Il medico che fa il medico non è uno scienziato
di Franco Cosmi
23 FEB -
Gentile Direttore,
il medico che fa il medico non è uno scienziato ed è bene che non lo sia e non lo diventi. Sarebbe sbagliato e forse riduttivo considerarlo tale in quanto lo scienziato ha solo il bellissimo dovere di scoprire nuova conoscenza ma non di applicarla. Non saprei se lo scienziato potrebbe fare bene il medico senza averne l’arte e la tecnica. Il medico bravo deve però servirsi della scienza e conoscere bene il metodo scientifico per fare con competenza il proprio lavoro, per dovere professionale verso il paziente, per rispetto della società che lo ha abilitato a questa professione e per non avere rimorso professionale in caso di fallimento.
La deve conoscere in quanto ha giurato di esercitare in “scienza e coscienza” e non solo per sapere intellettuale o umanistico. Deve rendersi disponibile nella partecipazione alla ricerca clinica scientifica in quanto senza buona ricerca non c’è buona assistenza e senza buona assistenza non c’è buona ricerca. Però non deve essere necessariamente uno scienziato perché la scienza è solo un aspetto e forse nemmeno il più importante nella relazione medico-paziente.
Fondamentalmente egli è un colto empirista che conosce il metodo scientifico, un tecnico della malattia che conosce le linee guida per curarla, un amico del malato che conosce la tecnica e l’arte dell’empatia. Nella realtà quotidiana deve utilizzare la medicina scientifica insieme a quella non scientifica, secondo le circostanze, anche se bisogna ricordare che la medicina placebica è scientifica in quanto funziona statisticamente meglio del non fare niente. Egli si trova a fronteggiare l’ansia, la paura, che alimentano l’ignoranza ed impongono una fatica emotiva talvolta molto più pesante e difficile di quella professionale.
La malattia, come la salute, è un fenomeno principalmente biologico ma anche sociale, economico, politico, spirituale. Al paziente conviene la medicina scientifica, la medicina basata sull’evidenza, ma non sempre si convince di questo e quindi il medico è costretto ad applicare scientificamente il metodo non scientifico per salvare un rapporto in cui si palesano tutte le difficoltà e le debolezze del vivere umano nel groviglio di certezze, illusioni, speranze, pretese, che si appropria della mente di una persona soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà. In assenza di prove scientifiche chiare, per la valutazione delle preferenze e delle aspettative del paziente, nonché delle necessità e aspettative delle autorità sanitarie, si serve della sua esperienza.
E’ anche un bene che non sia uno scienziato perché si dovrebbe interessare troppo di aspetti specialistici clinici e metodologici che lo distoglierebbero dal suo compito fondamentale che è la cura del “suo” paziente. Sottolineo “suo” perché un conto è il paziente “medio” dei trials clinici e un conto è il singolo ed irripetibile paziente. Applicazione delle linee guida veramente scientifiche, esperienza e preferenza del paziente, sono i cardini della medicina basata sull’evidenza che è la sola che bisogna applicare se vogliamo seguire i canoni della medicina scientifica che abbiamo giurato di esercitare. Si aggiunge l’appropriatezza economica ed amministrativa per la sostenibilità del sistema. Mettere in pratica queste apparentemente semplici affermazioni non è scontato né facile.
Per secoli i medici hanno illuso più che curato riscuotendo stima e rispetto. Oggi che provano ad applicare il metodo scientifico vengono accusati, vilipesi e a stento riescono a mantenere un minimo di autorevolezza e a riscuotere una sufficiente fiducia. Promesse difficilmente realizzabili ed eccessiva enfasi nella comunicazione di supposte terapie miracolose, hanno portato ad aspettative non realistiche che, quando non realizzabili, causano delusione, rabbia ed azioni giudiziarie. Non hanno capito che le promesse scientifiche non sono come quelle politiche che hanno bisogno solo del consenso. La scienza non fa promesse ma semplicemente applica conoscenze riscontrate con il metodo scientifico.
La tecnologia rischia di asservirli e probabilmente l’intelligenza artificiale li costringerà ad essere dei meri esecutori di prestazioni come strumenti di medicina difensiva più che detentori di conoscenza. Li salverà la necessità di cura e speranza del paziente e l’innovazione che saprà apportare alla ricerca clinica progettando studi controllati, convincendo il paziente che oltre la speranza egli ha bisogno di prove robuste di efficacia di farmaci ed interventi invasivi che possono essere verificate solo attraverso una seria ricerca clinica.
E’ questa che attraverso la conoscenza, l’applicazione corretta della tecnologia e tanta empatia, ci può aiutare a considerare solo aspettative realistiche e non illusorie e a far ritrovare al medico quell’autorevolezza necessaria per fare una buona medicina senza dover essere necessariamente uno scienziato dilettante.
Franco Cosmi
Cardiologo
Perugia
23 febbraio 2021
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