirittura desiderabile che i confini aziendali non siano rigidi ma duttili, lineari ma irregolari, tracciati innanzitutto dalle convenienze aziendali, dalle contingenze, dalla storia organizzativa, dalla capacità manageriale e siano meno espressione diretta del disegno politico-istituzionale. Riconsiderare la plasticità dei confini aziendali non intende significare un ridimensionamento della funzione di governo di sistema che assicurano le Regioni, ma offrire una visione più aggiornata della governance in sanità, in cui la legittimazione ed il presidio del disegno politico-istituzionale sono saldamente nelle mani della Regione, mentre le aziende sovraintendono il processo di sua realizzazione.”