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L’omosessualità e il referto “choc” di un ospedale

di Mario Iannucci

15 LUG - Gentile Direttore,
debbo dire che sono sempre incuriosito dalla ricerca di notizie “choccanti” da parte dei giornalisti. La notizia “choccante”, questa volta, sarebbe questa: un signore, che si era presentato al Pronto Soccorso ospedaliero per un forte mal di testa, fra le altre notizie dell’anamnesi personale “fisiologica” (non “patologica”!) dichiara di essere omosessuale e di avere un compagno stabile, che è con lui in ospedale.
 
Il medico che lo accoglie in PS fa eseguire tutti gli accertamenti che, in quel momento, ritiene necessari e, prima che i risultati degli accertamenti ritornino, assegna il paziente a un reparto di malattie infettive.
 
C’è da presumere che lo faccia “precauzionalmente”, proprio per evitare di esporre a un indebito contagio altre persone (potrebbe addirittura trattarsi di una meningite diffusiva). Non ho alcun elemento per censurare professionalmente l’operato del Collega, il quale, se avesse operato il trasferimento nel reparto di malattie infettive (dove immagino che il paziente sia stato posto in condizioni di isolamento precauzionale e dove è sempre possibile effettuare, se ritenuta necessaria, una consulenza neurologica) per i suddetti motivi, dovrebbe ottenere il nostro plauso e non la nostra riprovazione.
 
Il medico del PS, però, al paziente e al suo compagno, appare come una persona che, anche se non scortese, non si nostra particolarmente gentile (non so davvero se il Collega in questione sia stato davvero poco gentile; ne conosco comunque una folla di Colleghi poco gentili; poco gentili con tutti!).
 
Questo viene immediatamente interpretato come un segno di illecita omofobia. Ma sulla base di quali elementi? Sulla base di una circostanza “choccante”: nella lettera di dimissioni del paziente quel Collega, nella parte relativa alle notizie anamnestiche, scrive che il paziente è omosessuale e che ha un compagno (notizie fornite dal paziente e anche dal compagno!). Così come, per un altro paziente, avrebbe potuto scrivere che era sposato e padre di due figli.
 
Se il paziente del PS dell’ospedale piemontese non avesse desiderato far conoscere ai sanitari la sua omosessualità, sarebbe stato sufficiente che la tacesse, ovvero che precisasse che non desiderava che tale notizia comparisse nei documenti clinici.
 
Se ne ha parlato è perché ha ritenuto importante farlo. Questa notizia anamnestica potrebbe fornire, come sanno tutti i medici (specie quelli gay o gay friendly, che lo hanno già sottolineato), taluni orientamenti diagnostici e impone al medico di fornire taluni consigli, ad esempio a proposito di profilassi vaccinali (ciò che il Collega piemontese ha fatto!).
 
La lettera di dimissioni di un paziente, inoltre, è un documento assolutamente riservato, che viene consegnato al paziente e solo a lui (o a una persona delegata per iscritto e con documento di identità).
 
Non capisco dunque il motivo per il quale una notizia anamnestica importante, scritta in un documento riservatissimo e divulgata solo dal paziente (anche se in forma anonima), debba essere ritenuta “choccante”.
L’esperienza mi ha insegnato che i consigli sono fatti per essere disattesi. Mi guarderei bene, dunque, dal consigliare al paziente piemontese di “fare coming out” piuttosto che di tenere “riservatissima” la notizia del suo orientamento sessuale di genere.
 
Però non riesco a tacere di fronte alla aggressività di chi strumentalizza talune notizie distorcendole, specie quando a farlo sono dei “professionisti della notizia”. Ciò che è davvero il modo per far apparire l’omosessualità una condizione “impresentabile”, quando è invece una delle condizioni dell’esistenza.
 
Dr. Mario Iannucci
Psichiatra psicoanalista
Esperto di Salute Mentale applicata al Diritto

15 luglio 2019
© Riproduzione riservata

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