L’ordinamento deve garantire piena tutela all’interesse del minore al riconoscimento giuridico da parte di entrambi i componenti della coppia che ne hanno voluto la nascita e che lo hanno poi accudito, esercitando di fatto la responsabilità genitoriale. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza n. 33, depositata oggi (redattore
Francesco Viganò), con cui la Corte ha deciso la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Cassazione sull’impossibilità di riconoscere in Italia una sentenza straniera di attribuzione dello stato di genitori a due uomini italiani uniti civilmente, che abbiano fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero.
La Corte ha dichiarato inammissibile la questione, ma ha sottolineato la necessità di un indifferibile intervento del legislatore, al fine di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore. La vicenda oggetto del procedimento principale riguardava un bambino nato nel 2015 in Canada da una donna nel cui utero era stato impiantato un embrione formato con i gameti di una donatrice anonima e di un uomo di cittadinanza italiana. Quest’ultimo si era sposato in Canada – con atto trascritto in Italia nel registro delle unioni civili – con un altro uomo, anch’esso cittadino italiano, con il quale aveva condiviso il progetto genitoriale. In forza di una sentenza canadese, il bambino era stato quindi iscritto come figlio di entrambi gli uomini nel registro locale dello stato civile.
I due uomini chiedono ora il riconoscimento dell’efficacia di tale sentenza nel nostro ordinamento. Davanti alla Consulta hanno depositato opinioni scritte numerosi amici curiae: alcuni a sostegno della questione sollevata dalla Cassazione (l’Associazione Luca Coscioni, l’Associazione Radicale Certi Diritti e l’Avvocatura per i Diritti LGBTI), altri contrari (l’Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie, l’Associazione Amici dei bambini, l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e l’Associazione Famiglie per l’accoglienza).
La Corte costituzionale ha anzitutto ribadito che il divieto, penalmente sanzionato, di ricorrere alla pratica della maternità surrogata risponde a una logica di tutela della dignità della donna e mira anche ad evitare i rischi di sfruttamento di chi è particolarmente vulnerabile perché vive in situazioni sociali ed economiche disagiate.
Tuttavia, la Corte ha osservato che la questione ora sottoposta alla sua attenzione è focalizzata sui “migliori interessi” del bambino nei suoi rapporti con la coppia (omosessuale o eterosessuale) che abbia condiviso il percorso che va dal suo concepimento, in un paese in cui la maternità surrogata è lecita, fino al suo trasferimento in Italia, dove la coppia si è presa quotidianamente cura del bambino.
In questa situazione – ha osservato la Corte – l’interesse del minore è quello di “ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che nella realtà fattuale già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia, ovviamente senza che ciò abbia implicazioni quanto agli eventuali rapporti giuridici tra il bambino e la madre surrogata”. Questi legami sono, infatti, parte integrante della stessa identità del minore, che vive e cresce nell’ambito di una determinata comunità di affetti; il che vale anche se questa comunità sia strutturata attorno ad una coppia composta da persone dello stesso sesso, poiché l’orientamento sessuale non incide di per sé sull’idoneità ad assumere la responsabilità genitoriale.
Inoltre, il bambino ha un evidente interesse a vedere affermata in capo a costoro i doveri inscindibilmente legati all’esercizio della responsabilità genitoriale e ai quali non è pensabile sottrarsi ad libitum. D’altra parte, la Corte ha riconosciuto che gli interessi del bambino possono essere bilanciati con la finalità legittima di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata, vietata dalla legislazione statale; e ha sottolineato come la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo non imponga l’automatico riconoscimento di eventuali provvedimenti giudiziari stranieri di riconoscimento della doppia genitorialità ai componenti della coppia (eterosessuale od omosessuale) che abbia fatto ricorso all’estero alla maternità surrogata.
In tal caso, tuttavia, occorrerà assicurare la tutela degli interessi del bambino al riconoscimento del suo rapporto giuridico anche con il genitore “intenzionale” “attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino”.
In proposito, la Corte ha evidenziato che il ricorso all’adozione in casi particolari, previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera d) della legge n 184 del 1983 e già considerato praticabile dalla Cassazione, “costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali”.
L’adozione di casi particolari (la cosiddetta “adozione non legittimante”) non attribuisce, infatti, la genitorialità all’adottante. Non è chiaro, inoltre, se essa istituisca rapporti di parentela tra l’adottato e coloro che quest’ultimo percepisce socialmente come i propri nonni, zii, o addirittura fratelli e sorelle. Infine, questa forma di adozione resta comunque subordinata all’assenso del genitore “biologico”, che potrebbe anche mancare in caso di crisi della coppia. In conclusione, il legislatore dovrà farsi carico di una disciplina che assicuri una piena tutela degli interessi del minore, in modo più aderente alle peculiarità della situazione, che sono assai diverse da quelle dell’adozione “non legittimante”.