La cronicità al tempo del coronavirus
di Caudio Maffei
19 MAR -
Gentile Direttore,
la pandemia in atto (ancora non si sa per quanto) di COVID-19 sta ridefinendo i criteri con cui si programmerà in futuro la risposta ai problemi di salute della popolazione. Essendo in piena emergenza l’attenzione è ovviamente centrata su tutte le misure urgenti in grado di contrastare la diffusione del virus e a gestire i casi di malattia più gravi che necessitano di terapia intensiva. Emergono giustificati segnali nella direzione di ripensare ad esempio alla rete ospedaliera e a quella delle terapie intensive in particolare.
A questo riguardo emergono quasi come profetiche le
analisi riportate su QS qualche mese fa a proposito dello scarsissimo coinvolgimento dei privati nella rete dell’Emergenza-Urgenza.
La attuale emergenza non deve però spostare tra le “varie ed eventuali” la risposta strutturata di sistema alla cronicità che puoi vuol dire in pratica la declinazione a livello regionale e locale del piano Nazionale della Cronicità. I ritardi nella traduzione sul campo di questo Piano sono noti da tempo al punto che
venne a suo tempo istituita (stiamo parlando ormai di più di due anni fa) dal Ministero della Salute una apposita Cabina di Regia. Anche la pandemia in corso conferma la centralità della risposta alla cronicità, visto che è proprio tra i pazienti cronici che si concentra la grande maggioranza dei casi gravi e gravissimi.
Più di 3 anni fa uscì su Internazionale la traduzione di un articolo comparso sul
New Yorker di Atul Gawande che ricevette
una grande attenzione anche in Italia. In quell’articolo Gawande contrapponeva la medicina da lui definita incrementale alla medicina eroica. La medicina incrementale è quella che cerca piccoli guadagni nelle malattie croniche ed è prevalentemente centrata nelle cure primarie, mentre quella eroica è quella della risposta alle emergenze gravi con un forte ricorso alla tecnologia ed è prevalentemente centrata sugli ospedali. E quella incrementale oggi ha un maggior impatto in termini di salute rispetto a quella eroica.
Gawande concludeva così il suo articolo “Per questo dovremo scoprire l’eroismo della medicina incrementale: non solo aumentare gli sforzi per garantire che tutti abbiamo un’assicurazione sanitaria, ma an- che accelerare il lavoro cominciato con l’Obamacare e cambiare il modo in cui spendiamo per l’assistenza e la gestiamo. Ma la decisione fondamentale che dobbiamo prendere riguarda cosa è giusto e cosa è sbagliato. Possiamo rinunciare a una serie di priorità superate e spostare l’attenzione dalla medicina eroica a quella che si occupa delle persone per tutta la vita, oppure possiamo lasciare che milioni di esseri umani sofrano e muoiano a causa di malattie che sono sempre più prevedibili e curabili. Non è solo una scelta politica, è un’emergenza medica.”
Il messaggio che sommessamente vorrei mandare è che le vicende di queste settimane insegnano che di tutte e due le medicine (incrementale ed eroica) c’è un grande bisogno e per questo oggi la risposta alla cronicità è altrettanto se non addirittura più importante di qualche mese fa. Ricordiamocelo quando ridefiniremo l’agenda della nostra sanità alla luce delle drammatiche vicende di questo periodo.
Ma segnali confortanti vengono ancora una volta da chi lavora sul campo. È di alcuni giorni fa, ad esempio, la
notizia della iniziativa del centro servizi ASST di Cremona che “non molla i quasi 600 pazienti che hanno patologie croniche arruolati per la presa in carico. Dal 28 febbraio scorso gli operatori del Centro Servizi dell’ASST di Cremona hanno contattato e stanno contattando queste persone per accertarsi del loro stato di salute, per informarli delle misure di protezione emesse dal Ministero della Salute in tema di coronavirus”. Mi pare nella sua semplicità la dimostrazione di come attenzione alla cronicità e risposta alla emergenza infettiva abbiano obiettivi coincidenti e meritino entrambe attenzione (ed investimenti).
Claudio Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on
19 marzo 2020
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