Nelle persone con Covid-19, non vaccinate, la somministrazione di plasma convalescente entro 9 giorni dall’insorgenza dei sintomi ha ridotto il rischio di progressione della malattia che porta al ricovero in ospedale. Tuttavia la somministrazione di Plasma iperimmune risulta più efficace se usata entro i primi 5 giorni dalla comparsa dei sintomi.
È quanto emerso da una
ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine e coordinata dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora.
Lo studio multicentrico, in doppio cieco, randomizzato e controllato, ha valutato l’efficacia e la sicurezza del plasma convalescente Covid-19, rispetto al plasma di controllo, in adulti sintomatici (≥18 anni di età) che erano risultati positivi al test respiratorio acuto severo da Sars Cov 2 indipendentemente dai loro fattori di rischio per la progressione della malattia o lo stato vaccinale.
Sotto le lente dei ricercatori sono finiti 592 over 18 anni trattati con plasma iperimmune entro il nono giorno dalla comparsa dei sintomi del Covid messi poi a confronto con un gruppo di controllo di 589 soggetti.
Dall’analisi è emerso che tra i pazienti trattati con il plasma non c’è stato alcun decesso e solo 17 (il 2,9%) sono stati ricoverati. Percentuale che sale a 6,3% nel gruppo di controllo, dove i decessi sono stati registrati tre decessi. Il trattamento con il plasma, sottolineano i ricercatori, ha quindi ridotto il rischio di ricovero del 54% e sembrerebbe essere stato determinante anche nello sviluppo della malattia dopo il ricovero.
in conclusione dai risultati emergerebbe, quindi, come la somministrazione del plasma dei pazienti guariti, nei primi giorni dalla comparsa dei sintomi riduca il rischio di ricovero in terapia intensiva. Soprattutto ha evidenziato quanto sia strategica la tempistica: la somministrazione del trattamento risulterebbe appunto più efficace se effettuata nei primi 5 giorni dalla comparsa dei sintomi, dimezzando il rischio di ricovero.
Ma sul tema il plasma iperimmune continua a concentrarsi anche il
Centro Nazionale Sangue.
“Il Cns è ancora attivo per quel che riguarda il plasma iperimmune – ha dichiarato il Direttore
Vincenzo De Angelis – nonostante i risultati di molti studi, compreso il nostro Tsunami, ne abbiano messo in discussione l’efficacia. Lo facciamo tramite il progetto SUPPORT-E, finanziato dalla Commissione Europea, che ci vede collaborare da un anno e mezzo con i centri di Pavia e di Mantova e con molti partner europei, sotto la leadership dell’European Blood Alliance, l’organizzazione che riunisce i centri sangue d’Europa. Una collaborazione proficua, che ha contribuito alla formazione di un database dedicato e che ci ha permesso non solo di esaminare tutti gli studi a livello europeo e mondiale, ma anche di confrontare i dati e creare nuovi standard, al fine di portare avanti un approccio comune alla ricerca”.
Il nostro impegno, ha proseguito De Angelis “è stato costante e quando, lo scorso dicembre, l’Oms ha di fatto sconsigliato l’utilizzo terapeutico del plasma da convalescente, noi abbiamo ribadito, tramite una lettera a firma del progetto, quanto sia importante proseguire le ricerche. Perché il plasma iperimmune, tramite un approccio integrato, e non alternativo, alle campagne vaccinali e allo sviluppo di farmaci antivirali, potrebbe trovare un suo utilizzo in questa e in future emergenze pandemiche, specie per quelle categorie di persone che non possono essere vaccinate o che non sviluppano un’adeguata risposta immunitaria. In ogni caso, lo studio del
New England Journal of Medicine, conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto sia importante il plasma una risorsa per la quale purtroppo l’Italia non è ancora autosufficiente”.
E.M.