Se il lavoratore disabile non può avere cura di sé stesso
di Matilde De Pellegrin
16 SET -
Gentile Direttore,
la Legge 104/92 nasce per promuovere e tutelare l'integrazione della persona con disabilità nella società e nel mondo del lavoro, attraverso l’adozione di misure necessarie che, passano anche per il diritto all'assistenza. E’, pertanto, il diritto che la persona con disabilità ha di ricevere assistenza per potersi integrare nella società, quello che la legge tutela.
La natura di questa agevolazione, non prevede che l’assistenza sia erogata espressamente per accudire fisicamente la persona; l’assistenza può esplicitarsi anche in attività che sono di aiuto o di supporto alla persona con disabilità, come ad esempio l’acquisto di un medicinale, il pagamento di una bolletta etc etc ....
La normativa, non prevede neanche che, durante le ore di assistenza, il familiare debba rimanere a contatto con la persona da assistere e, certamente, non vi è un elenco di attività possibili o lecite.
Lo esplicita chiaramente un'interpellanza al Ministero del Lavoro ( n°30, del 6 Luglio 2010), nel quale il Ministero si esprime sulla possibilità di utilizzo del congedo straordinario, D.Lgs 151/2001, legato alla L 104/92 (una agevolazione differente rispetto ai permessi, ma è la motivazione espressa che qui ci interessa) per assistere il familiare con grave disabilità, qualora questo presti a sua volta attività lavorativa nel periodo di godimento del congedo da parte del familiare che presta assistenza, nell’interpellanza si legge “non sembra conforme allo spirito della normativa porre, a priori, un limite alla fruizione del congedo da parte di colui che assiste il familiare disabile. L’art. 33 della legge 104/92 prevede che la persona con handicap grave possa essere assistita dal familiare che ne abbia i requisiti previsti dalla legge.
Due sentenze della Corte di Cassazione si sono espresse su due casi che rappresentano storie di persone che, durante i giorni di permesso, vengono trovate in vacanza, oppure fuori città e sempre più spesso, giungono richieste di chiarimento relative il comportamento che, il familiare che presta assistenza, debba tenere durante i tre giorni di permesso, o durante il periodo di congedo straordinario.
Per prima cosa consideriamo che, disattendere quanto previsto dalle norme di tutela dell’assistenza alle persone con disabilità è un comportamento tanto più odioso, in quanto questo, impone un impegno di spesa pubblica che tutta la collettività sopporta a tutela esclusiva della persona con disabilità che, le giornate di permesso o di congedo richieste dal lavoratore, prevedono generalmente una riorganizzazione dell’attività lavorativa e spesso incombenze più gravose per i colleghi, oltre al fatto, che il riconoscimento di queste agevolazioni comporta un vincolo morale oltre che giuridico del lavoratore. In ultima analisi una condotta che ha forza di disvalore sociale.
Di rimando dunque il D.Lgs 151/2001, legato alla Legge 104/92 trascura e esclude dalla concessione del congedo straordinario biennale retribuito nel caso in cui la persona con grave handicap certificato sia il lavoratore stesso, pur essendo lo stesso gravato di patologie invalidanti; ad esso non viene riconosciuta l'aspettativa retribuita prevista ai caregiver.
Si ammala di tumore, di una patologia degenerativa ed avrebbe necessità di riposarsi, ma non può usufruire di questo congedo, mentre lo può un parente, un familiare, perché gli verrà decurtato dallo stipendio.
Poter lavorare non corrisponde ad essere guariti.
Un numero significativo di disabili abbandona il lavoro prematuramente per diversi motivi; 2/3 delle persone COLPITE perde il lavoro nei primi 15 anni dalla diagnosi , con una maggiore incidenza nei primi 5 anni . Fattori che influenzano negativamente l'attività socio lavorativa delle persone disabili in Italia.
In merito a tale punto nulla recita esplicitamente la normativa che regola la concessione di astensione dal lavoro per congedo straordinario ai soggetti portatori di handicap , seppur certificati da commissioni medico legali , ma risulta essere in vigore una tacita “consuetudine” dei soggetti preposti , di non concedere il beneficio a tutela della salute della persona disabile.
Questo buco normativo mortifica i lavoratori che pur avendo la L.104 /92 non possono usufruire dell'astensione lavorativa retribuita.
Perché accanirsi con un lavoratore che vuole conservare la propria dignità , e che spesso lavora come e più degli altri, proprio per non sentirsi malato ed emarginato? Curarsi è già un lavoro molto faticoso ed economicamente dispendioso.
Da qui sorge da parte di una ampia fascia di operatori della sanità la richiesta di assistenza legale per sollevare alle Istituzioni il problema e la necessità di modificare la legge 104/92 per estendere il diritto al lavoratore disabile per sé stesso.
Matilde De Pellegrin
Tecnico di radiologia medica Asl Rm4
16 settembre 2020
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