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I differenti ambiti di responsabilità nella risposta alla pandemia


30 LUG - Gentile Direttore,
le propongo alcune riflessioni iscaturite dalla lettura dell'articolo della dott.ssa Frittelli del 28 luglio. I temi affrontati sembrano essere essenzialmente due: in primis, responsabilità del danno da Covid; in secundis, l’aumento esponenziale del contenzioso Covid con associato rischio bancarotta delle ASL.

La risposta ad una pandemia virale ha fondamentalmente due componenti: una componente farmacologica (vaccino, terapie antivirali, terapie di supporto) e una componente non-farmacologica che si divide in generica (distanziamento sociale, quarantena, lockdown) e specifica (livelli di organico, posti letto e ventilatori, dispositivi di protezione individuale, protocolli operativi per l’emergenza)

Questo virus “nuovo” ha influito sulla risposta farmacologica. È infatti in atto una corsa contro il tempo per sviluppare vaccini o terapie mirate. Nel frattempo, i professionisti sanitari si sono impegnati nello sviluppo di terapie di supporto per contrastare una malattia estremamente elusiva.
Al contrario, la risposta non-farmacologica (organizzativa) non varia al variare del tipo di virus. Che il virus sia “nuovo” o “vecchio” non fa alcuna differenza. Già nel 2005-2006, a livello internazionale, si riteneva imminente una pandemia per cui vennero preparati protocolli nazionali dettagliati di risposta non-farmacologica. Nonostante questo preavviso di almeno 15 anni, all'arrivo del virus, Stato e Regioni (ASL) si sono fatte trovare impreparate con organici e posti letto ridottissimi, posti letto in Terapia Intensiva insufficienti, assenza di DPI, e assenza di protocolli operativi adeguati.
 
Per quanto riguarda la risposta non-farmacologica, non si può quindi invocare il problema del virus “nuovo”, non c'entra assolutamente nulla. Sia chiaro che questa mancata preparazione riguarda i governi regionali e centrali degli ultimi 15 anni (condotte colpose omissive indipendenti).

La posizione di responsabilità dei professionisti sanitari a cui è affidata la risposta farmacologica è quindi completamente diversa dalla responsabilità di Stato e Regioni (ASL) a cui spettava la posizione di garanzia per la risposta non-farmacologica. Le due posizioni non possono e non devono essere confuse.

Per questo motivo, Stato e Governatori regionali dovrebbero assumersi la responsabilità collettiva per questa impreparazione garantendo ai danneggiati il giusto ristoro magari mediante indennizzo (non-giudiziale).

L'aggressione giudiziaria al personale sanitario all’interno dello stato di emergenza dovrebbe essere resa completamente inaccessibile in campo penale, civile e amministrativo (scudo).

Per quanto riguarda l'evoluzione futura della responsabilità sanitaria, la depenalizzazione della responsabilità professionale andrebbe affrontata senza ulteriori indugi insieme al perfezionamento della legge Gelli in ambito assicurativo. Non ci sorprende che, permanendo tali vulnerabilità, alcune ASL sembrano già essere in grave sofferenza finanziaria.

Oltre alla citata depenalizzazione della responsabilità professionale occorrerebbe porre una censura onerosa per le cause temerarie, e la definizione chiara di tetti ai risarcimenti.
Tali modifiche renderebbero il rischio professionale medico area “gradita” alle compagnie assicurative e limiterebbe di molto la pratica della medicina difensiva.


Dott. Carlo Benzoni
Consultant Surgeon, UK | Fondatore Quality Improvement Italia
Edinburgh, Scotland, UK


30 luglio 2020
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