28 febbraio -
Credo di avere buoni motivi per annoverarmi tra coloro che conoscono molto da vicino il pensiero di Ivan Cavicchi, il suo impegno intellettuale e la sua ostinata e ben nota passione riformatrice.
Da quando, nel 2018, sono stato nominato presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) con il professor Cavicchi ha preso forma una straordinaria complicità culturale, grazie alla quale la “questione medica” è stata studiata – forse come mai fatto in passato – provando ad analizzarne contraddizioni e problemi.
Non è un caso se proprio al professor Cavicchi la FNOMCeO ha affidato il compito di scrivere le 100 tesi che sono alla base del nostro progetto di ridefinizione della professione medica.
Per cui, per me, la Prefazione di questo libro è, allo stesso tempo, un onore e un piacere, ma anche un’occasione per aiutare quasi maieuticamente la nascita di un pensiero che possa costituire una svolta.
E considero questo libro, in tutti sensi, una vera svolta per diverse ragioni – che vi enuncerò qui di seguito, prima su tutte perché, a mio parere, rispetto alla letteratura disponibile e alle analisi effettuate sulla medicina e sulla sua crisi, possiede un valore aggiunto e segna un vero e proprio cambio di passo. Viene infatti ricostruito l’impianto concettuale della medicina nella sua interezza e correlata complessità: dal paradigma si passa alla dottrina, quindi alla disciplina e infine alle prassi e si delinea un vero e proprio sistema di regole.
L’idea di fondo è illuminante: come si fa a dire che la medicina è in crisi se prima non si definisce cosa è la medicina? E ha ragione, in effetti, il professor Cavicchi perché a seconda di come si considera la medicina si possono avere generi diversi di crisi. Se la medicina fosse considerata semplicemente una disciplina scientifica la crisi, in questo caso, sarebbe limitata ai problemi della scienza, ma se la medicina è altro cioè è più della disciplina scientifica e riguarda per esempio anche la dottrina o il paradigma, in questo caso, la crisi inevitabilmente sarebbe più estesa e più complessa.
Ma anche più profonda e più difficile da risolversi.
Personalmente sono grato al professor Cavicchi per questo lavoro di ricostruzione dell’impianto concettuale della medicina che consente di comprenderne meglio la complessità e l’“impareggiabilità” (per citare il titolo di questo libro).
Troppe, infatti, sono le proposte in circolazione che banalizzano o ignorano la complessità della medicina, a discapito sia del malato che del medico.
Inoltre, considero questo libro una svolta anche per l’analisi della crisi della medicina e delle sue dinamiche che va oltre i luoghi comuni, giungendo a una diagnosi realistica ed estremamente utile per la professione, per le istituzioni ordinistiche, per gli operatori sanitari e per gli attori del sistema.
Personalmente mi ritrovo in pieno, sia come medico che come presidente della FNOMCeO, nella sua teoria di fondo e cioè che la maggior parte dei problemi della medicina, e quindi degli operatori e dei malati, dipende dal cambiamento della società che nella sua realtà dell’oggi mette in discussione le regole e i criteri che hanno guidato la medicina fino a ieri.
Il professor Cavicchi in questo libro parla di crisi epocale cioè di una crisi che poteva capitare solo oggi ai nostri giorni. Quindi di un genere inedito di crisi, che ci dice essere fatta sostanzialmente da bias, da disallineamenti che si sono creati nel tempo tra la medicina e la società, quindi tra i malati e la realtà, tra noi medici e i cittadini.
La teoria dei bias che ci propone il professor Cavicchi ha il pregio non solo di offrici + un’interpretazione concreta dei problemi della medicina ma di indicarci la strada per cercare le soluzioni di cui abbiamo bisogno: la strada della riforma e della ri-contestualizzazione, del ripensamento con l’obiettivo strategico di creare nuove condizioni di adeguatezza, di fiducia, di coerenza tra la medicina e il mondo.
Non si può pretendere che il mondo si adatti ai nostri problemi, siamo noi al servizio dei diritti quindi della Costituzione, siamo noi che dobbiamo adattarci ai problemi del mondo e per fare questo, sostiene il professor Cavicchi, la medicina deve ridiscutersi e anche profondamente, non è sufficiente una maggiore dose di amabilità.
Oggi si tratta di ripensare il nostro modo di essere medici, il nostro modo di curare le persone, di essere in grado di interpretare tanto le singolarità quanto le complessità che ci sono, di usare le relazioni per conoscere il proprio malato e per decidere insieme a lui, cioè di scegliere consensualmente, le cure necessarie.
La proposta insita in questa analisi, in un contesto storico pandemico che ha costretto tutti, decisori politici e attori del sistema, a ridiscutere i parametri di valutazione e operatività che si ritenevano immutabili in sanità, è un regalo prezioso che potrà essere accettato o messo in discussione, ma a cui va riconosciuta quanto meno coerenza e quella onestà di intenti che ha come obiettivo il giusto riallineamento tra medicina e società.
Infatti, è proprio sul risolvere i problemi di coerenza interna dell’attuale apparato concettuale che insiste Ivan Cavicchi, considerando questa la prima condizione che permetterà di recuperare i bias tra medicina e realtà.
Non è coerente, a ben vedere, considerare a priori il malato come una persona complessa e conoscerlo come una malattia semplice, come non è coerente sostenere una epistemologia della complessità e studiarlo in modo lineare deterministico e meccanico.
Ricostruire la coerenza interna al nostro sistema concettuale impone che non ci siano dissonanze e che i valori, le regole, i criteri, i principi dell’impianto non confliggano. La medicina senza dissonanze è lo scopo della proposta di questo libro.
Un’ultima cosa prima di lasciare al lettore il piacere non solo della lettura ma anche della scoperta.
Come presidente FNOMCeO mi ha particolarmente colpito una tesi forte molto cara, sia a me che al professor Cavicchi, sulla quale ci siamo
molto battuti e che riguarda l’autonomia del medico e delle sue prassi.
Lui sostiene che per secoli, quindi fino ai giorni nostri, l’impianto concettuale della medicina ha “prescritto” al medico cosa fare e come fare perché riusciva, in qualche modo, a definire degli a priori in grado di governare i diversi gradi di complessità con i quali il medico aveva a che fare.
Mentre oggi le complessità in gioco sono tali che gli a priori da soli non bastano più. Essi, secondo lui, prima vanno aggiornati per avere la garanzia di poter contare su prassi davvero adeguate, poi integrati riconoscendo anche giuridicamente al medico maggiore autonomia di giudizio.
Per cui, per la prima volta nella storia della medicina, questa società è costretta, se vuole essere idoneamente curata, a prescrivere al medico come comportarsi ma nello stesso tempo a lasciargli ampi spazi di autonomia intellettuale.
Quindi per la prima volta si tratta di riconoscere una funzione importante al pensiero discrezionale, pensiero, precisa il professor Cavicchi, che in ogni caso avrà comunque l’obbligo di essere garantito.
Questa maggiore autonomia intellettuale del medico giustificata da una maggiore complessità implica la necessità di avviare una riformadella formazione universitaria.
La tesi a mio parere per quanto impegnativa è molto suggestiva e conferma l’intuizione che come FNOMCeO abbiamo avuto nel 2018 e cioè quella di ridefinire l’autonomia del medico e di conseguenza la sua formazione professionale al solo fine di rispondere meglio ai nuovi bisogni sociali.
Chiudo congratulandomi con Ivan Cavicchi, amico e complice, per l’interessante opera che ci consegna, augurandomi che essa abbia nell’interessedella medicina, della professione e dei malati il successo che merita.
Bertolt Brecht diceva che le idee sono come le palle di neve, vanno lanciate prima che si sciolgano in mano. È ciò che spero avvenga nell’interesse generale con questo libro.
Filippo Anelli