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Infermieri. Smettiamola di seminare “zizzania” tra le professioni

di Daniele Di Micco

23 APR - Gentile Direttore,
seguo con attenzione il confronto sul suo quotidiano on-line in merito alle nuove competenze infermieristiche e, se mi è consentito, vorrei svolgere delle brevi considerazioni e porre alcune domande.
In primo luogo, desta un certo stupore dover registrare come tutto il dibattito in corso, benché svolto con argomentazioni interessanti, tradisca che esso ruoti tutto attorno ad un’unica e ricorrente domanda, peraltro sempre la stessa da troppi anni: il fatto che le professioni sanitarie rivendichino autonomia e dignità professionale può far sorgere il legittimo sospetto che, in realtà, queste vogliano – alla fine – prevaricare il ruolo e la figura del medico sottraendogli compiti e funzioni?

Se non togliamo il velo ai problemi, la discussione rischia di essere falsata e vana.
Ciò sembra chiaramente emergere dalle osservazioni formulate da Ivan Cavicchi, che contesta puntigliosamente dapprima il metodo con cui il documento è stato proposto, e poi – nel merito – rileva diversi punti di caduta della proposta del tavolo tecnico sulle nuove competenze infermieristiche facendo leva sull’oramai vetusto dualismo che contrapporrebbe il medico all’infermiere. Ma di chi è, allora, la responsabilità di riproporre questo conflitto non appena si parla di temi cari alle professioni, riattizzando un dibattito (antico) e una polemica (un po’ stucchevole), che pare servire solo ad alzare una cortina fumogena utile ad allungare i tempi della discussione e, in definitiva, a lanciare la palla sugli spalti? Né pare fruttuoso discettare, come pure fa onestamente la collega Marcella Gostinelli, su presunte visioni tayloristiche superate o meno e “forzature burocratiche” operate: qui, la sostanza pare davvero essere un’altra, e di ben altra fattura e profilo. E cioè, una certa approssimazione del dibattito in corso e l’errore fatale che tutti noi commettiamo ogni qualvolta si tratta di affrontare il nodo di come ottimizzare il mondo della sanità passando attraverso un ripensamento delle attuali professionalità che vi operano.

La crisi della professione medica (in primo luogo della sua identità) è sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto sono oramai evidenti le crepe, profonde, che attraversano da tempo tutto il modello organizzativo sanitario fondato sulla centralità del ruolo di questa figura, che si aggrappa con tutte le sue forze all’ultima strenua difesa offerta dalle organizzazioni di categoria. Ma, al contrario, come possono i professionisti (tutti) rispondere ad una sfida che chiama invece all’innovazione e al rilancio in un contesto come questo e minacciato, peraltro, da una crescente e progressiva azione di tagli dei fondi e degli investimenti, oltre che dell’occupazione? C’è davvero qualcuno che coltiva la falsa illusione che esista qualche chance di salvezza trincerandosi nella propria casamatta? Ve ne furono nella storia di inattaccabili fortini blindati che caddero!

Abbiamo costruito un modello sanitario fondato su un principio di aziendalizzazione (sacrosanto) con l’obiettivo di modernizzare e rendere efficienti le vecchie USL, che apparivano scassate e lottizzate: ci siamo ritrovati, in breve, a definire i malati “clienti”, il pareggio di bilancio (quando lo si raggiunge) è diventato l’unico “credo” con cui si misura l’efficienza delle ASL, reso ferrea la normativa che vincola la responsabilità dei dirigenti ma i DEA, in molte parti d’Italia, scoppiano e gli sprechi e le inefficienze sono aumentati. Inoltre, se l’indagine sulla valutazione degli esiti per l’anno 2009 effettuata dall’Agenas tratteggia una situazione di luci e di ombre quantomeno per gli ospedali del Lazio (ed, immagino, anche per il resto del territorio nazionale) è lecito porsi il dubbio che forse su qualcosa si è mancato se, nonostante tutti questi provvedimenti, la sanità pubblica continua ad essere sull’orlo di un crinale? Insomma, il “sistema” – e i professionisti con esso - “tiene”? E’ in gioco la sua sopravvivenza, c’è poco da essere tranquilli.
Ebbene, forse è giunto il momento di guardare ad un’altra variabile su cui si è intervenuti poco, cioè le professioni. Ed occorre farlo però con schiettezza e trasparenza, senza tabù ideologici ed antichi retaggi o slogan datati, evitando di creare sempre nuovi problemi o tagliando continuamente in quattro il capello, inventare neologismi per ricominciare, come nel gioco dell’oca, la discussione da capo.
 
Il documento del Tavolo tecnico rappresenta un’importante esempio di exit strategy dalla crisi che attanaglia la sanità, ed è intellettualmente onesto (come colui che l’ha partorito e che con passione e competenza segue da anni le vicende delle professioni, Proia); insomma, non prevarica nessuno se viene letto con le giuste lenti, ed è evidente che è collocato all’interno di un percorso. Se il 19 marzo è stato possibile presentare nella sede dell’ordine dei Medici di Roma una proposta di legge concernente l’istituzione di servizi autonomi per le professioni nelle ASL del Lazio una ragione ci sarà: qualcuno ha parlato di un muro (uno degli ultimi rimasto ancora in piedi) che crollava. Ma se non ci attrezziamo per tempo – tutti insieme - ai cambiamenti repentini e radicali che il quadro economico e lo scenario internazionale ci impone resteremo travolti da ben altre macerie. Occorre davvero un nuovo “patto” tra professionisti per raccogliere le nuove sfide sulla salute che ci arrivano e per offrire le nuove risposte che la società attende. Bisogna smetterla davvero di seminare zizzania tra le professioni.
 
Ma ci vuole coraggio ed andare al sodo, anche in fretta: se penso al 118 del Lazio, il documento che ridisciplina le competenze dell’infermiere in area critica e emergenza-urgenza sancisce, da un lato, attività che i professionisti più maturi già in parte svolgono mentre, dall’altro, tranquillizza molti tra chi, come i medici più illuminati, queste statuizioni attendono con evidente e comprensibile sollievo. E pone una pietra miliare sull’efficacia e l’efficienza degli interventi di soccorso realizzati in ambito extraospedaliero. Insomma, salva le vite e fa pure risparmiare. E’ poco? Avviene da anni in realtà come, ad esempio, il London Ambulance Service di Londra o il Samù de Paris: altro che “pensiero debole”!
E’ di questo che i professionisti della salute vogliono parlare, inclusi i medici che hanno ben compreso l’esigenza di ri-modulare il proprio ruolo proiettandolo verso nuovi e ben più avvincenti scenari: della necessità di guardare al futuro rimettendosi in gioco, senza temere per quello che verrà e senza nostalgia per quello che è stato.   
  
Daniele Di Micco
Responsabile Servizio Infermieristico di Roma e Provincia ARES 118
                   
 

23 aprile 2012
© Riproduzione riservata

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