21 giugno -
I farmacisti, proprietari di una o più farmacie, sono una categoria molto particolare. Nel quadro delle professioni sanitarie sono forse i più atipici. Negli atteggiamenti, nelle forme di protesta (sono gli unici che quando scioperano la chiamano “serrata”). Nello spiccato individualismo che contraddistingue un’attività sostanzialmente chiusa, tuttora molto “familiare”. Ancorata al proprio territorio, al proprio comune, al proprio quartiere.
Il farmacista è poi rimasto forse l’unica figura stabile di riferimento nelle piccole comunità (e l’Italia è fatta di piccole comunità). Ancor più del medico di base che, da quando non c’è più la condotta, non sai mai quando lo trovi e figurarsi se ti viene a visitare a casa.
E la farmacia, come luogo fisico dove andare a chiedere consiglio quando si sta male, è ancora una certezza (a parte quando è chiusa per turno) per qualsiasi cittadino che (ipocondriaco o malato sul serio) voglia rapidamente un rimedio. Anche per questo la farmacia gode di un regime di convenzione con il Ssn che garantisce il monopolio della vendita dei farmaci mutuabili a questi esercizi commerciali. E il farmacista riesce bene anche in politica, dove da sempre è figura ricercata e corteggiata sia a livello nazionale che locale.
Tutte queste caratteristiche, come abbiamo detto, fanno del farmacista titolare un personaggio a sé nel panorama della sanità. A metà tra un professionista e un imprenditore. Il tutto condito con lo spirito verace e sanguigno tipico di chi, come qualsiasi commerciante ma con l’aggravante di avere a che fare con persone affette da problemi più o meno gravi di salute, vive a contatto quotidiano con la gente dovendone capire umori, ansie, aspettative, dubbi.
Insomma siamo di fronte a una personalità complessa. Con molte facce e molti ruoli da governare e gestire. Una complessità che, a volte, lo fa sentire unico e insostituibile. Anche per questo, probabilmente, il farmacista reagisce con più emotività e ira di altre categorie quando sente che i suoi diritti e le sue prerogative vengono attaccati.
Così è stato contro le lenzuolate di Bersani che autorizzarono la vendita dei farmaci da banco anche fuori dalla farmacia e così è oggi contro la manovra di Tremonti, che taglia di fatto i loro margini di guadagno sul prezzo dei medicinali a carico del Ssn.
Due attacchi a distanza ravvicinata (anche se portati avanti da governi diversi) che per la categoria dimostrano una cosa sola: la politica non ci capisce più. E se ciò avviene la colpa è di chi ci rappresenta.
E così a cadere sono i capi, rei di non aver saputo ostacolare o addirittura scongiurare, attacchi del genere. Dopo le lenzuolate toccò far fagotto a Giorgio Siri che teneva stretta da anni la presidenza di Federfarma (il sindacato unico dei titolari di farmacia). E dopo Tremonti è toccato ad Annarosa Racca, la prima donna presidente, che ha dovuto anche subire l’onta della revoca del mandato con i negoziati con il Governo ancora aperti.
Eppure, me lo consentano gli amici farmacisti, non sempre è sufficiente cambiare teste e poltrone per risolvere i problemi.
Perché, tra le caratteristiche del farmacista italiano, ho dimenticato di ricordarne una: troppo spesso non riesce ad anticipare i problemi, a leggere nell’evoluzione delle cose, a capire per tempo che una stagione è finita.
E così come non capì, all’epoca delle lenzuolate, che era finita la stagione dei monopoli tout court, oggi non ha capito che è finita la stagione dei margini fissi sul prezzo dei farmaci e che difenderli ad oltranza può diventare un boomerang, perché la legge che te li dà, te li può anche cambiare o togliere a suo piacimento.
E, come all’epoca di Bersani, si sarebbe dovuto anticipare quanto sarebbe accaduto, proponendo per primi forme di liberalizzazione nell’accesso alla professione, oggi si sarebbe dovuto cogliere per tempo che il margine garantito era destinato prima o poi a perdere valore. E non solo per i tagli governativi, ma anche per l’evoluzione stessa del mercato farmaceutico che vedrà crescere sempre più i generici e quindi margini via via sempre più bassi alla farmacia.
Eppure la soluzione c’è ed è dietro l’angolo e qualcuno, autorevole e all’interno della categoria, l’aveva anche prospettata, ma inascoltato. Rivedere il criterio di remunerazione, valorizzando l’atto farmacistico in quanto tale e quindi valorizzando il consiglio, l’aiuto, la capacità di cogliere i bisogni del cittadino che entra in farmacia. Un’opzione tanto più valida quando la farmacia viene chiamata, come fa la recente legge di riordino del settore, a diventare un presidio del Ssn erogatore anche di altre prestazioni sanitarie, dall’educazione sanitaria al coordinamento dell’assistenza ai non autosufficienti, che non potranno certo essere pagate a percentuale sul prezzo di vendita!
Via la Racca, quindi. Ma se si pensa che ciò basterà a fermare un mondo che cambia e va avanti, sarebbe un grave errore.
Cesare Fassari