Coronavirus. Quando dovevamo urlare siamo stati zitti
di Maurizio Grossi
23 MAR -
Gentile Direttore,
in questi giorni di lutti, di bollettini di guerra, si deve agire, uniti e senza discordia. Ma si deve trovare anche il tempo per chiedersi “perché” tutto questo, chi può essere il “co-imputato”, oltre all’invisibile morbo, di questa immane tragedia. Ci sto pensando, perché a guerra finita, prima o poi finirà, si dovranno avanzare proposte per una nuova medicina.
Che qualcosa non abbia funzionato è sotto gli occhi di tutti. Ma cosa? Per colpa di chi? Non penso sia tutta colpa del virus, pur riconoscendogli tutto il carico mortifero.
Ogni attore della sanità dovrà fare una autocritica. In queste giornate, sono pensionato dopo 35 anni di Pronto Soccorso, ho avuto tempo per alcune riflessioni.
Ho visto ospedali al collasso, senza posti letto, senza un numero sufficiente di respiratori in terapia intensiva, carenti di medici, di infermieri, privi dei DPI, medici di medicina generale a mani nude contro il virus.
Ho visto tutto questo e mi sento corresponsabile. Come Presidente di un Ordine, quello dei Medici, avrei dovuto urlare denunciando le colpevoli carenze organizzative, strutturali e di dotazioni organiche che anno dopo anno si sono create nella nostra sanità.
Come Presidente avrei dovuto pretendere, si pretendere, che tutti i neo-laureati potessero continuare il loro percorso formativo con l’accesso alla specializzazione o al corso in medicina generale.
Come Presidente avrei dovuto denunciare tutte le carenze che già in “tempo di pace” i nostri ospedali avevano. Avrei dovuto denunciare i tagli sconsiderati fatti al servizio sanitario, con sempre meno posti letto, sempre meno personale, sempre più precariato.
Avrei dovuto oppormi al dilagare nell’opinione pubblica del pernicioso pensiero della “malasanità”. Non ho fatto abbastanza. Io che nel mio ospedale, in “tempo di pace”, non avevo sufficienti posti letto in rianimazione, sufficienti posti letto nei reparti medici, io che avevo sotto gli occhi le lunghe liste d’attesa.
Io che ho tollerato che si potesse rimanere per giorni su una barella in Pronto Soccorso.
Ecco allora, avrei dovuto urlare, protestare, andare a muso duro contro gli amministratori che con l’idea della razionalizzazione, di fatto tagliavano irrazionalmente, chiudevano reparti, chiudevano ospedali, non sostituivano il personale; tutto quello che manca oggi.
Non ho capito e denunciato che un sistema sanitario, a malapena sufficiente “in tempo di pace” non poteva reggere all’urto di una guerra. Non ho capito che le guerre ritornano, che il “tempo di pace” è sereno se si è pronti ad affrontare la guerra. E noi pronti alla guerra non lo siamo stati.
Ho capito che i dibattiti su temi che sembravano fondamentali quali il consenso informato, la comunicazione, il suicidio assistito, le DAT, l’ECM, le linee guida, la responsabilità professionale, tutto questo e molto altro, mi ha distolto dal prepararmi alla guerra. Temi che oggi appaiono surreali.
Surreali perché oggi si muore soli, a volte per mancanza di cure, senza aver firmato consensi, senza il tempo di interpellare un legale per sporgere una denuncia, senza un funerale. Ecco allora che mi sento in colpa.
Oggi si applaudono i medici e tutti i sanitari, che stanno dando una lezione di civismo alla classe politica e all’Italia. Una lezione di solidarietà che giunge al sacrificio, quello dei tanti medici morti sul lavoro.
Dico che è tempo di tacere e agire, per ringraziare queste donne e uomini. Tra chi applaude, forse c’è anche chi, ad uno di questi eroi, ha intentato una causa per “malasanità”. Tra chi sta combattendo in trincea c’è sicuramente chi si trova coinvolto in un procedimento giudiziario per malasanità.
E nonostante questo non si tira indietro. Non si appella a linee guida, a contratti di lavoro che impongono riposi che ormai da un mese non vengono goduti.
Più che applausi chiedo che qualche cittadino ritiri la denuncia, liberi questi eroi dal peso di processi che il più delle volte si concludono in un nulla di fatto.
Poi mi piacerebbe che gli “Stati Generali della Professione Medica”, quando si potranno tenere, avessero al centro del dibattito l’analisi di ciò che sta accadendo. La nuova medicina con i suoi paradigmi e i confini dell’agire medico, sta nascendo in questi giorni di guerra.
In questi giorni, e direttamente sul campo (di battaglia) si stanno individuando i valori e le priorità della futura sanità. Nulla sarà come prima. Dimenticare gli insegnamenti che vengono da questa tragedia sarebbe un grave errore.
Come Presidente, facendo un umile appello ai miei colleghi, dovrò (dovremo) essere portavoce di tutti i medici italiani, sostenendo quanto da loro sarà richiesto, senza timori verso la classe politica, con la stessa grinta che loro oggi hanno nella battaglia contro il coronavirus.
Maurizio Grossi
Presidente Omceo Rimini
23 marzo 2020
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