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Accreditamento scuole di specializzazione: il caso de L’Aquila

di Pierino Di Silverio e Massimo Minerva

17 SET - Gentile direttore,
in seguito all’emanazione del D.I. n. 402/2017 sulla definizione degli standard, dei requisiti e degli indicatori di attività formativa e assistenziale delle Scuole di specializzazione di area sanitaria ai sensi dell’art. 3, comma 3, del D.I. n. 68/2015, l’Osservatorio Nazionale della Formazione Medica, organismo di controllo e vigilanza degli standard qualitativi della formazione medica in Italia, avrebbe dovuto provvedere ad effettuare accurate verifiche.
 
Dalle nostre verifiche sono emersi dati allarmanti. Continuano ad essere accreditate scuole senza requisiti. Le situazioni più eclatanti sono due scuole di Ginecologia ed Ostetricia (Campus e Tor Vergata di Roma) la cui sede è senza sale parto e due Medicine di emergenza e urgenza (Federico II e Vanvitelli di Napoli) senza Pronto Soccorso.

Siamo abituati a vedere il bicchiere mezzo pieno, quindi il dato positivo è che, dopo il silenzio degli scorsi anni, seguito alle diverse richieste sull’inadeguatezza di diverse scuole di specializzazione, finalmente qualcosa si muove. Il primo risultato è che diverse scuole di specializzazione, per l’anno accademico 2018/2019 non hanno richiesto l’accreditamento ‘accontentandosi’ di restare come strutture di rete formativa. Ciò però significa semplicemente che non hanno l’accreditamento come sede di scuola.

Altre sono state invece ‘bocciate’ per assenza di requisiti.

Purtroppo i seppur lodevoli movimenti elefantiaci del controllo universitario non hanno però sortito, fino ad oggi, effetti omogenei sul territorio e soprattutto alcuni atenei sembra non abbiano appreso quanto specificato dal MIUR.

Emerge inoltre un serio problema: le scuole che non hanno ricevuto o non hanno richiesto l’accreditamento per il nuovo anno accademico continuano ad avere iscritti al loro interno medici in formazione che hanno il diritto di continuare e completare il proprio iter formativo. Ma hanno anche il diritto, se lo desiderano, di avere il nulla osta per il trasferimento in sedi diverse da quelle che non hanno i requisiti minimi per erogare formazione.
Per risolvere questo kafkiano problema, derivante dall’assenza di controlli che si è perpetrata per anni, intervengono il MIUR e la CRUI.
 
Il MIUR specifica che non esistono scuole aggregate. La CRUI (Conferenza Rettori Universitari italiani) decide all’unanimità che i nulla osta per i trasferimenti devono essere rilasciati “anche per gli iscritti alle scuole che per l’a.a. 2018-2019 non abbiano presentato richiesta di accreditamento”.
Insomma una decisione che sentiamo di condividere, ovvero tutti i medici in formazione che risultano iscritti a scuole non idonee hanno il diritto di essere trasferiti in scuole che tali requisiti hanno dimostrato di possederli.

Talmente elementare che sembra quasi superfluo parlarne. Ma siamo in Italia, e come sempre il superfluo diviene paradossalmente difficile. Ad alcune Università, infatti, sembrano non bastare i decreti e le decisioni di organismi in cui sono rappresentati, per riconoscere i diritti degli specializzandi.  E quindi decidono di negare l’esercizio di tali diritti.
 
Un esempio è l’Università de L’Aquila.
Un anno fa il Rettore sosteneva che “le scuole di specializzazione in Medicina de L'Aquila non saranno chiuse, ma condivise grazie ad un accordo inter-ateneo fra le università de L'Aquila e Chieti. Non c' è, dunque, secondo il Magnifico Rettore, un caso chiusura della scuola di Pediatria de L'Aquila.”.
Gli specializzandi di pediatria di detto Ateneo, nel contempo sono andati avanti per vie legali, impugnando la decisione dell’Università davanti al TAR e recentemente hanno avuto anche ‘stranamente’ ragione. Chiedevano semplicemente la possibilità di trasferirsi presso Atenei che avessero scuole ‘in regola’.

L’Università ha dovuto riconoscere i loro diritti, ovviamente sprecando denaro pubblico. Tale problematica riguarda diverse scuole di specialità e sembra che gli atteggiamenti ostativi di alcuni atenei stiano proliferando. Al netto delle riflessioni etiche e professionali che dovrebbero seguire a tali incresciosi episodi, sentiamo di esprimere profondo rammarico per come, in alcuni casi, si anteponga alle necessità di formare professionisti della salute di qualità, la necessità di mantenere intatte logiche di potere baronale controproducenti per il sistema e per i cittadini oltre che per i professionisti.

Nel caso dell’Università de L'Aquila, si consideri peraltro che essa non appare attrattiva nemmeno per gli aquilani.  Nel 2018 sono stati assegnati 90 contratti di specializzazione a medici iscritti all’Ordine di medici de L’Aquila. Solo 8 hanno deciso di rimanere nella loro città. Solo l’8,9% Per fare un paragone con altre città, dei 382 iscritti a Napoli, le università di Napoli sono state scelte da 269. Pari al 70,4%. E dei 206 di Bari, 104 si sono iscritti a Bari. Il 50,5%.

Nel frattempo l’Università de L'Aquila continua a perdere accreditamenti. Quest’anno non sono state accreditate chirurgia vascolare, ginecologia ed oncologia. Un elenco che tenderà a divenire sempre più lungo, e che non resterà caso isolato, soprattutto se le risorse economiche vengono drenate verso cause giudiziarie che vengono regolarmente perse.

Altri atenei stanno seguendo infatti l’esempio de L'Aquila.

È una spirale che necessita di essere fermata sul nascere prima che, ancora una volta, il sistema formativo italiano venga investito da scandali dei quali non solo i medici, ma anche i pazienti sono stanchi di sopportare. 


 
Pierino Di Silverio
Responsabile Nazionale Anaao Giovani
 
Massimo Minerva
Presidente Als (Associazione Liberi Specializzandi)

17 settembre 2019
© Riproduzione riservata

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