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Medicina di genere. A che punto siamo? Il webinair dello Spi Cgil Lombardia con Livia Turco e Alessandra Kustermann

Per il sindacato bisogna guardare soprattutto alla salute delle donne, perché “la salute delle donne è il paradigma dello stato di salute dell’intera popolazione” e rappresenta quel tipo di "approccio orientato alla persona”. Il tema al centro del webinar promosso dal Spi Cgil Lombardia con la partecipazione, tra gli altri, di Livia Turco. Madeo (Spi Cgil): “In Lombardia la medicina di genere deve entrare prepotentemente nella discussione sulla riforma della legge regionale 23”.

24 MAR - La medicina di genere è tutto sommato un concetto recente nel sistema sanitario nazionale. Ma sono comunque anni che ne discute. A giugno del 2019 il Ministero della Salute ha adottato il “Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere nel Sistema sanitario nazionale”. A due anni di distanza è tempo di rimettere il tema al centro del dibattito e verificare lo stato dell’arte. Ne è convinto il Spi Cgil Lombardia, che durante il convegno “Medicina di genere a che punto siamo?”, tenutosi ieri in diretta Facebook e a cui hanno partecipato, tra gli altri, Livia Turco tra le maggiori sostenitrici della legge e già ministra della Salute e Alessandra Kustermann, Direttrice Unità Operativa Complessa del Policlinico di Milano, ha indagato sulla diffusione della medicina di genere sul territorio nazionale e regionale, su quanti la conoscono effettivamente e fino a che punto è stata messa in pratica questa importante legge e i dispositivi applicativi della stessa (vedi video a fondo pagina).
 
Per il sindacato, la questione è urgente e riguarda, in particolare, la salute della donne perché “la salute delle donne è il paradigma dello stato di salute dell’intera popolazione”. La medicina di genere, spiega infatti il Spi, “presenta un approccio orientato alla persona, è presente sul territorio e attenta alle differenze, è il cardine della medicina di genere che guarda alle donne e agli uomini come soggetti diversi di fronte alla prevenzione, alla malattia, alla cura, alla difesa della salute in generale”.

Alcuni dati dimostrano come le differenze esistano: "Ad esempio, in Italia (secondo l'Istituto Europeo per l'Uguaglianza di Genere) l'8,1 % delle donne ha dei bisogni insoddisfatti per quanto riguarda l'accesso alle visite mediche e l'11% per quanto riguarda le visite dentistiche; gli uomini con queste difficoltà sono rispettivamente il 6,2% e il 9,6%”.

Occorre quindi sviluppare la ricerca di genere. “E questo perché: le donne consumano più farmaci degli uomini (nel 2019, al momento dell'intervista da parte dell'ISTAT, il 47% delle donne dichiarava di aver assunto farmaci nei due giorni precedenti tra gli uomini il 39%); le donne sono anche più soggette degli uomini alle reazioni avverse; le donne sono da sempre paradossalmente sottorappresentate nei trials clinici (sperimentazioni) e la popolazione femminile viene assimilata a quella maschile per quanto riguarda sia l'efficacia che le controindicazioni del farmaco. La ricerca di genere permetterebbe, invece, di segnalare le differenze di assimilazione e di risposta dell'organismo femminile rispetto a quello maschile. Queste differenze vanno studiate sia per i potenziali rischi, ma anche per i benefici diversi che si possono rilevare tra i generi".
 
Per il sindacato parlare di salute della donna “è importante, in primo luogo, perché le donne si ammalano di più. Secondo i più recenti dati lstat (2019), il 35% delle donne italiane denuncia uno stato di salute non buono, in lieve aumento rispetto al 2009, contro il 27,3% degli uomini”.
 
E “al di là delle percezioni soggettive, le donne mostrano anche una maggiore incidenza di malattie croniche: ne soffre il 43,6% a fronte di un 40,9% nella popolazione maschile. malattie per le quali le donne presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini sono: le allergie (12,2% contro 11,4%), l'ipertensione (18,5% contro 17,9%), artrosi e artrite (20,8% contro 16%), osteoporosi (13,7% contro 8,1%), disturbi nervosi (5,7% e 4,8%). Anche le patologie cardiovascolari, tradizionalmente considerate «maschili», interessano una quota rilevante della popolazione femminile (3,3%)”.

Nonostante la più alta speranza di vita, "il numero di anni trascorsi in buone condizioni di salute è inferiore, in media, a quello degli uomini. Nel 2018, la speranza di vita alla nascita in Lombardia era di 86 anni per le donne e di 81 per gli uomini, ma considerando soltanto gli anni in buona salute, di 58 per le une e quasi 60 per gli altri”.

“È necessario verificare la situazione della medicina di genere in Italia e in regione Lombardia, incalzando la politica su un tema che, ancora di più in questa fase di pandemia, è stato perso di vista - dichiara Merida Madeo, Responsabile Coordinamento Donne SPI CGIL Lombardia - È una verifica necessaria anche perché la medicina di genere deve entrare prepotentemente nella discussione sulla riforma della legge regionale 23, oggetto di discussione in queste settimane. Nella nostra regione, purtroppo, stiamo sperimentando l’inadeguatezza e l’insufficienza del sistema sanitario lombardo caratterizzato dalla mancanza della medicina sul territorio, scarsità dell’assistenza domiciliare, dall’ospedalizzazione come risposta generalizzata a bisogni diversi degli utenti”.
 

24 marzo 2021
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