Tanto si è parlato in questi ultimi mesi di trapianti di cellule staminali, per curare diverse patologie. Tra le tante su cui si sta sperimentando anche il morbo di Parkinson, per il quale si stanno testando impianti di staminali in determinate aree cerebrali. Tuttavia, precisa la Limpe (Lega Italiana per la lotta contro la malattia di Parkinson, le Sindromi Extrapiramidali e le Demenze), queste ancora non possono essere raccomandate, perché non ancora validate. “Va ribadito che questi trattamenti devono essere validati scientificamente in sperimentazioni cliniche controllate condotte in strutture riconosciute e da medici competenti secondo le regole in vigore e a garanzia dei pazienti”, ha ribadito la Società scientifica che, insieme a Dismov-Sin, fa parte del comitato promotore della Giornata Nazionale Parkinson, che si terrà il prossimo 30 novembre e coinvolgerà numerose strutture locali a livello nazionale. Nel corso dell’evento numerosi neurologi esperti offriranno approfondimenti anche su questo aspetto della patologia, le cui cause ed effetti presentano a tutt’oggi elementi da approfondire.
Come scritto nelle Linee Guida sulla diagnosi e il trattamento del Parkinson: “Altre tecniche chirurgiche a oggi ancora in via di sperimentazione prevedono l’impianto di cellule staminali in determinate aree cerebrali, più spesso caudato, putamen, bilaterale, striato e zona ventricolare sublaterale. I tipi di trapianto più studiati sono a oggi, il trapianto autologo di staminali mesenchimali adulte di derivazione midollare e l’impianto di tessuto mesencefalico embrionale o neuroni dopaminergici embrionali”. Sempre nelle Linee Guida si sottolinea che: “In termini di Sanità Pubblica attualmente non esiste però alcun trattamento con cellule staminali raccomandato per i pazienti con malattia di Parkinson”.
Ma allora quale trattamento? Nei pazienti che presentano gravi complicazioni motorie, in cui il trattamento farmacologico ha perso la sua efficacia o è causa di reazioni avverse, è possibile ricorrere al trattamento chirurgico.Il risultato dell’intervento dipende da una serie di fattori, primo fra i quali la selezione dei soggetti che si possono sottoporre all’operazione. Questo passaggio è di fondamentale importanza e risponde a rigorosi criteri che sono presenti nelle Linee Guida sulla diagnosi e il trattamento del Parkinson, pubblicate da Limpe insieme all’Istituto Superiore di Sanità. Attualmente i possibili trattamenti chirurgici disponibili rientrano in due categorie, lesione o stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation, DBS), sebbene quest’ultimi siano quelli più utilizzati perché più sicuri e con minori complicanze.
Gli interventi di stimolazione cerebrale profonda (DBS) prevedono il posizionamento intracerebrale, tramite metodiche di neurochirurgia stereotassica, di un elettrodo in grado di erogare una specifica stimolazione elettrica all’interno di una specifica area del cervello, implicata nella genesi dei sintomi parkinsoniani. Le principali aree target per il trattamento della malattia di Parkinson in fase avanzata sono rappresentate dal Nucleo Subtalmico e dal Globo Pallido interno. “La scelta del target di stimolazione, insieme alla selezione dei pazienti candidati al trattamento chirurgico sono fra le principali criticità connesse alla DBS” dichiara il Prof. Lopiano. A questi elementi si aggiungono poi la scelta dei parametri di stimolazione e i criteri per il follow-up. I vantaggi forniti dalla procedura sono però evidenti: la stimolazione è modificabile nel tempo e modulabile fino a che non si raggiunge un significativo livello di efficacia. Numerose pubblicazioni sembrano ormai concordi nel ritenere che i parkinsoniani, da tempo trattati con la terapia farmacologica, affetti da discinesie e fenomeni on – off, rispondono positivamente alla DBS con miglioramento anche a lungo-termine.
La DBS viene di solito proposta a pazienti che, pur avendo una buona risposta ai farmaci, presentano fasi di blocco motorio invalidanti e/o gravi movimenti involontari; i pazienti candidati alla terapia chirurgica non devono avere gravi malattie internistiche, problemi psichiatrici di rilievo e, per quanto riguarda l’età, sebbene non esista un limite assoluto, nei soggetti con più di 70 anni è bene considerare l’opzione chirurgica con cautela.
Allo scopo di definire e uniformare la selezione dei pazienti candidati al trattamento chirurgico devono essere seguiti precisi criteriquali la certezza della diagnosi di malattia di Parkinson idiopatica, la presenza di una buona risposta alla levodopa e la presenza di complicazioni motorie; l’intervento di DBS non è invece indicato nei pazienti con diagnosi di parkinsonismo atipico, nei pazienti che manifestano disturbi cognitivi o psichici, o in presenza di controindicazioni chirurgiche.