Malattie Rare. La Lombardia spende 222,9 mln di euro per 44.548 pazienti. In Italia se ne spenderebbero 1,3 mld per curarne 274 mila. Lo studio sulla sostenibilità del CREA Sanità
Per scattare la fotografia i ricercatori hanno utilizzato i dati lombardi, stimando poi l’impatto a livello nazionale. Tra le criticità, la forte variabilità di incidenza a livello locale e il ritardo diagnostico, che si traduce in prestazioni inutili e aggravamento della salute nei 5-6 anni che in media servono per avere una diagnosi corretta. La spesa media annua per malato raro (5.003 euro) è di poco superiore a quella di una persona con almeno due patologie croniche (4.500 euro). LO STUDIO
12 GIU - “Quello delle malattie rare (MR) è un importante banco di prova per i servizi sanitari, sia per gli aspetti morali ed etici che implica il saper far fronte ai bisogni di una fascia di popolazione fragile e numericamente piccola, e quindi di minor interesse per la classe politica, sia per la sfida che porta all’organizzazione assistenziale, chiamata a rispondere in modo fortemente individualizzato”.
È partendo da questa considerazione che il
CREA Sanità ha dato vita al Laboratorio Malattie Rare e all’elaborazione di un Rapporto sulle epidemiologie e l’utilizzazione dei servizi sanitari nel contesto delle malattie rare,presentato oggi alla Camera dei Deputati. L’obiettivo del Rapporto, redatto da
Barbara Polistena e da
Esmeralda Ploner con il coordinamento scientifico di
Federico Spandonaro, è quello di fornire, sulla base dell’analisi effettuata utilizzando i dati forniti dal Ssr della Lombardia, un supporto alle decisioni pubbliche, stimando la dimensione epidemiologica e conseguentemente il ricorso ai servizi sanitari da parte dei pazienti affetti da MR, analizzandone l’impatto economico sul Ssr e traslando il tutto sul livello nazionale.
Un lavoro che ha l’ambizione di rappresentare un contributo concreto al percorso iniziato a livello istituzionale già dal 2009, con la Raccomandazione del Consiglio d’Europa che sollecitava gli Stati Membri ad elaborare, ed adottare, nel quadro dei propri sistemi sanitari e sociali, piani e strategie nazionali per le MR. In Italia si è arrivati all’approvazione del Piano nazionale malattie rare definitivo in sede di Conferenza Stato Regioni il 16 ottobre 2014, ma già il Decreto del Ministro della Sanità 279/2001 aveva istituito la Rete nazionale delle Malattie rare, deputata alla prevenzione, sorveglianza, diagnosi e terapia delle MR. “Non si può certamente dire di essere arrivati alla fine del percorso che, anzi, è appena iniziato”, osservano infatti i ricercatori del CREA Sanità. Secondo i quali lo stesso Piano nazionale malattie rare elaborato dal nostro Paese “necessita di evidenze che supportino le scelte da operare localmente”, dal momento che esso rappresenta solo un, pur necessario, framework per sviluppare azioni volte a dare risposte ai bisogni dei pazienti con MR.
I dati forniti dal CREA Sanità mirano, dunque, a rappresentare la base di partenza per operare scelte consapevoli di tipo gestionale in ottemperanza alle indicazioni del Piano Nazionale Malattie Rare.
Ma cosa a quali considerazioni sono giunti i ricercatori nel corso dell’elaborazione del Rapporto? “
I dati, per un verso, rassicurano sull’impatto economico complessivo delle malattie rare, ma allo stesso tempo va notato come la spesa sia anche dipendente dall’esistenza o meno di terapie efficaci, e quindi non possa da sola rappresentare correttamente il costo economico e sociale delle MR. Allo stesso tempo si confermano alcuni pattern ben rinvenibili nei dati, come i picchi di prevalenza, che possono essere di ausilio per delineare strategie proattive nei confronti delle MR; ma si conferma una attesa elevata variabilità locale delle MR, tanto sul versante epidemiologico, che su quello economico: questa evidenza dovrebbe spingere ad una maggiore attenzione alle forme di finanziamento delle Asl e dei Distretti, finalizzate a minimizzare i rischi finanziari, che possono implicare disequilibri di bilancio, mettendo a rischio la possibilità di erogare l’assistenza nelle modalità dovute”.
LA SINTESI DEL RAPPORTO CREA SANITA’ SULLE MALATTIE RARE
“La maggiore difficoltà in una analisi sulle MR è quella derivante dalla scarsa numerosità dei casi trattati; la opportunità di poter utilizzare il dato lombardo è risultata, quindi, fondamentale, permettendo di analizzare casi e utilizzazione dei servizi sanitari di una popolazione di oltre 9 milioni di abitanti, paragonabile ad alcuni Paesi europei di media dimensione”, spiegano i ricercatori.
Lo studio ha individuato i casi di analisi sulla base del codice di esenzione dalle compartecipazioni riconosciuto dalla Regione Lombardia e, quindi, ha ricostruito il percorso assistenziale dei singoli pazienti considerando gli eventuali ricoveri, le prestazioni specialistiche ambulatoriali effettuate nelle strutture pubbliche e private accreditate, i consumi farmaceutici territoriali e quelli ascrivibili al File F, cioè somministrati in regime di assistenza diversa dal ricovero (non è stato possibile, invece, attribuire gli altri farmaci dispensati in ospedale in quanto non riconducibili al singolo paziente), i certificati di assistenza al parto (CedAP) e gli accessi al pronto soccorso.
Se questo ha consentito un’analisi importante delle spese sostenute dal Ssr, tuttavia occorre tenere in considerazione che le spese per l’assistenza di un paziente affetto da malattia rara non finiscono qui. Occorre infatti considerare le attività socio-sanitarie (RSA) e l’assistenza domiciliare (ADI), “il cui onere per il Ssr risulta limitato, mentre è noto che rappresentano in molti casi impegni rilevanti per i pazienti e i loro caregiver”, osservano i ricercatori, evidenziando che inoltre, “trattandosi del database del Ssr lombardo non sono state registrate neppure le prestazioni acquistate direttamente dalle famiglie (spesa privata) e i costi non sanitari e indiretti (quali ad es. le perdite di produttività dei pazienti e del loro caregiver)”.
Basti pensare che lo studio “Costo sociale e socio - sanitario e bisogno assistenziale nelle malattie rare” citato dal Rapporto e condotto in Italia tra il 2009 ed il 2010 dall’Istituto per gli Affari Sociali, su un campione di 392 famiglie e 11 Associazioni di pazienti affetti da MR ha fatto emergere come il 61,0% delle famiglie abbia dichiarato di dover affrontare spese per l’assistenza e la cura del malato raro (il 45,0% afferma di spende- re privatamente fino a 500 euro mensili; l’11,0% tra 500 euro e 1.000 euro mensili ed, infine, il 5,0% oltre i 1.000 euro); ancora, quasi il 20,0% delle famiglie dichiara di aver avuto bisogno di ricorrere ad aiuti di tipo finanziario. La considerazione delle dinamiche familiari ha fatto, inoltre, emergere come il 32% dei padri e il 46% delle madri siano stati costretti a modificare la propria situazione occupazionale a seguito dell’insorgenza della MR del figlio e nel 23,0% dei casi entrambi i genitori hanno dovuto addirittura abbandonare il lavoro. Ulteriore spesa che, spesso, le famiglie con un malato raro a carico devono affrontare, è quella legata ai costi dei viaggi necessari per recarsi al Centro di riferimento, che non di rado si trova al di fuori della Regione di residenza. In conclusione, è stato evidenziato che il 15,4% delle famiglie con un componente affetto da malattia rara è nella fascia di povertà e un ulteriore 19,0% è vicino alla soglia di povertà.
L’identikit dei pazienti. Sono 44.548 in Lombardia. In Italia sarebbero 112.034 uomini e 162.538 donne
L’analisi, che ha utilizzato il 2012 come finestra di osservazione, è stata estesa a 44.548 soggetti esenti per MR, al netto di 25.355 soggetti affetti da celiachia, la cui prevalenza è risultata largamente maggiore della prefissata soglia del 5 per 10.000 che caratterizza a livello europeo le MR. “E’ stato anche escluso un piccolo numero di soggetti deceduti nell’anno di valorizzazione dei costi, al fine di evitare bias associati ai costi che generalmente si osservano in prossimità di eventuali decessi”, spiegano i ricercatori.
Tornando ai dati,
nel 2012 la prevalenza di soggetti portatori di esenzione per una MR in Lombardia è stata pari allo 0,46% della popolazione residente, con una significativa differenza di genere: 0,39% per i maschi e 0,53% per le femmine.
Rapportato al dato Italia, i pazienti con malattia rara equivarrebbero a 112.034 soggetti maschi e 162.538 femmine.
Tra i pazienti lombardi, il 16,5%, ossia 7.358, è affetto da condizioni ultra rare (228 malattie o gruppi con prevalenza minore dello 0,002%), con una prevalenza pari allo 0,08% del totale degli assistiti; per 30 condizioni ultra rare è stato rilevato un unico caso nel periodo di osservazione. L’analisi ha fatto inoltre emergere come i pazienti siano concentrati in particolar modo nella fascia di età giovane, “dimostrando che le condizioni ultra rare (a livello europeo fissate ad una soglia di prevalenza minore dello 0,002%) sono per lo più a insorgenza giovanile e presumibilmente, spesso, a prognosi infausta”, spiegano i ricercatori. La prevalenza ha un picco nell’età adolescenziale (10-19 anni) ed un altro nella quinta decade (40-49 anni).
Il 15,1% dei malati rari viene certificato tra la nascita e i 9 anni, mentre il 16,4% tra i 30 ed i 39 anni. Le malattie ultra rare sono in larga parte certificate alla nascita, mentre le patologie più comuni lo sono nella fascia 30-39 anni.
Dall’analisi del dato per categoria diagnostica, è emerso che
le più comuni sono le Malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione, del metabolismo e disturbi immunitari, seguite dalle Malattie del sistema nervoso e degli organi di senso e dalle Malattie del sangue e degli organi ematopoietici. “Tuttavia, è necessario evidenziare che, se è vero che in alcune categorie sono presenti più casi che in altre, è pur vero che alcune prevedono, al loro interno, più tipologie di malattie”, spiegano i ricercatori.
Più malati nell’Asl di Milano, meno nella Asl di Mantova
L’analisi per distribuzione sul territorio regionale (ovvero per ASL di residenza) evidenzia come la prevalenza massima, nell’anno considerato, sia stata riportata dall’ASL della Provincia di Milano 2 dove su 604.354 assistiti 3.366 sono in possesso di esenzione per MR, ovvero lo 0,56% degli assistiti; all’estremo opposto si situa l’ASL della Provincia di Mantova con una prevalenza dello 0,30% (su un totale di 408.187 assistiti 1.233 sono affetti da malattia rara).
La variabilità è quindi rilevante, con uno scarto dell’ordine del 90% fra le ASL con risultati estremi.
Le differenze, secondo i ricercatori, sono probabilmente spiegabili anche con aspetti legati tanto all’offerta, in particolare alla localizzazione dei Presidi della Rete Regionale MR), quanto alla familiarità delle MR, come suggerito dal fatto che per le Malattie del sistema nervoso e degli organi di senso la prevalenza passa da un valore massimo del 20,7% nella Provincia di Pavia ad un valore minimo del 7,4% nella Provincia di Sondrio, mentre, viceversa, per le Malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo si passa dal 27% nel- la ASL della Provincia di Sondrio ad un valore minimo del 14,4% nella ASL di Pavia
Quanto detto finora, secondo i ricercatori, “rende evidente come l’universo delle MR sia estremamente eterogeneo, richiedendo strategie e approcci differenziati”, e dunque condizionando i modelli di presa in carico.
Le malattie rare costano al Ssr lombardo 222,90 milioni all’anno
La spesa media annua per malato raro ammonta a 5.003,10 euro. A livello di genere il dato riferito alle donne (3.539,30 di euro) è nettamente inferiore a quello dei maschi (6.856,60 di euro).
In termini assoluti, ne deriva un costo per il SSR di 222,90 milioni di euro, pari all’1,2% della spesa regionale. “Assumendo per la popolazione italiana la stessa spesa media pro-capite per fasce di età della popolazione di pazienti con esenzione per MR lombarda – rilevano i ricercatori -, la spesa in Italia ammonterebbe a 1.366,20 milioni di euro, pari all’1,2% della spesa pubblica totale”.
Come detto,
la spesa maschile malgrado una minore prevalenza è pari quasi al doppio di quella sostenuta per il genere femminile, assorbendo il 60,5% della spesa sostenuta per i malati rari esenti (134,80 milioni di euro), contro il 39,5% (88,10 milioni di euro) delle donne, “ma tale condizione si rileva anche nella popolazione generale”, osservano comunque i ricercatori. Nello specifico delle MR, questo potrebbe essere spiegato, secondo i ricercatori, “dalla maggiore disponibilità di trattamenti per malattie ad espressione fenotipica più severa nei maschi (come potrebbe essere indirettamente indicato dal fatto che larga parte della differenza si concentra nel File F che assorbe il 60,7% della spesa totale media annua di un malato raro maschio e solo il 30,9% di quella delle femmine), ovvero ad una maggiore difficoltà di diagnosi per alcune patologie nel genere femminile”. In particolare nella categoria diagnostica Malattie del sangue e degli organi ematopoietici, il costo pro-capite di File F per i maschi arriva a 16.715,48 euro, contro 2.362,84 euro per le femmine.
La variabilità della spesa media per soggetto esente per malattia rara è notevole anche a livello di singole ASL, passando da un minimo di 3.345,20 euro ad un massimo di 7.457,80 euro, con una differenza tra le ASL di 4.112,60 euro, ossia di circa 2,2 volte. La variabilità viene riscontrata anche analizzando il dato per categoria diagnostica, che passa da 1.974,60 euro per un paziente medio con tumore raro a 12.146,40 euro per un paziente medio con malattia del sangue e degli organi ematopoietici con una differenza di circa 6,2 volte.
La categoria dei pazienti con condizioni ultra rare, oltre a distinguersi da un punto di vista epidemiologico, sembra farlo anche dal punto di vista economico, essendo caratterizzata da una spesa (6.953,60 euro pro-capite) superiore alla media. Dato che, secondo i ricercatori, sarebbe peraltro sottostimato: “Bisogna infatti considerare come alcune malattie ultra rare siano codificate all’interno di gruppi e non sia possibile una analisi puntuale disponendo dei soli dati amministrativi”. Comunque, la variabilità della spesa media per soggetto esente per malattia ultra rara è notevole anche a livello di singole ASL, con una differenza (10.265,30 euro) fra il valore massimo e quello minimo di circa 4,4 volte.
Della spesa media dei pazienti con MR, il 48,9% è attribuibile ai farmaci contenuti nel File F (in particolar modo quelli specifici per le patologie trattate), che aumenta significativamente nei pazienti appartenenti al gruppo delle patologie ultra rare, il 20,2% ai ricoveri ordinari, il 14,2% alla restante spesa farmaceutica convenzionata, a cui seguono le analisi di laboratorio con il 3,8%, la diagnostica con il 2,8% ed, infine, la spesa per i ricoveri in DH che si ferma all’1,7%.
Infine, è stato possibile quantificare l’impatto dei pazienti ad “alto costo”, adottando convenzionalmente la soglia di una spesa maggiore di 50.000 euro pro-capite media annua: essi sono pari allo 0,5% dei malati rari esenti della Regione, ma assorbono l’11,1% del totale delle risorse economiche. “Per tale tipologia di pazienti – spiegano i ricercatori –, sarebbe, dunque, auspicabile una gestione finanziaria (ovvero un finanziamento alle ASL) che faccia, almeno in parte, riferimento oltre alle risorse ordinarie delle Asl di residenza, anche a ulteriori risorse, regionali o nazionali, tese a fronteggiare il rischio di concentrazioni ‘anomale’ di casi di pazienti ad alto costo”.
Un malato raro costa poco più di una persone con almeno due patologie croniche
Come detto, l
a spesa media annua per malato raro ammonta a 5.003,10 euro: “un valore paragonabile a quello mediamente sostenuto per un malato con almeno due patologie croniche (4.500,20 euro)”, evidenziano i ricercatori. Che spiegano come la popolazione di pazienti cronici e quella dei malati rari sia similare anche rispetto alla distribuzione dei consumi per età: la spesa media annua pro-capite è più alta inizialmente, per le MR al momento della certificazione dell’esenzione, si riduce in età adulta per poi incrementarsi nuovamente in età anziana, quando alla patologia cronica o rara si affiancano altre problematiche di salute. “La differenza tra l’andamento della spesa per i cronici e quello dei malati rari per età sta nella maggiore variabilità della seconda attribuibile non solo alla minore numerosità, ma presumibilmente anche alle ca-ratteristiche epidemiologiche: abbiamo, infatti, mostrato come esistano più picchi di prevalenza in funzione di età tipiche per insorgenza delle MR, alle quali è ragionevolmente associata anche una spesa di diagnostica che, su quelle classi, incrementa la spesa media per caso”.
Il ritardo diagnostico. Per una corretta diagnosi si aspettano in media tra i 5 e i 6,5 anni
È questa una delle criticità più importanti da risolvere, perché il ritardo diagnostico ha un impatto rilevantissimo non solo sulla qualità della vita dei pazienti, ma anche sui costi. Ma ancora oggi, secondo i dati ricavati dal ReLMaR (il Registro Lombardo Malattie Rare, attivo dal 2006) ci vogliono in media 6,5 anni per avere una coretta diagnosi di malattia rara (stima effettuata considerando l’intervallo di tempo trascorso tra l’evidenza di sintomi e segni sicuramente riconducibili alla malattia e data della diagnosi). Secondo il Rapporto 2011 dell’ISS il ritardo diagnostico medio in Italia sarebbe intorno ai 5 anni dall’esordio dei primi sintomi potenzialmente riconoscibili.
Accorpando le patologie per categoria, dall’analisi del ReLMar emerge come
il massimo ritardo diagnostico medio si osserva per le Malattie del sangue e degli organi ematopoietici (12,5 anni), mentre la diagnosi viene fatta in meno di un anno dai primi sintomi per le Malattie della pelle e del tessuto connettivo (0,8 anni). Ancora, il ritardo diagnostico appare considerevole anche per le Malattie del sistema circolatorio (9,9 anni), per i Tumori (9,0 anni), per le Malformazioni congenite (6,5 anni) e per le Malattie del sistema ner-voso e degli organi di senso (4,6 anni).
Un ritardo medio diagnostico tra i 3 e i 4 anni si osserva nelle categorie Malattie dell’apparato digerente, Alcune condizio-ni morbose di origine perinatale, Malattie dell’apparato genito-urinario, Malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connet tivo e Malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione del metabolismo e dei disturbi immunitari. Infine, le Malattie infettive e parassitarie hanno un ritardo diagnostico medio di 2 anni.
In questo intervallo di tempo i pazienti possono ricevere una o più diagnosi errate, con conseguenti trattamenti impropri ed esami in definitiva inutili, oltre a non avere equo accesso ai trattamenti di dimostrata efficacia che potrebbero almeno in parte ridurre le conseguenze della malattia.
Tuttavia, la questione, rilevano i ricercatori, è tutt’altro che di semplice e immediata soluzione: “Le evidenze in letteratura sul danno relativo al ritardo sono disponibili solo per alcune patologie”.
Una politica efficace, secondo i ricercatori, “dovrebbe quindi tentare di individuare le patologie con maggiore ritardo diagnostico, analizzandone le conseguenze non solamente in termini di salute dei pazienti, ma anche di costi per il servizio sanitario e agendo, conseguentemente, con azioni mirate”, ad esempio “campagne di sensibilizzazione, screening neonatale allargato oppure applicazione di algoritmi diagnostici in popolazioni ad alto rischio di ricevere diagnosi errate”.
12 giugno 2015
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