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Perché è urgente riprogrammare l’attività chirurgica privata

di Claudio Maria Maffei

08 MAR - Gentile Direttore,
come noto, nella grande maggioranza delle Regioni italiane le case di cura private contrattualizzate erogano come loro principale attività quella chirurgica programmata non essendo invece coinvolte nella rete ospedaliera dell’emergenza e in quella delle terapie intensive. Cioè proprio in quella parte del sistema ospedaliero pubblico che è attualmente sotto pressione con inevitabili ricadute sulle attività chirurgiche di tipo programmato.
 
L'attività chirurgica delle strutture private contrattualizzate è fortemente sbilanciata  verso alcune discipline e linee di attività di solito specifiche della produzione di ciascuna struttura. Prevalgono ad esempio quasi ovunque le attività di ortopedia e crescono sempre più quelle di urologia. Si rischia che si venga a creare così una situazione paradossale in cui la chirurgia programmata delle strutture pubbliche anche di tipo oncologico allunga i suoi tempi (anche qui su QS è stato più volte lanciato questo allarme), mentre le strutture private garantiscono tempi relativamente rapidi per interventi ritardabili alcuni mesi, per intenderci al post-pandemia inteso come quel periodo in cui la vaccinazione di massa finalmente completata consentirà alle strutture pubbliche di ridare normalità alla propria attività.
 
Già nel corso della prima ondata vennero sottoscritti in alcune realtà accordi di questo tipo, come quello tra l’Azienda Ospedaliera di Perugia e l’ARIS e l’AIOP. Queste associazioni (l’AIOP anche di recente) hanno più volte ribadito la loro disponibilità  a fare la propria parte nel corso della pandemia ed hanno sottoscritto in molte Regioni accordi in questo senso.
 
La accelerazione che sta avendo la pandemia   in queste settimane sottrae spazi e soprattutto personale  alle attività chirurgiche delle strutture pubbliche. Sono ormai molte le Regioni (ieri 11) che impegnano più del 30% dei loro posti letto di terapia intensiva per pazienti Covid, percentuale che in ogni Regione salirebbe ancora di più  se si contassero i posti letto effettivamente operativi. Questo incremento difficilmente si recupererà rapidamente e sarebbe davvero insensato che a pagarne gli effetti fossero i pazienti candidati a trattamenti chirurgici urgenti per motivazione clinica nelle strutture pubbliche. Parte della chirurgia ortopedica urgente (fratture di femore in particolare) potrebbe pure essere trasferita presso le strutture private dentro percorsi da concordare in tempi rapidissimi.
 
Nessuna migliore occasione di questa per dimostrare che il sistema pubblico ha dentro con le stesse regole e gli stessi obiettivi gli erogatori pubblici e quelli privati. Tutti i problemi collegati (come la definizione degli aspetti economici ed amministrativi) andrebbe trattata contestualmente all’integrazione operativa.  Questa soluzione potrebbe anche venire incontro alla difficoltà delle Case di Cura di garantirsi il budget della produzione in mobilità attiva che sta subendo un inevitabile crollo.
 
Ma bisogna fare presto. Anzi, subito.
 
Claudio Maria Maffei
Coordinatore Chronic-On
 

 

08 marzo 2021
© Riproduzione riservata

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