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L’assistenza al paziente Covid dopo la terapia intensiva

04 GIU - Gentile Direttore,
oggi, non più nelle terapie intensive, di cui giustamente tanto abbiamo parlato nelle settimane scorse, ma in altre realtà ci sono pazienti che ce l’hanno fatta a superare la fase acuta del Covid, e ne stanno affrontando un’altra, che è meno pericolosa, ma in termini di impegno personale, è molto più faticosa e richiede un impegno fisico-cognitivo non indifferente: la riabilitazione.
 
Abbiamo visto che gli esiti derivanti da Covid-19 sono spesso molto invalidanti e necessitano di un approccio riabilitativo multidisciplinare a 360° che sappia accompagnare il paziente al secondo ritorno alla vita: logopedisti, fisioterapisti, infermieri, medici, assistenti sanitari, terapisti occupazionali, tecnici di radiologia, psicologi, tecnici di laboratorio, tecnici ortopedici, ecc.., sono chiamati ad aiutare la persona a riappropriarsi del lavoro, della famiglia, degli affetti, della vita precedente alla malattia.
 
Il grave rischio che stiamo correndo, come già è accaduto, è che non solo i media si dimentichino di chi ancora è nel pieno della lotta alla malattia e di chi li sta curando, ma anche la politica faccia la stessa cosa.
 
E’ capitato che i Pazienti ancora positivi al Covid-19 arrivassero nelle strutture sanitarie di accoglienza senza un minimo di programma riabilitativo di recupero, che ci si dimenticasse nell’assistenza territoriale di tutte le professioni sanitarie della Riabilitazione, ecc..
 
Mai come in questo momento storico, assume importanza l’organizzazione e l’assistenza territoriale, che determinerà il successo o il fallimento delle cure, motivo per cui è impensabile che figure sanitarie di estrema importanza vengano tagliate fuori. E se questa deve essere l’ennesima manovra per il risparmio economico, allora no.. per risparmiare sul numero delle risorse umane no.. se a perderci deve essere ancora la qualità delle cure, no..
 
I pazienti giunti in questa seconda fase, che siano presso il proprio domicilio od in strutture sanitarie, necessitano di percorsi predefiniti che prevedano l’attivazione di tutti i professionisti competenti e non solo di medici e infermieri. Un’assistenza di elevata qualità determina anche una riduzione dei costi a carico dei Servizi Socio-Sanitari, in virtù di una sicura attenuazione o assenza degli esiti invalidanti.
 
L’obbiettivo dovrebbe essere quello di dotare il paziente della più ampia e totale autonomia, fondamentalmente per un suo diritto e per un nostro dovere, e laddove non si riuscisse, intervenire con sussidi tecnici ed economici. Se questo non si riuscisse a fare, determinerebbe un ulteriore aggravamento della spesa pubblica e, l’iniziale risparmio delle risorse umane, si tradurrebbe in una successiva moltiplicazione degli interventi strutturali ed economici.
 
Questo testimonia la cecità di percorsi mono o bi-professionali che spesso caratterizzano il proseguo della fase acuta dei Pazienti Covid-19, sminuendo la complessità della patologia presente e di conseguenza della persona necessitante di approcci multidisciplinari. Talvolta anche la gestione organizzativa viene affidata a infermieri e medici, sottostimando il percorso formativo, le competenze, le capacità soggettive e l’esperienza di altre figure sanitarie.
Quando riusciremo a capire che i tempi per fare tutto questo sono ed erano già maturi? Perché si continua a fare spesso gli stessi errori?
 
Sicuramente le dinamiche che sottendono le risposte a queste domande, non sono di facile comprensione e neanche così manifeste, però è giunto il momento atteso da anni, mettere in atto un cambio culturale profondo ed una visione “aperta”, fatta non di favoritismi ma di meriti e capacità individuali, supportati sicuramente da una adeguata formazione professionale.
 
Sergio Perillo
Fisioterapista presidente di Albo, presso l’Ordine TSRM-PSTRP della provincia di Varese


 

04 giugno 2020
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