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Rsa, ecco le proposte di Spi Cgil

Nella rete delle 717 Rsa convenzionate della Lombardia risiedevano, nel 2019, il 4,3% degli ultra65enni lombardi. Tra le proposte, la realizzazione di “strutture residenziali leggere inserite nelle comunità (centri servizi polifunzionali, co-housing, …) e associate alle Rsa” e la ricerca di soluzioni al “mancato adeguamento della quota sanitaria che attualmente copre circa il 39% della retta complessiva, nonostante la normativa nazionale preveda un’equa ripartizione tra ATS e assistito”. LE PROPOSTE

15 MAR - Dopo il dramma covid, si guarda al futuro delle Rsa lombarde. Un futuro in cui le Residenze per anziani non siano più luoghi in cui la morte si riesce a fare strada, ma lunghi a tutela della vita e del benessere di chi vi risiede. Un cambio di passo, dunque, rispetto all’attuale assetto del sistema sociosanitario lombardo che, come spiega il Spii Cgil, “si caratterizza per una copertura frammentaria dei bisogni della non autosufficienza e per uno scarso livello di integrazione delle prestazioni, risultando sempre più inadeguato a rispondere efficacemente alle sfide del presente e del futuro, considerati i profondi mutamenti che stanno attraversando la nostra società, come la lunga tendenza all’invecchiamento e i cambiamenti negli stili di vita”.

Negli anni le RSA sono divenute nel tempo il caposaldo del modello dell’assistenza agli anziani in Lombardia, non limitandosi alla tradizionale funzione residenziale, ma offrendo un insieme di servizi specialistici sempre più articolato. La rete delle 717 RSA convenzionate dal sistema sanitario regionale lombardo, spiega infatti il sindacato dei pensionati, "è la più vasta d’Italia e garantisce quasi 62mila posti residenziali accreditati, corrispondenti a 27,1 ogni 1.000 anziani. Nel 2019 risiedevano in RSA il 4,3% degli ultra65enni lombardi".
 
Per questo motivo, Spi Cgil Lombardia, insieme all’Associazione Ires – Lucia Morosini, ha messo a punto una ricerca, presentata oggi in diretta Facebook, mediante il coinvolgimento di circa 50 testimoni privilegiati, cercando di mettere a fuoco punti di forza e di criticità del sistema RSA in Lombardia, “troppo spesso trascurato nell’ambito del dibattito politico-istituzionale”. La ricerca tenta inoltre di fornire le prospettive possibili per questo settore, già messo a dura prova dalle preesistenti carenze e rigidità dell’offerta e, più recentemente, dagli effetti della pandemia, durante la quale le RSA sono divenute pericolosi luoghi di contagio per ospiti e lavoratori.
 
Le criticità del sistema RSA Lombardo
“Nonostante le RSA siano di fatto un’emanazione del servizio sanitario regionale - spiega il Spi Cgil Lombardia e l’associazione Ires-Lucia Morosini -, il coordinamento e il controllo da parte del pubblico non sembrano adeguati: le strutture, sia nella fase pandemica che in quella antecedente, si sono trovate spesso in balia delle normative, ma prive di protocolli cui attenersi e referenti esterni per i servizi territoriali”.

Secondo l’opinione dei testimoni, in Lombardia la rete dei servizi integrati per la non autosufficienza addirittura “non esiste”, producendo “distorsioni e diseguaglianze importanti nell’accesso delle persone alle prestazioni pubbliche".

In Lombardia, oltretutto, la contrattualizzazione con le Rsa accreditate riguarda principalmente i posti letto e l’accesso dell’utenza in struttura è sostanzialmente libero, non prevedendosi alcuna forma obbligatoria di “filtro pubblico”: “E’ alto, perciò, il rischio che una percentuale importante di persone bisognose di cure non venga collocata nel servizio più appropriato, con un’alta probabilità di “finire” nelle RSA”.

Inoltre, le RSA hanno seguito negli ultimi anni un percorso di “sanitarizzazione”, ospitando casi sempre più gravi e complessi da un punto di vista assistenziale, anche in conseguenza di una riduzione delle attività di lungodegenza del sistema sanitario. Ma contestualmente “l’attenzione alla parte “sociale” del servizio è progressivamente venuta meno e mancano ad oggi, da parte della Regione, standard sul minutaggio e sulla presenza di figure professionali non deputate all’assistenza sanitaria”.

Anche in tema di personale, si riscontrano problematiche, “dai bassi salari che inducono i professionisti della salute a considerare un impiego nelle RSA come una soluzione di serie B, in attesa di poter accedere ad una posizione meglio retribuita nel sistema ospedaliero, alle insufficienti iniziative di formazione e valorizzazione del capitale umano, agli elevati tassi di turnover, assenza e infortunio (spia di stress lavoro-correlato e carenze organizzative)”.

Nonostante il ruolo molto importante rivestito dalle RSA, prosegue il Spi Cgil e l’associazione, “una quota predominante della domanda di assistenza viene soddisfatta da un mix di caregiving familiare e informale (fenomeno badanti). Limitando l’attenzione ai soli ultra75enni, i non autosufficienti in Lombardia sono 180mila, mentre la dotazione di posti letto, anche considerando quelli “solventi”, raggiunge appena i 65mila”.

In questo contesto, “la pandemia del Covid-19 ha colto impreparato il sistema delle RSA lombarde, rivelando le preesistenti carenze di risorse e tecnologie che hanno dato un ulteriore contributo negativo nella gestione di questa fase complessa”. Per Spi Cgil e Associazione Ires-Lucia Morosini, inoltre, “le RSA sono state “lasciate sole” dal sistema sanitario ad affrontare un’emergenza per la quale non erano preparate, con l’unica arma dell’improvvisazione, senza avere gli strumenti per prevenire efficacemente il contagio né per assistere gli ospiti malati che gli ospedali. È necessario fare tesoro di questa esperienza drammatica per non ripetere gli stessi errori in futuro”.

Da qui la necessità di ripensare le Rsa in Lombardia. Ecco le proposte del Spi Cgil Lombardia, che sottolinea come sia “necessario garantire un approccio sistemico alle prestazioni rivolte ai non autosufficienti, in base al quale effettuare scelte strategiche e chiare sul modello integrato da adottare”.

LE PROPOSTE DEL SPI CGIL

- Occorre dare slancio ai servizi sanitari e sociosanitari territoriali nell’ottica di un’integrazione ospedale-territorio che fino ad oggi non è stata realizzata, garantendo la capillarità dell’assistenza territoriale anche tramite la rivisitazione della figura del medico di Medicina generale per tutti i cittadini
 
-È necessario potenziare le cure domiciliari, le strutture intermedie e le forme di residenzialità leggera, Solo così sarà possibile ridefinire il ruolo delle RSA, lasciarsi alle spalle l’ambiguo compito di “contenitori di ogni disagio”, surrogati degli ospedali per malati cronici terminali e luoghi di accoglienza per anziani.
 
- Chiediamo strategie di de-istituzionalizzazione e aging in place (telemedicina, domotica, rimozione di barriere architettoniche, …), strutture residenziali leggere inserite nelle comunità (centri servizi polifunzionali, co-housing, …) e associate alle RSA.
 
- È necessario ripensare il ruolo della programmazione regionale lombarda in materia di RSA, attualmente non sufficientemente puntuale e articolata, con ampi margini di discrezionalità garantiti agli operatori economici.
 
- Bisogna individuare alcuni vincoli efficaci alla realizzazione di nuove strutture in particolare riguardanti la dimensione: è evidente che, nell’ottica di conseguire economie di scala, gli imprenditori hanno l’incentivo a realizzare strutture con un elevato numero di posti letto.
 
- Va affrontato seriamente il problema del mancato adeguamento della quota sanitaria che attualmente copre circa il 39% della retta complessiva, nonostante la normativa nazionale preveda un’equa ripartizione tra ATS e assistito.
 
- E’ auspicabile una riflessione sul peso delle logiche di business nel settore e sugli effetti prodotti da questo fenomeno: il caro delle rette, la forte crescita dei posti letto a mercato, la forte attenzione al contenimento del costo del lavoro, lo scarso coordinamento delle strutture con gli altri servizi, l’aumento delle dimensioni delle strutture che costituisce un elemento chiave per la competitività.  
 
- Bisogna evitare una rigida separazione tra il “malato” e il resto della comunità. andrebbe incentivata l’ubicazione delle strutture in siti non periferici rispetto ai centri abitati e, anche in un regime di libera scelta, bisognerebbe sensibilizzare maggiormente le persone circa l’importanza che può avere la scelta di una struttura situata in prossimità della precedente abitazione dell’anziano. Gli scambi con l’esterno non possono limitarsi alle visite dei parenti ma devono comprendere un’apertura verso il territorio (scuole, parrocchie, associazioni) che agli anziani, se hanno la possibilità, con l’ausilio degli operatori, devono poter frequentare.
 
"Lo SPI - dichiara Valerio Zanolla, Segretario Generale Spi Cgil Lombardia. - si rende sempre disponibile a un dialogo con il Governo per la realizzazione di una legge quadro sulla non autosufficienza che preveda il riconoscimento della condizione di non autosufficienza determinata con criteri uniformi in tutto il territorio nazionale, la copertura integrale dei costi delle prestazioni a carico del SSN per l’assistenza alle persone non autosufficienti gravissime, il riconoscimento della figura del caregiver. È necessario altresì negoziare un incremento delle risorse nazionali e regionali, così come la scelta delle fonti di finanziamento. A livello regionale, va ribadita e rinegoziata la garanzia del valore pubblico e universale del sistema sociosanitario come fondamento istitutivo e organizzativa".

15 marzo 2021
© Riproduzione riservata

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