Per i medici specializzarsi è davvero un diritto?
di Lorenzo Spadotto
29 MAG -
Gentile Direttore,
negli ultimi giorni i Giovani Medici italiani hanno manifestato e protestato richiedendo di potersi specializzare, non tratterò cosa li ha portati nelle piazze in queste righe, ma mi ha colpito l’affermazione di alcuni esponenti politici e sindacali: “specializzarsi è un diritto”.
La “Parte I” della Costituzione italiana presenta al lettore i “Diritti e doveri dei cittadini” e tra questi annovera: la libertà personale, del domicilio, della corrispondenza, di circolazione; la libertà di riunione, di associazione e fede religiosa, di manifestazione. Seguono fino alla “Parte IV” i diritti concernenti la famiglia, il matrimonio, l’insegnamento e lo studio; il diritto al lavoro, all’organizzazione sindacale e allo sciopero; il diritto di voto.
Valeva la pena scorrerli tutti e cinquantaquattro, perché no, non si trova il “diritto a specializzarsi”.
Una speranza potrebbe venire dai Principi Fondamentali, che all’articolo 2 della Costituzione rincuorano subito l’avventore: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti fondamentali dell’uomo […].”; ma nemmeno tra questi, no, non è presente quel particolare diritto.
Quindi specializzarsi è davvero un diritto?
Il diploma di specializzazione si ottiene frequentando un corso della durata massima di 6 anni, dopo aver conseguito la laurea magistrale, e attribuisce la qualifica di specialista.
Senza questo diploma il Medico Chirurgo (laureato in Medicina e Chirurgia) rimane tale e abilitato alla professione può svolgere molteplici lavori sia nel settore pubblico, sia nel settore privato. Quindi può lavorare e l’art. 4 della Costituzione, infatti, riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Non è secondario, però, ricordare che un neolaureato in Medicina e Chirurgia fino a poco tempo fa (forse anche oggi in qualche Ateneo?) terminava gli studi senza aver conoscenza del Basic Life Support (per intenderci: di come fare il massaggio cardiaco), e che in molti altri campi l’Università non è sufficientemente formativa e preparatoria al mondo del lavoro medico. Vengono quindi a mancare sicuramente alcune delle condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro.
L’art. 36, invero, recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro […]”. È importante sapere, a questo punto, che un medico al di fuori degli incarichi di specialità ha un onorario libero professionale decisamente legato ad ottiche di mercato (e poco al valore intrinseco del lavoro): 100 euro per assistere una partita sportiva (con responsabilità enormi spesso misconosciute), 20 euro/ora per incarichi in punti di primo intervento, 10 euro/ora per incarichi stagionali per la medicina turistica, e di esempi ce ne sarebbero ancora molti, ma è sempre bene concludere ricordando le famose offerte di lavoro con pagamento “a pizza e birra” a fine evento. Singolare, infine, che il miglior onorario per un medico non specialista si possa individuare nei corsi di primo soccorso aziendale, proprio dove il rischio professionale (e probabilmente la componente professionale aggiunta) è minore.
D’altra parte, l’art. 32 ricorda che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. […]” e, sapendo
che entro il 2025 il Sistema Sanitario Nazionale sarà in ginocchio e in grave carenza di specialisti, allora paradossalmente la specialistica è un diritto anche per lo stesso medico che vuole accedervi, in quanto cittadino italiano.
E quindi è indirettamente un diritto del medico che lo Stato si adoperi per una corretta programmazione degli accessi a Medicina e Chirurgia, e contestualmente preveda almeno la specializzazione dei medici necessari a garantire il futuro del SSN.
È davvero un diritto specializzarsi? Probabilmente non lo sarebbe, ma lo diventa nel momento in cui l'università non è efficacemente formativa o se non essere specialista ti costringe a lavori dall’onorario inadeguato rispetto alle responsabilità mediche o quando un'errata programmazione sanitaria rischia di disintegrare il Sistema Sanitario Nazionale.
Allora sì, è un diritto specializzarsi e non possiamo farne una colpa dei Giovani Medici.
Lorenzo Spadotto
Medico Chirurgo
29 maggio 2020
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