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Covid. La consegna del silenzio per gli operatori sanitari

di Marco Ceresa

14 DIC - Gentile Direttore,
la consegna del silenzio che di fatto appare essere stata diffusamente imposta al personale sanitario operativo sul campo (notizie di stampa da più parti lo confermano da tempo, con sanitari che parlano solo di nascosto in ogni regione), in apparenza nel tentativo forse di evitare allarmismi (che però sarebbero stati veri e non inutili) o fors'anche per mascherare l'emergere di carenze (che se emerse sarebbero state ben comprensibili vista l'emergenza ed avrebbero così potuto essere meglio emendate nei limiti del possibile), temo che concretamente sia stata, oltre che gravemente lesiva del diritto di parola e di informazione trasparente, anche e soprattutto del tutto controproducente per la salute pubblica. 

Infatti così si è favorita la sottovalutazione e quindi il diffondersi della pandemia, come anche il diffondersi del negazionismo, che certo ha avuto molto più diritto di parola rispetto a quello largamente negato agli operatori sul campo, che soli davvero sanno come vanno le cose al letto del malato, quale sia il livello di sofferenza che la dispnea, quando diviene inemendabile, impone; quale sia la pena nel trovarsi impotenti, sia da parte degli operatori che non hanno cure risolutive, che da parte del povero paziente il cui sistema immunitario è sopraffatto, nel tentativo strenuo di contenere l'evoluzione clinica, che nei numerosissimi casi gravi è sfavorevole, talora repentina, di questa grave patologia, quando purtroppo si diffonde all'intero polmone, che non è più, progressivamente, in grado di respirare, quell'aria e quel l'ossigeno anche dato ad alti flussi, che per il nostro corpo è la vita.
Sarebbe stato utile far sapere anche, quanto spesso non sia facile in tutto quel percorso faticosissimo, ottenere il controllo della sofferenza,
da attuare senza precludere alcuna possibilità di eventuale miglioramento, trattandosi di una malattia acuta, nella quale non va comunque tolta alcuna speranza di guarigione.

In sostanza indurre un po' di sana paura in più dell'infezione (come è sano il timore del fuoco, che ci protegge poi da esso consentendoci di conviverci ed anche di usarlo), avrebbe protetto tutta la popolazione,certo maggiormente di tanti divieti non compresi e quindi poi non adeguatamente rispettati;
maggior timore avrebbe portato spontaneamente a comportamenti dei singoli più cauti, fors'anche con molta meno necessità di limitazioni specifiche e quindi anche con minori danni economici e sociali complessivi.

La verità comunicata, ancorchè spiacevole, sarebbe stata empaticamente percepita ed avrebbe generato maggiore credibilità e fiducia.

Marco Ceresa
Medico

 

14 dicembre 2020
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