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Ma le visite fiscali sono davvero utili per combattere l’assenteismo?

di Piercarlo Rizzi

16 GEN - Gentile Direttore,
la lettura del recente articolo sulla reperibilità in caso di assenza per malattia mi ha esortato a redigere questa nota. La norma sulle visite di controllo sui lavoratori assenti per malattia (visita fiscale) è stata implementata a decorrere dall’anno 1983 (D.L. 463/12.09.1983 conv. con L. 638/11.11.1983) con l’intento, successivamente esplicitamente dichiarato, di contrastare e prevenire l’assenteismo.
 
È con il D.M. Funzione Pubblica n.206 del 18.12.2009, che venne introdotta la previsione delle “Esclusioni dall'obbligo di reperibilità” per «…i dipendenti per i quali l'assenza è etiologicamente riconducibile ad una delle seguenti circostanze:
a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
b) infortuni sul lavoro;
c) malattie per le quali è stata riconosciuta la causa di servizio;
d) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta.».
 
Al fine di chiarire la disposizione, il Dipartimento della Funzione Pubblica fornì il “Parere n.2 del 15.3.2010” (Oggetto: “decreto 18 dicembre 2009, n. 206. Quesito sull'obbligatorietà delle visite fiscali in caso di esenzione dalla reperibilità del dipendente”), precisando che l'introduzione in via regolamentare di fattispecie di esenzione dalla reperibilità non può non influire sull'obbligo per l'amministrazione di richiedere la visita fiscale, per la necessità di evitare attività amministrativa inefficace con il rischio di un esborso ingiustificato.
 
La pur condivisibile affermazione impone, peraltro, specifica riflessione, elettivamente considerando le fattispecie sub c) e sub d), relative a malattie riconducibili a patologia riconosciuta dipendente da “causa di servizio” oppure a “stati patologici sottesi o connessi a situazione di invalidità riconosciuta” (si consideri che in quell’epoca il Ministero non indicò valori “soglia” del grado minimo di invalidità per Causa di Servizio o Invalidità civile o altra tipologia, da cui il lavoratore dovesse essere affetto, ciò estendendo considerevolmente la platea dei possibili beneficiari).
 
In ambedue queste fattispecie, infatti, ci si trova di fronte a lavoratori affetti da patologia cronica/invalidante, come tale riconosciuta da specifica Commissione (Commissione Medica Ospedaliera o Commissione Invalidi Civili o altro).
 
Ebbene, a fronte di una patologia cronica, l’esenzione potrebbe esortare il lavoratore invalido (soprattutto se tendente a comportamenti/propensione ad assentarsi per malattia) a ritenere, erroneamente, che patologie permanenti/invalidanti, possano consentire di assentarsi dal servizio “ad libitum”, senza trattenute stipendiali e con la garanzia di restare esclusi dalla verifica fiscale.
 
Del resto, è solo la “riacutizzazione” di una patologia cronica / invalidante, a generare stati di temporanea inidoneità assoluta al lavoro. Stato di acuzie che dovrebbe imporre al dipendente la degenza nella propria abitazione.
Se così non fosse, e l’infermità cronica inducesse inidoneità assoluta al lavoro, questa dovrebbe considerarsi permanente e, come tale, comportare coerenti giudizi medico legali in termini di inidoneità permanente al lavoro.
 
È quindi la necessità di accertare l’effettività della riacutizzazione ovvero l’insorgenza di patologia riconducibile a quella cronica invalidante, a motivare la necessità di espletare visita di controllo.
 
È possibile ascrivere all’introduzione delle “Esclusioni dall'obbligo di reperibilità” ed al successivo “Parere” il radicamento, nei lavoratori e nelle amministrazioni, del convincimento che in quei casi si dovesse omettere di predisporre l’espletamento di visita fiscale.
 
Modificando il preesistente regime, con il “Regolamento recante modalità per lo svolgimento delle visite fiscali e per l'accertamento delle assenze dal servizio per malattia, nonché l'individuazione delle fasce orarie di reperibilità, ai sensi dell'articolo 55-septies, comma 5-bis, del DLgs 165/30.3.2001” (D.M. Funzione Pubblica n. 206 del 17.10.2017), all’art. 4, è stato definito che restano esclusi dall'obbligo di rispettare le fasce di reperibilità di cui all’art. 3 i dipendenti per i quali l'assenza è riconducibile ad una delle seguenti condizioni:
a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
b) causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all'ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata al dPR n.834/30.12.1981, ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto;
c) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%.
 
È stata così definita una “soglia” minima di invalidità per Causa di Servizio o altro, da cui il lavoratore dev’essere affetto per usufruire del diritto all’esenzione.
 
La novella, comunque, non modifica la prospettata problematica relativa al carattere di acuzie della patologia per giustificare la temporanea astensione dal lavoro e, quindi, non solo a motivare l’accertamento, ma anche l’obbligo di reperibilità al domicilio (salvo comprovata, inderogabile necessità di allontanamento).
 
Sono queste le ragioni per cui ritengo che la problematica non debba limitarsi all’espletabilità o meno della visita fiscale, ma alla previsione di esonerare alcuni lavoratori dall’obbligo di reperibilità al proprio domicilio.
 
Ulteriormente, ritengo che sarebbe utile avviare seria discussione, basata su dati precisi, sull’effettiva valenza dell’istituto “visite fiscali” per contrastare e prevenire l’assenteismo, a fronte degli oneri economici per effettuarle, magari privilegiando l’adozione di misure contrattuali che incentivino la presenza in servizio dei lavoratori.
 
Piercarlo Rizzi
Medico Legale
 

16 gennaio 2020
© Riproduzione riservata

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