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La ‘storia infinita’ delle terapie intravitreali

di Alberto Piatti

02 SET - Gentile direttore,
le terapie delle maculopatie, da diversi anni, sono motivo di discussione sia fra i medici specialisti sia fra pazienti e utenti del Servizio Sanitario Nazionale.
La diffusione di questa patologia oculare è in forte aumento per l’aumentare della vita media della popolazione: rappresenta infatti una classica patologia dell’anziano, colpendo 1/3 delle persone over 75 anni, mentre nei giovani è praticamente assente. Anche se i pazienti affetti non sono in età lavorativa, si tratta comunque di persone, oggi di più rispetto al passato, ancora molto attive, che guidano l’auto, che leggono, che svolgono attività dove la vista è importante.

E’ generalmente noto che le terapie intravitreali (piccole iniezioni dentro l’occhio per dispensare direttamente il farmaco in prossimità della macula) approvate e disponibili sono costose (circa 600 euro per fiala) ed è esperienza clinica comune fra gli oculisti esperti in retina medica che non sono risolutive, nel senso di una guarigione intesa come restituito ad integrum, che vanno ripetute più volte per anno e per diversi anni.

Questi semplici concetti rendono conto di quanto espresso nel primo capoverso: i pazienti da seguire sono veramente tanti, le visite e gli esami diagnostici da effettuarsi altrettanto numerosi e per finire i costi per il SSN molto elevati. Molti maculopatici sono arrivati a fare 30 e più iniezioni per occhio in 4-5 anni per un costo complessivo per il SSN di 35-40 mila euro a persona. Nonostante gli oneri economici sostenuti, purtroppo molti subiscono importanti deficit visivi che limitano comunque la loro vita sociale.
 
La Letteratura scientifica ha prodotto in questi anni numerosi studi clinici , numerosi studi di real life, nonché Review della Letteratura esistente. Emerge in modo importante come la precocità nel porre la diagnosi, la tempestività nel trattamento e l’appropriatezza nel follow up del paziente siano requisiti fondamentali per limitare al massimo i danni funzionali al sistema visivo. Sui primi due aspetti conta molto l’informazione e il miglioramento della cultura sanitaria-oftalmologica nei pazienti a rischio , oltre che la capacità dei medici di famiglia di indirizzare correttamente i pazienti con sospetta sintomatologia.
 
Sull’appropriatezza del follow up il discorso è più complesso. Tutti i farmaci utilizzati necessitano di una iniziale fase di carico, normalmente di 3-5 iniezioni mensili, successivamente seguita da altre iniezioni. Secondo le indicazioni AIFA ( Agenzia Italiana per il Farmaco) le terapie di proseguimento andrebbero somministrate solo in presenza di un nuovo peggioramento della patologia documentato sia dal calo del visus sia dal peggioramento del quadro anatomico evidenziato dall’OCT ( Tomografia ottica computerizzata), altrimenti il paziente deve essere solo controllato periodicamente. Il medico oculista deve dunque visitare e rivalutare il paziente, compilare la scheda AIFA di rivalutazione ed inviarla sul portale dedicato ai Farmaci sottoposti a monitoraggio intensivo. L’oculista che effettua la rivalutazione deve appartenere alla struttura che esegue i trattamenti ed essere autorizzato dalla Direzione Sanitaria dell’Azienda Sanitaria.
 
Questo regime di trattamento viene definito PRN, cioè al bisogno, in quanto i ritrattamenti vengono fatti “ al bisogno”. E proprio sulle terapie di mantenimento che si aperto il caos perché non esistono linee di indirizzo univoche, la gestione del paziente viene fatta in modo vario e non esistono controlli né da parte di AIFA né da parte di molte Direzioni Sanitarie. Talora il paziente è seguito dal centro di riferimento ospedaliero, ma sovente l’ospedale terminate le terapie iniettive lascia il paziente nell’apparente libertà di scegliere dove e come fare il follow up e il paziente "saltella” fra poliambulatori ASL territoriali senza strumentazione e senza percorsi dedicati (per cui con tempi d’attesa inappropriati) o strutture private dove il follow up può essere anche molto oneroso e scoraggiare chi ha poca disponibilità economica.

Per migliorare l’approccio al follow up in questi ultimi anni è stato proposto un regime di trattamento definito Treat and Extend (TAE). Il TAE consiste nel trattare sempre il paziente almeno con frequenza bimestrale, anche se gli esami diagnostici e la funzione visiva sono stabili, con l’obiettivo di “prevenire” potenziali recidive. In questo modo il paziente viene riprogrammato ogni due mesi per la puntura (il periodo fra una puntura e l’altra si accorcia se il quadro clinico peggiora), sovente senza programmare controlli intermedi, con il consiglio di eseguirli, se possibile… Il regime TAE è riportato in scheda tecnica di alcuni farmaci ma non è previsto nella normativa AIFA per i farmaci sottoposti a monitoraggio intensivo, normativa in cui sono inseriti tutti i farmaci antiVEGF per la terapia della maculopatia umida. Questa discordanza non è poca cosa ! Infatti la normativa AIFA prevede sempre una rivalutazione del paziente dopo la fase di carico e in generale dopo ogni nuovo ciclo terapeutico, seguendo parametri funzionali ed anatomici precisi e solo se la rivalutazione da esito positivo il paziente prosegue i trattamenti.

Il regime TAE ha ridotto i controlli per le strutture ospedaliere, ma sta aumentando i costi per il SSN (si fanno più iniezioni perché le rivalutazioni non sono mai bloccanti) e sta trasformando il percorso di cura delle maculopatie in una sorta di catena di montaggio dove il rapporto medico-paziente è ridotto al minimo per dare spazio ad una diagnostica high tech che sovente non esplora gli aspetti funzionali (i decimi di vista recuperati o mantenuti…) ma solo quelli anatomici. Al recente congresso Retina in Progress ( Milano, maggio 2019), in un simposio organizzato da Goal (Gruppo Oculisti Ambulatoriali Liberi) su Umanesimo e Innovazione Tecnologica si è evidenziato come fare di più non vuol dire fare meglio e non sempre eccedere in quantità significa migliorare il risultato finale . La tendenza prevalente oggi è lamentarsi del gravoso peso che opprime le strutture ospedaliere perdendo di vista il rapporto di comunicazione medico – paziente perché tutto tende a farsi di fretta e il numero (la quantita di iniezioni) prevale sulla comunicazione e l’ascolto del paziente che magari ci vuole dire che non vede risultati da “ tutte ste punture”.

Recentemente la regione Lombardia con la DGR XI/1986 del 23 luglio 2019 ha abbassato la somma rimborsata per i farmaci utilizzati on label equiparandola al costo della preparazione galenica del farmaco Bevacizumab presso le farmacie ospedaliere. E’ una strada che seppur non in maniera così drastica viene suggerita anche da Direzioni di Sanità di altre regioni . E’ evidente come i costi per le terapie delle maculopatie stiano raggiungendo livelli di burn out. Non penso però che i provvedimenti restrittivi portino molto lontano, soprattutto quando limitano la libertà prescrittiva del medico, accentuandone la responsabilità e proponendo l’off label solo per ragioni economiche ( in realtà l’off label ha ben altre e nobili origini essendo nato per utilizzare farmaci innovativi…).

Goal propone invece di migliorare i regimi terapeutici attualmente in vigore , con accurata appropriatezza . Le strutture che effettuano terapia iniettiva dovrebbero dotarsi di percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali ( PDTA) che seguono il paziente dalla diagnosi precoce alle terapie e poi nel follow up. Il PDTA non può essere gestito solo da strutture ospedaliere, ma per quanto riguarda la diagnosi precoce e il follow up deve servirsi degli ambulatori di oculistica territoriali, i quali devono essere dotati di OCT entry level, almeno quelli dedicati al PDTA maculopatia. Non è un’operazione impossibile perché in alcune ASL italiane questi PDTA esistono da anni. I costi di noleggio di un OCT equivalgono a 2 iniezioni intravitreali al mese, ma quante terapie non appropriate si potrebbero risparmiare?

Negli ambulatori territoriali il rapporto medico-paziente è da sempre più sviluppato, la continuità terapeutica con un medico di fiducia è fondamentale in tutte le patologie croniche ed è esperienza comune di noi che lavoriamo sul territorio. Il medico rivalutatore, che decide il proseguimento della terapia, può essere tranquillamente un medico che opera sul territorio e che conosce il paziente nel suo complesso.

Sarebbe importante che AIFA facesse report annuali delle prescrizioni registrate sul portale dei Farmaci sottoposti a Monitoraggio e che le Direzioni di Sanità Regionali e le Direzioni Sanitarie di ASL/ASO facessero controlli su tutte le schede AIFA, soprattutto per quanto riguarda le prescrizioni off label ( presenza di tutta la documentazione clinica, della visità di valutazione, di eleggibilità, di rivalutazione).

Infine il regime Treat and Estend andrebbe riservato a casi particolari e limitati ( pazienti con ridotta compliance) soprattutto nell’attesa di avere conferme sulla sua efficacia clinica. Al momento disponiamo di studi clinici di non inferiorità rispetto al trattamento mensile, ma i follow up sono troppo brevi rispetto alla storia clinica della patologia .Quello che è certo è una maggior spesa sanitaria rispetto al PRN. Inoltre eticamente e clinicamente non è corretto trattare persone che non mostrano segni di attività della malattia solo per evitare recidive che probabilmente non ci saranno mai.

Le prospettive di miglioramento ci sono: sarebbe bello che la storia diventasse infinita non per le polemiche che genera , ma per gli anni di vista regalati ai nostri pazienti.

Alberto Piatti
Responsabile branca specialistica di oculistica ASL TO 5
Consigliere di Goal 


02 settembre 2019
© Riproduzione riservata

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