Gentile Direttore,
dopo l’annuncio del Ministro della salute si è acceso il dibattito pubblico sulla prossima approvazione del cosiddetto Decreto Appropriatezza che, per limitare la medicina difensiva e ridurre le liste d’attesa, dovrebbe introdurre l’obbligo di indicare sulle prescrizioni di accertamenti e visite la diagnosi secondo la classificazione internazionale delle malattie (ICD-9 CM). L’Ordine dei medici di Milano ha criticato il provvedimento con questa motivazione: “È impossibile far rientrare in un codice una patologia specifica, che ha comunque sempre una sua complessità, e spesso è multifattoriale. Questa è una assurdità che va condannata ed evitata con ogni mezzo”.
Il dibattito sulla codifica ICD-9 in ricetta ha un precedente storico analogo: nel 2008 in Lombardia una Delibera aveva introdotto l’obbligo di indicare il quesito diagnostico per le prescrizioni di specialistica ambulatoriale, provocando le critiche dei sindacati medici e della Federazione regionale degli Ordini per motivazioni che sintetizzo.
In medicina non sempre le prescrizioni di test sono motivate da uno specifico quesito diagnostico, ovvero da sintomi e/o segni obiettivi espressione di un sospetto clinico evidente. Ad esempio in presenza di un disturbo soggettivo isolato o dello scostamento di un parametro biochimico è spesso impossibile indicare un quesito diagnostico per un motivo intuibile: in questi casi gli accertamenti hanno l’obiettivo di acquisire ulteriori informazioni proprio per giungere ad una verosimile ipotesi. In tali circostanze nella richiesta si ricorre al classico acronimo n.d.d.: ad esempio calo ponderale, o ipopotassemia, o astenia, o ipertrigliceridemia, o febbre etc. di natura da determinare.
In riferimento all’approccio bayesiano probabilistico a soglia di diagnosi e terapia si possono individuare alcuni scenari esemplificativi:
Il terzo caso configura situazioni di incertezza a causa della mancanza di un solida congettura, come nei cosiddetti MUS (Medically Unexplaned Symptoms) che costituiscono una zona grigia resistente alla standardizzazione nosografica, vale a dire quel 20% circa di pazienti ambulatoriali con disturbi atipici o sfumati privi dei criteri minimi per rientrare in una categoria clinica, anche dopo svariati accertamenti e consulenze, che restano quindi al di sotto della soglia diagnostica ovvero orfani di una codificata ICD-9.
In altri termini le indagini preliminari di fronte ad un sintomo inusuale o enigmatico sono necessarie per formulare un plausibile quesito diagnostico, per cui il codice ICD-9 non può essere indicato nella fase iniziale di definizione del problema, detta anche problem finding/framing, caratterizzata da grande incertezza.
Un’altra situazione, tipica nel setting delle cure primarie, è la richiesta di accertamenti da parte di assistiti apparentemente sani e asintomatici ma preoccupati che chiedono una verifica del proprio stato di salute; questo bisogno pone evidenti problemi in merito all’obbligo del quesito diagnostico ma anche del semplice sintomo. Infine vengono spesso prescritti test in assenza di disturbi soggettivi e/o segni clinici per screening o valutazione di fattori di rischio, in ambito
Sulla base di queste ed altre argomentazioni, di carattere amministrativo come le esenzioni per situazioni particolari, la controversia lombarda sul codice ICD-9 si concluse con la DGR 9578 del 2009, che riconobbe la legittimità della motivazione clinica extra diagnostica con questa deliberazione.
Per quanto attiene la compilazione del quesito/sospetto diagnostico può essere esaustiva anche la motivazione di indagine clinico diagnostica per condizioni connesse alla prevenzione cerebrocardiovascolare o oncologica o metabolica; in tema di quesito/sospetto diagnostico è opportuno precisare la sua duplice natura di motivazione clinica e di quesito diagnostico.
È quindi necessario, pur distinguendo le due entità citate, prevedere che entrambe siano valide ai fini del rispetto delle indicazioni di cui alla presente deliberazione; infatti:
Dott. Giuseppe Belleri
Ex MMG - Brescia