Sembra concludersi con un’ennesima bocciatura dell’ormai famoso “metodo Zamboni” anche l’ultimo studio che ha tentato di valutare la correlazione tra sclerosi multipla e insufficienza cerebrospinale venosa (CCSVI). La notizia arriva da Ectrims (European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis), Congresso europeo sul trattamento e la cura della Sclerosi Multipla che si è concluso venerdì a Lione. I dati dello studio multicentrico Cosmo, promosso e finanziato dall'Associazione Italiana Sclerosi Multipla (Aism) e dalla sua Fondazione, la Fism, dimostrerebbero infatti come il 97% dei malati non presenta il problema alle vene, e come dunque non ci sia alcuna ragione perché le persone con sclerosi multipla si sottopongano a esami per la diagnosi di Ccsvi.
Ma non solo. Nel restante 3% del campione che presenta sia sclerosi che insufficienza cerebrospinale venosa (Ccsvi), la patologia vascolare sarebbe presente con percentuali paragonabili quelle dei soggetti sani (2% circa) e dei pazienti con altre malattie neurologiche (3% circa). “I dati dimostrano che la patologia non è legata alla sclerosi multipla, tanto è vero che si riscontra in percentuali simili anche in soggetti del tutto sani. Non c'è nessun motivo che possa indurre a curare la prima per trattare la seconda”, ha commentato
Giancarlo Comi dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, uno dei primi autori di Cosmo. E i risultati, secondo lo scienziato, non sarebbero nemmeno inattesi: “Da diverso tempo, per una serie di consistenti motivi ampiamente documentati dalle pubblicazioni scientifiche, la comunità scientifica aveva già escluso l’idea che la Ccsvi potesse essere la causa della sclerosi multipla”, tanto che già a gennaio l’Aism
aveva bocciato i finanziamenti alle sperimentazioni sul metodo Zamboni. “Ma molti di noi ricercatori scientifici – ha aggiunto Comi – avevano ritenuto di non poter escludere a priori che questa condizione potesse avere qualche ruolo, anche secondario, tra i diversi e molteplici fattori che sono in gioco nel determinare l’evoluzione della sclerosi multipla. I risultati di Cosmo evidenziano che non c’è alcuna possibilità neppure per questo ruolo minore della Ccsvi nella sclerosi multipla”.
La primissima semi-bocciatura per il metodo era arrivata nel 2010, sempre dal congresso Ectrims. In quell’occasione gli esperti riuniti avevano dichiarato che non ci fossero abbastanza prove a sostegno che la sclerosi multipla fosse causata dalla Ccsvi, come appunto proposto qualche anno fa dal chirurgo vascolare
Paolo Zamboni. Tuttavia, le evidenze di alcuni studi condotti sulle due patologie instillavano ancora dubbi: alcuni pazienti affetti da sclerosi multipla presentavano effettivamente un restringimento delle vene cervicali e toraciche che rendeva difficile il deflusso del sangue dal sistema nervoso centrale a livello di collo, torace e colonna vertebrale.
A riguardo della correlazione poi, nel corso del tempo, da una parte numerosi neurologi avevano dichiarato di non credere che la Ccsvi potesse effettivamente essere causa della sclerosi, e di non essere convinti della sicurezza o del reale beneficio offerto dal trattamento; dall’altra, alcuni chirurghi vascolari avevano cominciato a offrire l’intervento a pagamento nelle cliniche private, talvolta anche con buoni risultati.
Per questo, nel tentativo di dare risposte definitive ai malati, l’Aism ha promosso proprio lo studio Cosmo, partito alla fine del dicembre 2010. Si tratta di uno studio multicentrico con un campione di 1767 partecipanti (1165 con sclerosi multipla, 226 con altre patologie neurologiche e 376 controlli), che ha coinvolto 35 strutture su territorio nazionale, per un investimento complessivo pari a 1,5 milioni di euro. I risultati – come già accennato – non sembrerebbero lasciare spazio a dubbi: la Ccsvi non si associa alla sclerosi multipla, essendo stata riscontrata in appena 38 persone con la malattia (circa il 3%). E nonostante ci sia chi già vorrebbe sollevare dubbi sul disegno dello studio, gli autori rispondono che non è possibile dubitare del meccanismo utilizzato: ogni esame infatti è stato analizzato in doppio cieco, dunque né l'operatore che lo eseguiva, né il sonologo esperto incaricato di esaminarlo a distanza sapevano se il paziente fosse sano, affetto da sclerosi multipla o da un'altra patologia. “Ciò garantisce che la conoscenza della persona esaminata non possa influire sul giudizio e non induca a vedere o a non vedere qualcosa”, ha spiegato Gianluigi Mancardi dell'Università di Genova, a capo del comitato scientifico Aism. “E in più, se diversi studi sulla Ccsvi e Sm erano stati condotti solo su piccoli numeri, per Cosmo abbiamo scelto un campione molto più ampio: più si effettua un'analisi su molte persone e più il risultato è attendibile”.
In ogni caso, come già detto, alcuni continuano a sollevare dubbi sul metodo di diagnosi scelto, che sembrerebbe essere stato bocciato anche dallo stesso Zamboni. E comunque qualcosa sta continuando ad andare avanti, nella ricerca italiana sulla correlazione tra Ccsvi e sclerosi multipla. In Emilia Romagna è partita infatti la sperimentazione Brave Dreams - acronimo per Brain Venous Drainage Exploited Against Multiple Sclerosis, che significa “sfruttare il drenaggio venoso contro la sclerosi multipla” – finanziata proprio dalla regione. Una sperimentazione che dovrebbe invece rispondere a tutti i criteri richiesti perché l’evidenza scientifica di tutto questo diventi inoppugnabile e accettata da tutti, compresi i sostenitori del metodo. E che forse finalmente potrebbe dare la risposta finale (e senza più polemiche) anche a tutti i pazienti che – seppure secondo Cosmo senza alcuna ragione – ancora ripongono grandi speranze nella procedura.
Laura Berardi