La cura della sofferenza merita più attenzione, anche nelle prossime auspicate riforme della sanità
di Marco Ceresa
25 MAG -
Gentile direttore,
siamo certamente in una fase di miglioramento dell’emergenza pandemica, chissà però, se dopo questa durissima lezione a cui l’intera umanità non ha saputo sottrarsi, ne trarremo preziosi insegnamenti, essendoci stato ricordato, che nonostante pensassimo assai avanzata la medicina attuale, siamo ancora ampiamente vulnerabili, ricchi e poveri, di fronte a nuove malattie emergenti.
Se certo di fronte al Covid 19 siamo stati carenti in cure eziologiche non effettivamente disponibili, però non avremmo dovuto esserlo almeno per le cure sintomatologiche (cure palliative e terapia del dolore CP e TDol), atte in ogni caso a lenire adeguatamente il livello di sofferenza elevato comune a tutti i pazienti in gravi condizioni (per algie, dispnea, angoscia, delirium e sintomi correlati a tempesta citochinica), vissuto non solo da quelli purtroppo in evoluzione sfavorevole e meritevoli almeno di veder mitigato adeguatamente il loro decorso, ma anche da quei malati che poi volgeranno verso la guarigione, per i quali la riduzione del distress è potenzialmente migliorativa anche dell'outcome per risparmio di riserva funzionale ed ossigeno meno consumati dal soffrire inutile.
Eppure anche questo aspetto ci ha colto impreparati, per la diffusa carenza di personale in grado di erogare in maniera specialistica le terapie della sofferenza complessa all'interno dei luoghi di cura preposti, non risultando compiutamente attuate le normative che le prevedevano anche quali Livello Essenziale di Assistenza (LEA).
Ora ci si aspetterebbe anzitutto l’implementazione e lo snellimento delle possibilità di ricerca, sia ordinarie che innovative volte alle emergenze, necessitanti di modalità, flessibilità, diffusione e tempistiche nuove per poter sperare di essere efficaci in tempi utili, impiegando tutti i farmaci ed adiuvanti potenzialmente efficaci, non scordando certo il principio del "primum non nuocere" ... ma anche non dimenticando che le pandemie uccidono di per sè senza pietà i malati gravi, rendendo non accettabili alcune lentezze che indirettamente contribuiscono alla letalità... (ben diversa la certezza di efficacia e sicurezza inevitabilmente richiesta ai vaccini che devono usarsi sui sani in prevenzione ... ).
Ci si aspetta anche però che si prenda finalmente atto della necessità di implementare in ogni setting le cure della sofferenza, con servizi specialistici dedicati di CP e TDol, volti a migliorare la qualità di vita, fattore fondamentale per i pazienti che si trovino a soffrire in qualsiasi tipo e fase di malattia altamente sintomatica e non solo nei periodi finali della vita.
La sofferenza è una triste compagna di ogni patologia importante, guaribile o meno che sia, e può sempre essere lenità. Tali cure sono forse penalizzate dal non avere un ritorno economico immediato appetibile per una sanità aziendalizzata, ma sono il prerequisito necessario per una sanità che voglia garantire la qualità di vita, a beneficio di tutti.
Purtroppo è una questione culturale e di sensibilità, che si evidenzia trasversalmente anche in ambito medico sin a livelli dirigenziali e decisionali, per cui capita ancora troppo spesso di sentir a chiare lettere ribadire la visione obsoleta (ignorante dei progressi occorsi dal secolo scorso), che vede le cure della sofferenza come rivolte in via esclusiva allo stretto fine vita del malato oncologico.
Peraltro, anche durante questa pandemia, tale visione è la stessa che in molti casi, può non aver compreso e quindi non aver implementato od addirittura talora magari osteggiato, la necessaria presenza delle CP nella gestione dei malati COVID. Ciò in chiaro contrasto con position paper che ne ribadivano pubblicamente l'importanza, emessi sin dalla prima ondata da importanti società scientifiche anestesiologiche e palliative (
SIAARTI e SICP. ), ma anche soprattutto in palese violazione normativa, possibile per l'assenza di chiari decreti applicativi cogenti delle leggi già esistenti (ormai ad oltre 4 anni dai LEA del 2017), che soli avrebbero potuto imporre la presenza minima di CP e TDol nelle strutture sanitarie.
Si auspica che nelle prossime attese riforme, fra le quali vi è certo la revisione dell'ancora vigente DM 70/2015 sugli standard ospedalieri (che ha diffusamente falcidiato per spending review anche le spese per la salute, bene che doveva essere indisponibile), si ottenga almeno l’applicazione effettiva dei LEA del 2017 ai quali non dovrebbero essere opponibili limiti di budget, come ricordato dal
Presidente della Corte Costituzionale, LEA che imporrebbero la garanzia della cura della sofferenza in tutti i setting di cura, ospedalieri, ambulatoriali e territoriali. Collateralmente sarebbe necessario attuare la valorizzazione delle competenze sul campo, quale unico criterio accettabile in una sanità da ricostruire senza sprechi.
Marco Ceresa
Medico
25 maggio 2021
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