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QS Edizioni - lunedì 1 luglio 2024

Strutture hospice. La situazione dei finanziamenti e degli operatori

27 maggio - Nel corso dell’anno 2011 il Ministero ha avviato un’attività di verifica congiunta con le Regioni sui dati censiti dal Sistema Informativo Sanitario Nazionale in merito alle strutture hospice presenti sul territorio nazionale. Questo tipo di strutture ospedaliere, integrate nei nosocomi, offrono un’assistenza particolare ai malati terminali di cancro che non possono passare in casa gli ultimi momenti: in questi luoghi i pazienti ricevono le stesse cure che riceverebbero in un ospedale, ma con un’attenzione particolare alla loro condizione e con l’aggiunta di alcune terapie specifiche per il dolore, nel tentativo di limitare più possibile la sofferenza.
 
Le informazioni su questi organismi sono trasmesse dalle Regioni al Ministerotramite le Regioni che hanno l’obbligo di censire le strutture, localizzate all’interno di ospedali o di altri centri sul territorio, aventi i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per essere definite hospice. L’obiettivo era dunque quello di verificare la rispondenza dei dati rilevati dalle fonti del Sistema Informativo Sanitario Nazionale, all’effettivo stato dell’arte nelle diverse realtà regionali della rete di offerta di cure palliative.
Questi dati, insieme a quelli relativi alle prescrizioni dei medicinali per la terapia del dolore oggetto di monitoraggio ministeriale e a quelli ottenuti dai professionisti della Rete di Cure Palliative, danno un quadro piuttosto preciso dello stato dei trattamenti per i malati terminali nel nostro paese.
Oltre allo stato degli hospice, il rapporto evidenzia come nel nostro Paese, da quando è entrata in vigore la legge 38/2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, il cui scopo è proprio tutelare il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore, sia aumentato il ricorso da parte dei medici e del personale degli oppioidi per attenuare il dolore dei malati: un incremento che il Documento definisce “decisamente apprezzabile” ovvero di circa il 30%. Ma il problema non sono solo i farmaci.
 
Il problema dei finanziamenti: stanziati, ma talvolta poco utilizzati
Il primo atto legislativo riferito alle cure palliative è stata l’emanazione della legge n. 39 del 26 febbraio 1999, la quale ha sancito il diritto del cittadino di poter accedere alle cure palliative e ha previsto un programma nazionale per la creazione di strutture residenziali di cure palliative (hospice) in tutte le regioni italiane, con una disponibilità finanziaria pari a circa 206 milioni di euro. Trascorsi più di 10 anni dall’entrata in vigore della Legge 39/99 la realizzazione del programma non è ancora completa. Con i fondi stanziati era stata programmata la realizzazione di 201 strutture residenziali per malati terminali prevalentemente oncologici con una dotazione di 2.232 posti letto; come si registra l’attuale numero di hospice realizzati è pari a 166 unità di cui 120 con fondi provenienti dalla Legge 39/99 e 46 con altri finanziamenti regionali o privati. Congiuntamente si registra un utilizzo non omogeneo dei finanziamenti previsti; a fronte di una percentuale totale di utilizzo del 88,28%, nell’analisi dei dati disaggregati a livello regionale, è evidenziata una situazione critica in particolar modo per la regione Sardegna (con solo il 15,91% di utilizzazione dei finanziamenti).
Un dato che permette una misura indiretta sulla capacità delle reti di cure palliative esistenti di intercettare i reali bisogni di assistenza palliativa della popolazione è quello riguardante il numero di pazienti deceduti in un reparto ospedaliero per acuti con una diagnosi primaria o secondaria di tumore calcolato sui dati provenienti dal flusso SDO (Scheda di dimissione ospedaliera) del Sistema Informativo del Ministero della salute.
Considerando che il numero di decessi in ospedale di questa tipologia rilevato nell’anno 2010 rappresenta poco meno di un terzo dei pazienti morti per una neoplasia nel nostro Paese, che il decesso avviene in un reparto ospedaliero dedicato agli acuti, che tali pazienti permangono in ospedale con un tempo medio di ricovero di circa 12 giorni si potrebbe presupporre che alcuni dei ricoveri rilevati siano a rischio di inappropriatezza e che probabilmente il decesso avviene con una qualità ben lontano dagli standard assicurati dalle cure palliative.
 
Chi sono gli operatori inseriti in questa rete, specialisti e non specialisti
Una sezione del rapporto è infine dedicata all’analisi di quali sono le figure professionali inserite nella rete di cure palliative. Relativamente agli hospice la presenza del medico è rilevata nella misura di un medico a tempo pieno ogni 5,3 posti letto. Si stima pertanto che, a fine 2010, siano un numero variabile tra 489 e 978, i medici che operano all’interno degli Hospice. Per i centri di Cure Domiciliari è stimabile perlomeno un numero analogo. Nel marzo 2011 è stata condotta una indagine da SICP-FCP finalizzata a individuare il curriculum professionale ed accademico dei medici palliativisti che operano nei centri italiani di cure palliative attraverso l’invio di un questionario alle strutture pubbliche e private operanti in cure palliative finalizzato ad individuare i percorsi formativi e l’esperienza specifica in cure palliative documentabile dei medici operanti. Hanno risposto al questionario della SICP- FCP 208 strutture delle quali sono risultate analizzabili 200 strutture rappresentative di tutto il territorio nazionale.
I questionari hanno rilevato 1070 medici che si stima rappresentino circa la meta di tutti i medici che operano nell’ambito delle cure palliative. È stimabile pertanto che i medici dedicati alle cure palliative che operano attualmente in ambito nazionale siano circa 2.000.
Dall’analisi dei dati emerge che tra quelli che lavorano in questo ambito sono 734, pari al 68,59%, i medici in possesso di un diploma di specialità, mentre sono 328 (il 30,65 %) quelli che non hanno un diploma di specialità.
Dei medici specialisti, 427, quasi il 40% (39,91%) è in possesso di una delle specialità previste dalla legge 38/2010 (anestesia e rianimazione, geriatria, neurologia, oncologia, radioterapia, pediatria), mentre 307, il 28,69 %, è in possesso di altre specialità.
Sempre in relazione ai medici oggetto di indagine il 46,73% lavora presso una struttura pubblica, mentre il 38,32% opera presso una struttura del privato non profit accreditato.
Fra le specialità più rappresentate fra i 427 medici che possiedono una specialità previste dalla legge 38, l‟Oncologia è posseduta dal 43,56 % dei palliativisti (186), seguita da Anestesia e Rianimazione dal 35,60% (152) e da Geriatria dall‟11,24% (48) dei medici. Solo 17 palliativisti sono radioterapisti ( 3,98%), 9 sono pediatri ( 2,11%) ed infine solo l‟1,87% dei medici è specialista in neurologia. In oltre dell’80% degli anestesisti e deglioncologi è documentabile un‟esperienza in cure palliative da più di 3 anni, che scende lievemente per i geriatri ( 79,17%) mentre fra i radioterapisti si scende al 23,53%.
Nonostante ciò, solo 81 medici (il 36,65%) è assunto con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, mentre la maggioranza ( 41,63 %) ha un incarico libero professionale.
Se analizziamo le altre specialità possedute dai medici con specialità non previste dalla legge 38 emergono come le più rappresentate la Medicina Interna (14,01%) e la Chirurgia nei suoi diversi settori (13,68%), seguite da Medicina Generale , Malattie Infettive e Ematologia rispettivamente con valori pari a 9,12%, a 7,49% e a 7,17%.
Relativamente ai 328 medici che operano in cure palliative senza specialità 219, pari al 66,77% ha più di 3 anni di documentata esperienza in cure palliative e in oltre l‟80% dei casi ha eseguito percorsi formativi specifici in cure palliative dei quali il 14,16% ha seguito più di un corso.
Di quest‟ultima categoria di medici palliativisti senza specialità, con più di 3 anni di esperienza in cure palliative più del 70% (70,32% pari a 154 unità) lavora con un contratto libero professionale e solo il 14,16% ha un’assunzione a tempo indeterminato.
27 maggio 2012
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