Per i Codici deontologici delle professioni sanitarie ancora molto lavoro da fare
di Calogero Spada
15 GIU -
Gentile Direttore,
ho molto gradito il contributo del
dott. Mauro Lopopolo, la cui discussione dell’argomento deontologico si inserisce in una biasimevole, ordinaria incuranza istituzionale. Avendo condotto un benchmarking dei Codici Deontologici e dei Decreti Ministeriali istitutivi delle professioni non mediche nell’ormai lontano marzo 2015, il mio interesse si indirizza sull’apprezzamento di alcuni punti sollevati dal collega, ma altresì alla critica di taluni altri.
Concordo con il fatto (era già attualità nel 2015) che i codici deontologici di tutte le professioni andrebbero continuamente aggiornati ed adeguati; ma aggiungerei che forse, anche in una ipotesi di “riordino congiunto” come il titolo del pezzo suggerirebbe, andrebbero prima rimediati i numerosi svarioni sia formali che concettuali presenti a macchia di leopardo su tutti i codici; errori (a volte anche gravi) che il più delle volte tradiscono un carente background giuridico/normativo, che probabilmente costituisce il più classico “tallone di Achille” di molti professionisti, ma anche di taluni loro rappresentanti.
Pertanto non si può proprio parlare di ciò che risulti «ben noto» a tutti i professionisti interessati, anzi forse il contrario.
In proposito potrei fare qualche interessante esempio degli elementi apprezzabili, come anche delle sviste, ritrovati anche nel codice deontologico del Tecnico della Prevenzione, che pure risultava essere uno dei profili più completi circa la declinazione delle competenze e relative responsabilità; ma non sarebbe né opportuno né corretto; invito il dott. Lopopolo ad un costruttivo confronto su questi interessanti ed importanti aspetti; qui mi piace chiarire che la legge 3/2018 abbia pappagallato (pure medesimi numeri di comma e articolo) quanto si riscontri nel citato dispositivo normativo del 1946, e che quindi – praticamente da sempre – spetti alle Federazioni Nazionali l’emanazione dei codici deontologici.
Tornando a ciò che sia perseverante come scarsamente noto, ed in questo caso riferendomi anche agli ordini,
riprenderei quanto qui già ribadito, nel merito di un certo «ripensamento dei ruoli e delle responsabilità» ossia una funzione dei codici deontologici che possiamo inquadrare come “propedeutica” alla revisione degli stessi Decreti Ministeriali istitutivi.
Sempre nel 2015 già mi soffermavo sulla promozione sub lege delle emanazioni deontologiche, rese quali “fonti giuridiche” nel processo di identificazione dei professionisti della sanità, pertanto un altro aspetto che mi permetterei di correggere è che il codice deontologico sia «un codice di comportamento generalmente avente efficacia normativa» sostituendo al “generalmente” uno “specificamente”.
Tale carattere “precettistico” pone notevoli problematiche, ovviamente nel merito dei contenuti dei codici deontologici, che acquisiscono i caratteri intermedi tra una “soft law” e una “hard law”: pertanto l’errore più semplice e più grave che si possa commettere (anche in questo concordo con Lopopolo) è quello di attribuire ad essi una validità “soltanto formale”.
Probabilmente in passato ci si è potuti permettere tali leggerezze (forse motivo di alcuni capoversi anacronistici, se non addirittura imbarazzanti, ve ne sono ancora tanti in giro) ma nel quadro attuale e nelle correnti necessità, di un livello formativo che “deve” avvicinarsi e soprattutto tenere il passo di preparazione culturale avanzata con le professioni sanitarie dell’area medica, questo retaggio è da convertire.
Da una parte il codice deontologico deve mantenersi in “equilibrio intellettuale” con la “fonte” maggiore, ossia le leggi, dall’altra deve evolversi autonomamente, uscendo dalla campana di vetro della rappresentanza ed entrando più attivamente nella “vita” dei professionisti, per venirne così influenzato dal “sapere autogeno” degli stessi, in ordine sia ad un arricchimento continuo, integrato e multidisciplinare, sia ad una “revisione trasversale” più approfondita dei singoli codici, che metta in evidenza sia gli elementi di pregio (analogie e convergenze, spunti di particolare originalità – ve ne sono e non di poco conto) sia quelli di debolezza (situazioni di reciproco “copia ed incolla”, gravi disattenzioni, improprietà nelle definizioni, ridondanza di temi all’interno del medesimo documento, inaspettate serie di “escusationes non petitae”, fraseologia inappropriata, come anche motivi di caduta di … “tono”, per non parlare poi di inopportune ingerenze esterne all’organo professionale ed – addirittura – di redazioni caotiche).
Tutte circostanze inadatte se non lesive ed elementi, questi, talmente nevralgici da indurre ad ipotizzare la costituzione di una “Commissione inter-ordinistica di etica sanitaria e deontologia professionale”, che guidi il processo di compilazione, aggiornamento e revisione dei documenti di codifica deontologica delle professioni.
Infine, per quanto riguardi il «dettare le modalità di contestazione degli eventuali illeciti e le relative sanzioni sul mancato rispetto dello stesso», rimando a quanto
già discusso in altro intervento: gli ordini devono ancora capire che tali tutele per poter funzionare davvero devono essere configurate in modalità vicendevole.
Nel mio lavoro del 2015 uno dei paragrafi conclusivi era così titolato: “Ancora molto lavoro da fare”; noto con leggero disappunto che resta alquanto valido tutt’oggi.
Dr. Calogero Spada
TSRM Dottore Magistrale
15 giugno 2021
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