16 dicembre -
Le analisi ambulatoriali in Puglia costano in media il 56% in più che in Emilia Romagna, le visite specialistiche in Piemonte sono più care dell’82% rispetto all’Umbria e i prelievi di sangue arrivano a far registrare differenze del 1000% da regione a regione. Sono questi i dati su cosa può produrre il federalismo sanitario presentati in un’indagine da Altroconsumo.
Se da un lato il diritto alla salute è un principio costituzionalmente garantito a tutti i cittadini, dall’altro si nota come la sanità italiana non sia uguale per tutti: varia l’offerta dei servizi e soprattutto i costi che il cittadino è chiamato a sostenere per aver accesso alle prestazioni di base. Come dire Regione che vai, tariffa che trovi. È quanto emerge da un’indagine presentata da Altroconsumo ("Il prezzo della salute") che ha passato al setaccio i tariffari 2009 delle varie regioni, analizzando le 31 prestazioni ambulatoriali più richieste divise fra visite specialistiche, esami di laboratorio e diagnostici.
In quella che viene presentata come una vera e proprio giungla delle tariffe, il dato più emblematico risulta quello relativo all’analisi più comune e diffusa: il prelievo del sangue. Qui la variazione di prezzo tra una regione e l’altra può arrivare addirittura al mille per cento. Se infatti fare un prelievo in una struttura pubblica o convenzionata del Lazio può costare 52 centesimi, la stessa analisi eseguita nelle Marche arriva a raggiungere i 6 euro e 20 centesimi. Grosse differenze anche per le visite ginecologiche: le donne umbre sostengono una spesa di circa 16 euro a visita, le piemontesi sono chiamate a pagare – per la stessa prestazione - più di 30 euro ( circa l’82% in più). E così anche per le radiografie al polso, in Veneto si possono fare per 28 euro, ma facendo qualche chilometro in più ed arrivando in Emilia Romagna, potremmo pagare lo stesso esame la metà. Nella fiera della sanità a trazione regionale gli esempi possono moltiplicarsi per duemila: tante sono le prestazioni ambulatoriali contemplate nell'elenco di ciascuna regione e delle due province autonome di Trento e Bolzano. Sono anche questi - come sottolinea Altroconsumo - gli effetti del federalismo fiscale. Rispetto ad altre indagini, in questo caso non è il Sud a piazzarsi sempre nei posti più bassi delle classifiche, spesso infatti i prezzi più alti si trovano proprio al Nord.
Il motivo di tutte queste disuguaglianze? Secondo Altroconsumo è da attribuire al federalismo fiscale che attribuisce alle singole regioni la possibilità di fissare i livelli di prezzo (spesso negoziati con i laboratori privati convenzionati) cui le strutture devono attenersi. Logica vuole che da queste contrattazioni le regioni riescano a spuntare i prezzi più bassi possibili. Le più brave spendono meno. Quando ciò non si verifica, a rimetterci sono i bilanci pubblici e dunque le tasche dei cittadini. Spieghiamo bene il meccanismo: il Ssn per ogni prestazione riconosce alle regioni non l'intero costo ma la "tariffa massima", stabilita con il decreto del ministero della Sanità del 22 luglio 1996. Se la somma che le regioni riconoscono alle strutture private convenzionate è superiore alla tariffa nazionale, la differenza resta a carico dei bilanci regionali. Facciamo un esempio: l'esame completo delle urine, secondo la tariffa fissa stabilita dal decreto ministeriale, ha un costo di 1,14 euro. In Piemonte questo esame arriva a costare 4,60 euro, con dunque 3,46 euro in più sulle spalle dei cittadini. Nel 2002 poi, con l'introduzione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) si è ristretto l'elenco delle prestazioni passate dal Ssn. Le regioni che vogliano garantire ai cittadini le stesse prestazioni sono costrette ad attingere alle proprie risorse, cosa che - come ha evidenziato Altroconsumo - ha portato ad una differenziazione sempre più marcata dei costi e dei servizi offerti dalle diverse regioni.
Da aggiungere, infine, che il cittadino per accedere a esami, visite e terapie deve pagare il ticket: per ogni ricetta un massimo di 36,15 euro nella maggior parte delle regioni, ma ci sono anche realtà nelle quali il prezzo è più alto, ad esempio in Sardegna si arriva ai 46,15 euro. Per ciascuna ricetta, quindi, il ticket funge da tetto massimo a carico del cittadino. A due condizioni però. Ogni ricetta può contenere fino ad un massimo di 8 prestazioni. E le prestazioni contenute in una stessa ricetta devono riguardare una stessa branca (cardiologia, oculistica, oncologia etc.). Altrimenti si necessita di più ricette ovviamente con un lievitare della spesa a carico del cittadino. A rendere ulteriormente confusa e disomogenea la situazione contribuisce il fatto che alcune regioni abbiano inserito nel proprio nomenclatore ulteriori branche, dalla diabetologia alla medicina dello sport. In sintesi dunque ogni regione ha le sue tariffe, il suo importo massimo per ricetta e le sue branche. Anche sulle esenzioni dal pagamento del ticket le regioni hanno libertà di movimento. Fatte salve le categorie previste a livello nazionale, le regioni possono decidere di allargare la platea delle esenzioni. Ulteriore distinguo della giungla delle tariffe della sanità italiana.