Riforma cronicità in Lombardia. Medici preoccupati per conseguenze su pazienti fragili
04 NOV -
Gentile Direttore,
ho letto con attenzione l’
intervista all’Assessore al Welfare della Lombardia, Dr. Gallera. Senza entrare nel merito mi soffermo su alcuni punti, ricavati anche da altri documenti. La percentuale delle adesioni dei Medici di Famiglia (MdF) è stata calcolata sui medici under 65 operanti in Lombardia. Mi sfugge la ragione poiché molti over 65 hanno aderito alle proposte della Regione. Rivista e corretta, considerato che i medici di famiglia operanti in Lombardia sono poco meno di 7000, la percentuale delle adesioni si riduce di circa il 20- 25% rispetto ai dati presentati nell’ultima relazione regionale. Mi chiedo il perché sia stata fatta questa scelta. Se è perché questi medici andranno in pensione, prima o poi, è altrettanto certo che verranno sostituiti da altri colleghi che sono in attesa di inserirsi nel sistema.
Senza entrare nel merito delle scelte dei Cittadini, dobbiamo considerare che la Regione ha valutato una spesa potenziale (con l’adesione di tutti i pazienti interessati) di circa 100 milioni di euro per costruire un numero (per ora) indeterminato di call centre per la gestione delle visite e coordinate sui pazienti che avranno in assistenza. Call centre che saranno, si presume, dati i costi di gestione, prevalentemente, sub appaltati.
Non entro nel merito di come questa organizzazione potrà funzionare. Ho difficoltà a considerare come verranno suddivise le competenze sanitarie tra i diversi soggetti (Medici di Famiglia ed Erogatori) che devono curare questi pazienti, particolarmente complessi e che hanno peculiari esigenze assistenziali. Capisco che portare tutti (esprimo un concetto che opera come logica estrema) i pazienti affetti da SLA nello stesso ospedale possa comportare vantaggi organizzativi per l’assistenza ospedaliera, ma non mi sembra che sia lo stesso per i Pazienti che non sono vicini, fisicamente, a quell’ospedale. E che devono essere assistiti prevalentemente a domicilio. E per molti andrà preparata una nuova cartella clinica con tutto quanto ne deriva. Anche solo rileggere e riscrivere l’intera storia di questi Pazienti è di non poco conto.
Ma vorrei entrare anche nella selezione del medico di cui posso avere fiducia. Se qualcuno mi indirizza, quindi non scelgo io, si crea immediatamente un rapporto di fiducia o di mera offerta prestazionale? E se il risultato che ne ottengo non è quello atteso? E se cambia la terapia che sto seguendo e il modello assistenziale? E se succede qualcosa di indesiderato? Chi è responsabile della scelta? Io o chi ha deciso chi doveva visitarmi? Un medico non è uguale all’altro. E le mie esigenze non sono di un “ortopedico” ma di un ortopedico della spalla. O anche più specifico. E anche come esperienza e conoscenza della mia situazione personale.
I call centre hanno già creato in passato molti problemi e ne creeranno anche in questo caso. Come può un operatore al telefono rispondere ad una richiesta imprecisa e non molto ben definita o sulla base di una specifica necessità che sia acuta, urgente e non programmata? E a chi devo chiedere, come Paziente, per orientare la mia domanda perché sia corretta e non mi faccia perdere tempo per la soluzione del problema? Non bisogna essere solo gentili.
Ma come distinguere un bisogno medico specifico e come fare una diagnosi differenziale per una esigenza specialistica? E a chi compete? E chi ne fa la sintesi? E quali bisogni devono essere soddisfatti, oltre quelli strettamente clinici? È già difficile per un medico esperto, figurarsi per un Paziente al telefono. E, fatta la visita, sapere che dovevo rivolgermi all’altro servizio. E non valuto che ci possano essere potenziali danni a questo Paziente soltanto per la gestione di questa fase di avvio della procedura assistenziale.
Abbiamo lavorato per 40 anni per stabilire l’unicità dei bisogni sanitari di una persona, costruiti anche con la quota capitaria al “medico curante” per singolo paziente, che devono essere integrati con i bisogni sociali, lavorativi e familiari, ed improvvisamente ci troviamo a gestire un Paziente come una patologia particolare e ad investire su un protocollo, per quanto personalizzato, senza tenere conto di tutte le sue esigenze, anche non strettamente sanitarie. E forse qualche Paziente potrà avere due o più referenti tra gli Erogatori. E se vi è contrasto terapeutico assistenziale tra di loro?
Stiamo dissociando e medicalizzando ciò che abbiamo tentato, in tutti questi anni, di rendere alla Persona come risposta unica alle Sue esigenze e non come mere prestazioni mediche, anche per promuoverlo a governare in autonomia la propria patologia.
Il PAI è certamente uno strumento di qualità. Ma dipende da chi lo predispone. E quali linee di servizio prevalgono nella scelta.
Per fare un PAI integrato non sono sufficienti i protocolli diagnostici ma vanno affrontate ben altre esigenze, sociali, ambientali, lavorative e di diverse specifiche professionalità. E va valorizzato il domicilio del Paziente come riferimento ambientale e funzionale, con una contemporanea rivoluzione assistenziale per un numero mostruoso di Pazienti. E parliamo di pazienti cronici con patologie particolari. Ma possiamo considerare, tutti, come “pazienti fragili” in generale. Che hanno caratteristiche ed esigenze comuni.
Possiamo indicare un progetto assistenziale generale per i pazienti stessi e per una adeguata gestione delle loro proprie esigenze.
Aspetti strategici del progetto assistenziale.
In ambito più strettamente organizzativo gli aspetti cruciali ai fini di una efficace risposta ai problemi dei pazienti fragili sono i seguenti:
a. Alleanza terapeutica con la famiglia del paziente:
la condivisione degli obiettivi assistenziali (senza la quale non può esistere la cura del paziente fragile a domicilio) è il nucleo e la premessa di tutte le azioni che tendono all’ottimizzazione delle prestazioni assistenziali fornite dal sistema familiare.
Va da sé che queste devono corrispondere ad una scelta consapevole della famiglia stessa.
b. Continuità delle cure fondata su:
• Personalizzazione delle referenze clinica ed infermieristica: Il Medico scelto dal paziente e l’Infermiere Professionale (IP) referente del caso, che contribuiscono a definire il piano e gli obiettivi assistenziali e utilizzano un rapporto di conoscenza/ consuetudine con il paziente e la sua famiglia, possono garantire una appropriatezza e una “ragionevolezza” difficilmente immaginabili da parte di figure che intervengano estemporaneamente.
• Elevata accessibilità del servizio: devono essere definiti appositi elevati standard di accessibilità per aumentare la tutela del paziente e la percezione della stessa da parte della famiglia.
Sempre rimanendo nell’ambito organizzativo, un’altra opzione che riteniamo fortemente caratterizzante è quella di puntare ad un apporto specialistico erogato principalmente per mezzo di Unità Operative Ospedaliere che forniscono un supporto fatto di competenze, strutture e corsie preferenziali (anche per l’aspetto dei trasporti) ai MdF e agli IP domiciliari che gestiscono i pazienti in ADI.
• Il Paziente fragile, se poi è anche anziano, presenta peculiarità che condizionano l’approccio assistenziale sia dal punto di vista clinico che organizzativo.
• Tali peculiarità si sintetizzano nei termini di cronicità, fragilità e disabilità, che si traducono in elevata morbilità e ridotta qualità e aspettativa di vita.
• L’assistenza di questi Pazienti è il settore del sistema sanitario nel quale più profondamente si compenetrano il bisogno sociale e quello sanitario.
Con queste considerazioni possiamo immaginare che un CUP si “prenda carico” effettivamente di tutte le esigenze del Paziente? Che oltre 3 milioni di Pazienti vengano reinseriti contemporaneamente nella struttura di questo modello operativo con milioni di contatti simultanei capaci di offrire la gestione organizzativa ideale? E che chiunque veda il Paziente possa costruire un sistema globale, olistico, organico e funzionale e non soltanto ideato come protocollo prevalentemente medico e sicuramente (non vogliamo immaginare diversamente) corretto ma molto probabilmente inadeguato a garantire la complessità di quanto abbiamo indicato in precedenza?
E come verranno assistiti questi Pazienti in ambiente specialistico ed ospedaliero, come verranno valutati i risultati, quali piani di proposta gestionale verranno prodotti, omogenei o confliggenti rispetto al passato, come verranno gestiti direttamente ed indirettamente? Come avverrà questo “passaggio di consegne”?
Purtroppo non è dato saperlo poiché non esiste neanche un piano di valutazione e di attività allegato al documento regionale e non ci sono attese di risultato e neanche strumenti di valutazione dei modelli che comunque, qualsiasi “erogatore”, dovrebbe proporre per essere inserito tra quelli riconosciuti. Si dice che verranno predisposti successivamente.
Non siamo neanche in grado di sapere, considerate queste carenze del Progetto, in seguito alla presa in carico, se il servizio possa migliorare o meno le condizioni di benessere e di assistenza ai Pazienti e farne oggettiva valutazione. E, da una attenta lettura, tra gli erogatori abbiamo comunque strutture che potrebbero non essere in grado di offrire adeguata certezza di continuità assistenziale rispetto a quanto oggi viene garantito a questi Pazienti.
È un problema di costi e di spesa, di valutazione dei bisogni sul singolo assistito e non solo su una media o una mediana di spesa per patologia, è un compito di gestione sui bisogni e non sui budget e sui modelli di contabilità analitica? Questi sono Pazienti che hanno, spesso, variabilità importanti sui costi medi. E cosa accadrà a chi avrà in carico i più “costosi”? Rivedrà i protocolli assistenziali e farà rientrare il Paziente nel budget medio previsto? Erogherà in perdita le prestazioni necessarie (in particolare farmaci e servizi di degenza, riabilitazione etc.)? Dismetterà il Paziente? Con quale modello opererà il sistema nello specifico? La spesa verrà integrata dal SSR?
Ma non sono solo i 100 milioni di euro che creano sorpresa in un sistema del genere. Sono anche i cambiamenti radicali di finanziamento da parte degli erogatori. E l’inserimento di nuovi erogatori che improvvisamente diventano strutture a cui dare un budget, direttamente o indirettamente, seppure neanche accreditati per quelle specifiche attività.
Siamo, come modello, nella gestione di servizi o in un nuovo modello di esecuzione di prestazioni? Sono delle ATI? E come vengono valutati e valorizzati i diversi, numerosi, e particolari erogatori? Nella normativa nazionale esistono numerosi articoli, dal 40 in poi della 833/78, che individuano le modalità di gestione dei rapporti contrattuali ed economici. E non contempla questo modello che somiglia sempre più ad un appalto che non ad un servizio strutturato.
Stiamo valutando una gestione economica di molti miliardi di euro all’anno che verranno, in teoria, erogati diversamente tra le strutture. Salteranno i budget attuali e qualcuno, temiamo per le strutture meno agili, ridurrà gli introiti in modo significativo. O incrementerà le spese.
Le sostituzioni di personale, quando possibili, nel pubblico sono realizzate in 18- 24 mesi e le strutture saranno in grado di dare risposta adeguata alle richieste che saranno pervenute nel periodo di riduzione dell’organico?
Forse la lassità della “gara” può creare qualche perplessità, oltre tutto il resto. Una spesa teorica di 100 milioni di euro per servizi di call centre sono da gara internazionale.
Oltre 10 anni fa proposi, all’Assessore del tempo, la predisposizione di una tessera speciale (che Lui colorò di verde (inizialmente era oro)) per questi Pazienti che hanno elevata frequenza di bisogni assistenziali, che facilitasse le loro prenotazioni, oltre a creare modelli di risposta integrati e coordinati, e semplificasse la loro vita già colpita con durezza da patologie gravi e invalidanti. E di non utilizzare i Pdta ma fare una formazione di alto livello per tutti i professionisti coinvolti. Spesso farmaci ed assistenza confliggono per le diverse e complesse esigenze della Persona. Oltre a costruire modelli assistenziali e formazione per i familiari e per i caregivers. E le valutazioni, ai tempi, venivano svolte da una “commissione multidimensionale” che ne considerasse tutte le diverse esigenze.
Non se ne fece nulla, ma sarebbe costata ben di meno di 100 milioni di euro annui che potrebbero, e questo si, essere spesi per incrementare l’offerta di servizi specialistici effettivi e non per prestazioni non sanitarie, qualche migliaio di infermieri in più e qualche tecnologia più performante per dare tempestività e qualità ai servizi.
Basterebbe prenotare in continuum direttamente in questi stessi servizi per mantenere un monitoraggio di alto livello per le specifiche esigenze di questi Pazienti e per eliminare inutili chiamate a centralini costosi e comunque oberati da un traffico vivace e variabile. E il cui costo non porta a “prendersi cura” dei pazienti, che è ben altra cosa che prenotare qualche visita. Forse eliminando molti passaggi burocratici e offrendo servizi medici effettivi potremo ottenere migliore qualità, e presa in carico, nelle risposte per i nostri Pazienti. E creare protocolli organizzativi per rendere più semplice la risposta alle loro esigenze esistenziali.
I medici di famiglia che stanno manifestando estremo disagio rispetto a questa scelta regionale forse possono anche eccedere nel loro proprio comportamento critico, non certo per pregiudicare un progetto così importante, l’assistenza ai Pazienti cronici, ma forse perché sono attenti alle conseguenze mediche, medico legali e assistenziali che questi cambiamenti possono comportare per questi Pazienti particolarmente fragili.
Non inserisco il pensiero che favorire queste categorie di Pazienti potrebbe allungare le liste di attesa per tutti gli altri Cittadini. Nei fatti la compliance più elevata farebbe lievitare il numero di visite di controllo, dettate dai Pdta e dal Pai. E non parliamo dei problemi che questo sistema crea sulla privacy degli interessati. Ma anche queste sono valutazioni e considerazioni che possono essere riprese solo quando il sistema entrerà nella piena operatività.
Giuseppe Imbalzano
Medico
04 novembre 2017
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