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Ma il Covid sta diventando una patologia cronica?

di Nello Martini

01 MAR - Gentile Direttore,
come ha scritto il 24 febbraio, velocità è la parola chiave della nuova strategia governativa per il contrasto a covid-19. Sappiamo quanto sia essenziale la prontezza della risposta (readiness), soprattutto in difetto di un’adeguata preparazione (preparedness) che avrebbe potuto maggiormente proteggerci dalla pandemia al momento dell’outbreak dello scorso febbraio. Ma la rapidità di azione non può essere solo la caratteristica delle risposte chieste dai pazienti che soffrono la malattia nelle fasi più acute.

“Negli ultimi mesi si sono accumulate evidenze dei gravi effetti a lungo termine di covid-19", ha detto il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, in un forum internazionale svolto poco prima dello scorso Natale. Nello stesso evento, Danny Altmann, immunologo dell'Imperial College di Londra, ha avvertito che la "stima è che siano più di cinque milioni le persone sul pianeta sofferenti della sindrome post covid". Sindrome ancora non ben definita né ben compresa, anche perché la ricerca di base e clinica è ancora agli inizi. Diverse definizioni sono utilizzate per caratterizzare il quadro clinico che si manifesta nelle persone nelle quali i sintomi persistono o si sviluppano al di fuori dell'infezione virale iniziale, ma la durata e la patogenesi della sindrome sono ancora non del tutto conosciute.

Una delle peculiarità di questa sindrome è l’essere stata di fatto rappresentata prima sulle piattaforme condivise dei social media che sui trattati di medicina interna: i malati hanno iniziato molto presto ad aggregarsi nei gruppi su Facebook o a “riconoscersi” su Twitter, scambiandosi esperienze, impressioni, pareri, consigli. A questo ha contribuito l’essere gli effetti della malattia a medio e lungo termine molto diversi e difficilmente riconducibili ad un singolo ambito specialistico: da quella che qualcuno ha definito una "nebbia cerebrale" (brain fog) al respiro corto, dai problemi di memoria o di attenzione alla frequenza cardiaca accelerata, dalla nausea alla diarrea e a febbri intermittenti. “Soffriamo l’insicurezza sullo svegliarsi l’indomani” ha confessato Margaret O'Hara, co-fondatrice del Long Covid Support Group, che conta oggi più di 30 mila membri.

È naturale dunque che, di fronte all’emergenza di un problema assistenziale e di sanità pubblica di questa portata, il progetto MaCroScopio (osservatorio sulla cronicità), implementato da Fondazione ReS (Ricerca e Salute) e a cui hanno accesso istituzioni pubbliche e private, abbia deciso di interessarsi alle implicazioni dirette e indirette di covid-19 non solo sulle patologie croniche, ma più in generale sulla vita delle persone contagiate che hanno superato la fase acuta della malattia. “Long covid syndrome”, “Post acute covid” “Long haulers”: intorno a queste parole chiave e con l’obiettivo di rispondere al bisogno di conoscenze su quella che, con molta probabilità, rappresenterà una nuova cronicità, il progetto MaCroScopio ha posto l’accento su questo tema e ha dedicato una intera sezione del proprio sito alla raccolta di tutto il materiale (letteratura, documenti e link) che viene pubblicato su questa tematica. Il materiale viene raccolto e valutato attraverso una ricerca semi-sistematica, costantemente aggiornata, all’interno delle principali fonti di informazione impiegate dai ricercatori del campo biomedico e dagli operatori sanitari. Documenti e link proposti sia dalle interfacce di ricerca nella letteratura internazionale (ad esempio PubMed), sia dai siti delle istituzioni sanitarie (Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco, Organizzazione Mondiale della Sanità, Agenas, Regioni) e da quelli delle principali società scientifiche.

Si tratta di articoli che affrontano in generale la long covid syndrome: studi e analisi specifici, ipotesi sulla sua patogenesi, raccomandazioni e linee guida, contributi sulle diverse sintomatologie e conseguenze cliniche. Ma uno degli aspetti più qualificanti è proprio la sottosezione dedicata ai contributi sulle soluzioni organizzative, che in diverse parti del mondo iniziano a essere proposte. Credo sia importante infatti sottolineare come l’innovazione che giustamente viene sollecitata per rispondere all’emergenza sanitaria – e mi riferisco all’interessante intervista a Fabio Landazabal pubblicata da Quotidiano Sanità - possa riguardare non soltanto le tecnologie (farmaci, vaccini, dispositivi) ma anche i percorsi organizzativi.

La sezione ”Long Covid Syndrome” del progetto MaCroScopio, è strutturata in 6 sotto-sezioni: “Inquadramento del problema“, “Studi e analisi”, “Linee guida e raccomandazioni”, “Soluzioni organizzative”, “Ipotesi patogenetiche”, “Sintomatologia e complicanze specifiche” e va a completare il quadro sulla relazione esistente tra covid e cronicità, delineato dal progetto fin dalle prime fasi dell’emergenza (come descritto in una mia precedente lettera a QS). Tali risorse, liberamente accessibili a tutta la comunità, possono rappresentare un utile servizio per tutti gli attori del sistema sanitario, evitando il dispendio di energie per realizzare strumenti di consultazione sovrapponibili. 

È un ulteriore passo del progetto Macroscopio nella direzione di rendere più solida e robusta la base culturale sulla quale poggiare e costruire le opportune risposte, sia cliniche sia organizzative, capaci di far fronte a questo nuovo, emergente problema di salute.
 
Nello Martini
Fondazione Ricerca e Salute

01 marzo 2021
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