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La mobilità sanitaria “di confine”

di Claudio Maffei

28 GEN - Gentile Direttore,
nella interessante analisi del fenomeno della mobilità sanitaria letta sulla base delle SDO 2018 vi sono  diversi spunti da riprendere. Ancor prima vale la pena di fare un chiarimento sul confronto che si è cercato di fare tra dati economici e flussi di mobilità 2018. Per i dati economici si è fatto riferimento al riparto del Fondo Sanitario 2018, riparto che utilizza i dati economici degli scambi di  mobilità di due anni prima.
 
I dati economici riportati nella citata tabella riguardano poi i valori relativi alla mobilità per tutte le tipologie di prestazioni e sono influenzati da una serie di conguagli su cui è meglio non entrare in merito a causa della loro complessità.
 
In realtà il valore degli scambi in mobilità per i soli ricoveri nel 2016 è stato dunque più basso. Ma il quadro rappresentato nella parte economica della tabella è comunque coerente con quello che emerge dall’analisi dei flussi di mobilità in termini di numero di ricoveri.
 
Dalla analisi di QS emerge una prevalenza della mobilità di confine che viene definita “abbastanza fisiologica”. Vorrei ragionare proprio sulla natura degli scambi di mobilità di confine per arrivare a sostenere che questa mobilità dal peso assai rilevante va governata più di quanto non avvenga oggi.
 
I dati del rapporto SDO del Ministero non consentono una analisi fondamentale per ragionare sul fenomeno della mobilità: il suo andamento per tipologia di erogatore, pubblico o privato. Ho già avuto modo di recente di ricordare che esiste una sproporzione tra peso della mobilità attiva nella casistica delle strutture private rispetto a quello delle strutture pubbliche.
 
Nel periodo 2013-2015 la mobilità attiva per i ricoveri degli ospedali pubblici è più o meno rimasta la stessa (1,45 miliardi di euro nel 2013 e 1,426 miliardi di euro nel 2015), mentre quella del privato è passata da 1,295 miliardi del 2013 al 1,432 miliardi del 2015. Quindi nel 2015 (ultimo anno per cui si dispone di un dato ufficiale di questo tipo) il valore della mobilità attiva dei circa 40 mila posti letto ha raggiunto e superato quella dei 150.000 posti letto degli ospedali pubblici (il dato sui posti letto viene dall’ Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale, dati 2017).
 
Il forte ed in continuo aumento del peso delle strutture  private nei flussi di mobilità (contestualmente alla riduzione della produzione di mobilità attiva degli ospedali pubblici)  per l’attività di ricovero non trova adeguato governo da parte delle Regioni  “di appartenenza” di quelle strutture tanto che in sede di riparto annuale del Fondo si procede ormai da alcuni anni ad un abbattimento d’ufficio degli incrementi di produzione di ricoveri in mobilità attiva del provato rispetto all’anno precedente.
 
Gli abbattimenti vengono fatti indipendentemente dal tipo diricovero, se di alta complessità o meno, e riguardano gli scambi di mobilità di due anni prima (in pratica gli ultimi disponibili in forma consolidata). Ad esempio, nel riparto 2019 sono stati effettuati abbattimenti per un totale di circa 35 milioni di euro a carico di alcune Regioni ed a vantaggio di tutte le altre. Buona parte di questi incrementi sono ovviamente relativi a scambi tra Regioni confinanti, scambi in cui tipicamente il ruolo del privato cresce proporzionalmente ancor di più.
 
Usare questo strumento dei tagli “lineari” (indipendentemente cioè dal livello di complessità della casistica in gioco) ex-post degli incrementi della mobilità attiva dei privati espone a diversi rischi:
1. ridurre l’offerta a disposizione del cittadino in settori in cui le Regioni con mobilità passiva non coprono i bisogni della popolazione residente;
 
2. far pagare al sistema pubblico gli abbattimenti effettuati sulla produzione del proprio privato nel caso che gli accordi con lo stesso sottoscritti non prevano l’eventualità dell’abbattimento stesso (con questo meccanismo le Marche si sono fatte carico col riparto 2019 di 5 milioni di mobilità attiva del proprio privato, cosa abbastanza strana per una Regione con un saldo di mobilità passivo).
 
I rimedi a questi abbattimenti e, più in generale, all’incremento non governato dei flussi di mobilità attiva del privato (il pubblico si regola, o meglio è costretto a regolarsi, da solo visti i tetti sul personale e tutti gli altri vincoli) ci sono  e cioè mettere nei budget dei privati vincoli anche alla produzione in mobilità attiva e sottoscrivere quegli Accordi di Confine continuamente evocati nelle varie edizioni del  Nuovo Patto per la Salute (compreso l’ultimo) e resi operativi solo da alcune Regioni.
 
In questo modo si potrebbe inserire sia in sede di budget che di accordo di confine le tipologie di casistica in mobilità attiva da ridurre (quelle di bassa complessità e/o a rischio di inappropriatezza) e quelle  “fuori tetto” e cioè in primis quelle di alta complessità. In sostanza la committenza orientata deve sostituire anche in sede di scambi di mobilità la logica della “briglia sciolta” (che è prevalsa per molto tempo) o quella della imposizione di tetti “lineari. Se si fanno  queste cose  la mobilità di confine da “abbastanza” fisiologica potrebbe diventare “quasi del tutto” fisiologica. Il che sarebbe un bel passo in avanti.
 
Claudio Maffei
Coordinatore scientifico di Chronic-on
 
 
 
 

28 gennaio 2020
© Riproduzione riservata

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