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Senza un management adeguato, la riforma della medicina territoriale non si farà mai

di C.Ramponi, A.Zangrandi, R.Zanini

18 GEN - Gentile Direttore,
molti Autori, anche su queste pagine, hanno sottolineato la necessità di riformare la medicina territoriale (così come identificata dai Lea e a cui cooperano i MMG e PLS oltre a molte altre strutture). È indispensabile che idee, esperienze nazionali e internazionali siano messe in campo per realizzare quelle condizioni che permetteranno una maggiore efficacia.
 
Questo nostro contributo, che nasce da esperienze differenti, ma da un approccio comune - crescita delle competenze e della capacità di fornire servizi di qualità costante e integrazione delle professioni - identifica tre elementi qualificanti su cui costruire i servizi territoriali.
 
Innanzi tutto, lavorare da soli non aiuta i professionisti (i MMG, gli specialisti che operano nel territorio, e in genere nessun operatore) e non aiuta quindi neppure i pazienti. Occorre individuare modi e strumenti per generare delle organizzazioni territoriali pluriprofessionali (medici, infermieri, amministrativi, assistenti sociali, ostetriche, ecc.) che operano congiuntamente, che si coordinano che hanno obiettivi comuni, che condividono spazi e strumenti, che si dotano di modalità di lavoro comune, che hanno tecnologie di supporto comune.
 
Queste organizzazioni devono anche lavorare in spazi condivisi, devono condividere PDTA, interfacciarsi con altri livelli assistenziali (ospedale, riabilitazione, servizi sociali, ecc.) in modo sistematico. Appare indispensabile che si realizzi un coordinamento che sia realmente un punto di snodo della organizzazione e una funzione operativa (se fa paura un ruolo aggiuntivo si può sempre pensare ad un coordinatore a rotazione!) e che conseguentemente partecipa attivamente alla vita dei dipartimenti e delle altre forme di collaborazione di ospedali, asl, asst (dipende dalle Regioni).
 
Il coordinamento non si realizza solo attraverso la buona volontà, ma attraverso strumenti e progetti. Occorre costruire l’integrazione concretamente lavorando insieme e progettando interventi. Occorre che la medicina territoriale e i MMG entrino effettivamente e non formalmente (come spesso oggi accade) a far parte della vita delle organizzazioni sanitarie, dei loro meccanismi di funzionamento, dei progetti di miglioramento. I tavoli sindacali non sono sufficienti, vanno disegnati, infatti, nuovi obiettivi e nuove modalità operative con alto contenuto professionale orientato ai bisogni dei pazienti.
 
Un importante cambiamento riguarda la figura dell’infermiere e di altri professionisti del comparto. È indispensabile che siano parte dell’organizzazione territoriale, così da incrementare il livello di servizio fornito agli utenti. Molti esempi nel mondo e anche nel nostro Paese indicano si possano realizzare modalità assistenziali che vedano in campo queste figure professionali per favorire la presa in carico e la continuità delle cure.
 
L’organizzazione delle aziende pubbliche deve perciò modificarsi. La piena riprogettazione e rivitalizzazione del distretto potrebbe essere una possibilità. Pur tuttavia alcuni aspetti appaiono critici. Il distretto spesso è stato un riferimento territoriale, inteso come puro ambito geografico, e non come dimensione organizzativa e gestionale. E’ spesso percepito come ulteriore livello burocratico, dove si danno autorizzazioni formali, si applicano norme e procedure, il più delle volte, coerenti unicamente con la normativa ma lontane dai bisogni e dalle reali necessità. L’organizzazione distrettuale ha bisogno di un differente orientamento e soprattutto di un management capace di interpretare un ruolo molto delicato: quello di indirizzo e valutazione senza disporre di autorità gerarchica e senza dover ricorre alla burocrazia (circolari, interpretazioni, contenziosi amministrativi).
 
Quindi l’organizzazione distrettuale deve essere ripensata: non solo valutando le dimensioni di popolazione e del territorio, ma i distretti devono essere progettati e realizzati come organizzazioni professionali (non burocratiche) capaci di perseguire gli obiettivi di salute.
 
Infine, il tema della valutazione e del controllo. Nessuna organizzazione e nessuna professione migliora effettivamente senza sistemi di valutazione e controllo che permettano di apprendere attraverso la misura di cosa effettivamente fatto e la distanza che intercorre tra obiettivi e progetti e la realtà.
 
L’apprendimento organizzativo si realizza attraverso questo metodo. Per valutare in modo adeguato e quindi per poter imparare occorrono almeno tre condizioni che nella riforma dovrebbero emergere chiaramente:
 
- Gli obiettivi. Tutti i livelli, tutti i professionisti devono avere obiettivi da perseguire (non certo quelli economici, come maldestramente alcuni commentatori indicano, ma legati alla qualità, alla continuità assistenziale, alla crescita professionale, ecc.). Senza obiettivi le organizzazioni nel migliore caso si burocratizzano (i compiti diventano il riferimento) nel peggiore dei casi c’è anarchia e irresponsabilità organizzativa.
 
- La misurazione di molti aspetti e la individuazione di driver capaci di esprimere valutazione sui vari fenomeni. Occorre lavorare con i dipartimenti anche ospedalieri per definire adeguati indicatori che possono aiutare a migliorare qualità e presa in carico.
 
- Una organizzazione (distrettuale e di asl/ospedale) che valuta i risultati, che sa individuare obiettivi fattibili e concreti, che sa sostenere chi ha difficoltà.
 
Ne deriva un’idea organizzativa innovata nelle modalità di azione e non solo nelle alchimie istituzionali.
 
Cosa ci vuole per fare questo? Sicuramente numerosi interventi – modelli organizzativi, progetti di sistema, rapporti tra Stato e Regioni - ma ci permettiamo di indicarne una prioritaria: il management che guida le organizzazioni e che favorisce il coordinamento oggi e per il futuro. Occorre forse proporre innanzi tutto una riforma manageriale forte, orientata a generare una classe di dirigenti orientata all’organizzazione, alla capacità di coinvolgere e motivare, di fare squadra.
 
Management che sa che i risultati dipendono da quanto i professionisti partecipano e sono motivati e sanno motivare. Come ci diceva una amica tempo fa: il primo modo di dare davvero attenzione ai pazienti è quello di credere negli operatori e sostenerli nel loro lavoro.
 
Ecco, questo è il management necessario nel Servizio Sanitario Nazionale.
 
Carlo Ramponi
MD, già responsabile europeo di Joint Commission International
 
Antonello Zangrandi 
Professore ordinario presso l’Università di Parma
 
Rinaldo Zanini
MD, Componente del neonatologo Comitato percorso nascita nazionale

P.S. Qualcuno potrebbe chiedersi: perché insieme provenendo da mondi così diversi? Il cambiamento è legato alla passione di orientare le organizzazioni all’efficacia: questo ci accomuna
 


18 gennaio 2021
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