24 febbraio -
Multidisciplinarietà e collaborazione sono parole chiave alla base anche dell’ultimo progetto di ricerca di
Eugenio Mercuri del dipartimento di Neuropsichiatria del Policlinico Agostino Gemelli di Roma, il cui obiettivo è di creare e validare delle scale di valutazione specifiche per misurare la funzionalità degli arti superiori dei ragazzi che hanno perso la deambulazione.
Fino ad oggi i trial clinici per la distrofia di Duchenne sono stati progettati per pazienti deambulanti ma ora, finalmente, inizia a profilarsi la possibilità che alcuni di questi studi siano estesi anche a ragazzi che hanno perso la deambulazione. Uno dei fattori che ha limitato l’estensione degli studi sulla distrofia di Duchenne ai ragazzi più grandi è la mancanza di scale di valutazioni paragonabili a misurazioni come il test dei sei minuti (6MWT), che prevede per l’appunto la capacità di camminare per un certo lasso di tempo. “Lo studio riguarda la possibilità di valutare i giovani adulti in maniera longitudinale, cosicché nel momento in cui arrivassero delle terapie, non si dovrebbe per forza sfruttare solo la sottopopolazione di pazienti che possono ancora camminare, ma si potrebbe aiutare anche i ragazzi più grandi, che hanno già perso questa capacità”, ci ha spiegato Mercuri.
Il progetto fa parte di uno studio internazionale più ampio, a cui collaborano anche le sedi olandesi e statunitensi di Parent Project. “Si tratta di gruppo di lavoro internazionale di cui fanno parte persone che sono abituate a lavorare sui ragazzi affetti da distrofia di Duchenne, ma che non comprende esclusivamente medici”, ha continuato. “Ci sono gli stessi ragazzi, le famiglie, le industrie, in modo che il progetto si sviluppi in maniera più funzionale. Per fare un esempio: ci sono abilità che potrebbero essere misurate ma che non servono ai ragazzi nella vita quotidiana, invece può avere senso misurare capacità come quelle di sollevare oggetti, portare cibo alla bocca, usare un computer o mettere e togliere un cappello, che possono fare la differenza nella qualità della vita dei pazienti”.
Uno strumento come questo potrebbe aiutare nella ricerca e potrebbe corrispondere sia ai bisogni dei medici che a quelli delle famiglie e dei pazienti. “E anche per gli enti regolatori”, ha aggiunto, concludendo, Mercuri. “Avere dati su cui misurare la progressione della malattia e dunque l’efficacia delle terapie non solo in un sottogruppo di pazienti è estremamente importante per capire dove si può e si deve fare meglio”.