Dal 118 al 112. Ma non basta cambiare numero
29 MAR -
Gentile direttore,
ho letto i primi contributi sui venticinque anni del Soccorso Sanitario 118. E’ bene chiarire che non c’è momentaneamente un passaggio organizzativo e funzionale dal “118” al “112” (uno non sostituisce l’altro), se non quello numerico e quello di affidamento (per le regioni che hanno iniziato l’applicazione di qualche modello organizzativo), di tre funzioni quali identificazione numero chiamante, localizzazione e inoltro all’ente prioritario per competenza, che prima erano assolte dalle singole numerazioni di emergenza e centrali operative di emergenza (ancora tutte attive: sono circa 800 in tutta Italia), degli enti deputati al Soccorso Pubblico.
Leggo di coordinamento nazionale proposto dalla Sis118: bene. Credo che i tempi siano maturi per affidare il soccorso sanitario a un Ministero che si occupi di Soccorso Pubblico ed Emergenza e che integri le tre componenti cardine: Soccorso Sanitario, Soccorso Tecnico e Pubblica Sicurezza. In tutto e per tutto: formazione accademica trasversale del personale che dovrà essere definitivamente strutturato e non più in regime convenzionale, mezzi, attrezzature, dotazioni, mantenimento, personalità giuridica e contrattuale dei professionisti abilitati.
Un rinnovamento dell’attuale Ministero dell’Interno da cui scorporare tutto ciò che non riguardi la prevenzione, il soccorso, l’emergenza, la difesa civile, la sicurezza pubblica. L’avvento del Numero Unico Europeo di Emergenza 112 ha fatto sì che, il non avere in tempi precedenti rivisto l’assetto ministeriale delle tre componenti del Soccorso Pubblico, ha generato nella fretta e nei costi, una maldestra interpretazione e applicazione della spending-review nell’ambito in discussione, che ha provocato forse più danni che benefici a ognuna delle tre parti sopra citate. E a cascata anche al Cittadino contribuente.
Avevamo e abbiamo tutto per attuare una seria revisione della spesa da tarare sulle reali (e non indotte) esigenze della nazione per le tematiche oggetto del discutere. Rivedere a compartimenti stagni il DPR del 27 Marzo del 1992 significa non progredire in una lungimiranza che ormai è richiesta a fronte delle necessità di ogni ente cardine del Soccorso Pubblico. Serve una vera riforma del Soccorso Pubblico, della Sicurezza, con una Forza Italiana di Sicurezza integrata, un nuovo Ministero dell’Interno, della sicurezza, emergenza e soccorso, protezione strategica. Un lavoro meticoloso di indagine e di studio e osservazione.
La Fimeuc propone una figura di soccorritore esperto: prestiamo molta attenzione ai termini, alle definizioni e ai ruoli che si vogliono impiegare. Ricordiamoci che le professioni sono riconosciute dallo Stato il che vuol dire formazione scolastica di base, formazione professionale, abilitazione, inquadramento giuridico e contrattuale. L’errore di abilitare figure non professionali a determinate attività, mediante una formazione discontinua è già avvenuto.
Bene il riproporre come bacino d’utenza dei Dipartimenti di Emergenza e delle Centrali Operative del Soccorso Sanitario, in numero non superiore a 1.200.000 abitanti. Di fatto già previsto dal dpr 27/03/92 (accorpamento di Centrali Operative di territori provinciali più piccoli a quelli confinanti più grandi). La Sis118 nei “Criteri e Standards del Servizio 118” del 2012 valutava un bacino d’utenza attorno al milione di abitanti considerando i fattori di debolezza strutturale del Paese e altre variabili non di poco conto. Il D.M. 70/2015 stabilisce 1 Centrale ogni non meno di 600.000 abitanti. Il passo ideale sarebbe la riduzione delle 800 sale operative di ogni ente istituzionale nazionale di emergenza e soccorso, a una ogni 1.500.000-2.000.000 abitanti e di tipo interforze.
In tal modo ne avremmo forse non più di 40 in tutta Italia rispondenti (mediante la presenza fisica, operativa e multidisciplinare delle tre componenti del Soccorso Pubblico e quindi senza necessità di nuovo personale), sia al Numero Unico Europeo di Emergenza 112 che a tutti i numeri armonizzati a valenza sociale, poste territorialmente in aree vaste, compatibili per affinità comuni di tipo geografico, sociale, lavorativo, economico, ecc.
Troppi vincoli di retaggio culturale e di gerarchie, di conflitti e d'interessi non mirati al bene comune, non permettono uno “sblocco” che ci metta in linea con altri Paesi Ue/non Ue. Mi auguro che i prossimi eventi che richiederanno la partecipazione collettiva di espressione, facciano emergere le vere proposte, i veri progetti e intenzioni per una riforma non venticinquennale, ma che valga di più.
Marco Torriani
Consigliere (uscente) Ipasvi Brescia, già Consigliere Comunale e Presidente Consulta Sicurezza Comunale
29 marzo 2017
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