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Quale welfare se i “super” ricchi non pagano le tasse che dovrebbero?

di Nick Sandro Miranda

15 LUG - Gentile Direttore,
desideravo esporle alcune considerazioni generali sulla sanità. Mentre in Italia c’è chi spinge verso il welfare sanitario capitalistico, non rammentando la fallimentare esperienza mutualistica ante 1978, negli Stati Uniti la senatrice Elizabeth Warren, economista e tra i candidati a rappresentare il partito democratico nelle prossime elezioni presidenziali, propone un programma elettorale articolato in vari punti fra i quali:
1. assistenza sanitaria pubblica in sostituzione di quella assicurativa/mutualistica;
2. super tassazione dei redditi più alti;
3. regolamentazione delle grandi aziende tecnologiche perché monopolistiche.
 
Il primo punto del programma propone un cambio epocale della gestione sanitaria statunitense perché, stando alle ultime indagini, il tema è quello che attualmente più importa agli elettori statunitensi. I dati dell’OCSE confermano la crisi sanitaria statunitense: la spesa sanitaria degli Stati Uniti è percentualmente sul PIL la più alta del mondo, con un impegno pro capite di $ 10.586, mentre quello italiano è di $ 3.428.
 
Ciò nonostante, l’aspettativa di vita negli USA è tra le più basse dei paesi OCSE, quella italiana fra le più alte, cambia poco se al 3° o 4°posto.  C’è da far notare che negli USA si è pienamente concretizzato il concetto di controproduttività strutturale di Ivan Illich.
 
Il secondo e terzo punto del programma elettorale della Warren rappresentano la strada per risolvere i problemi economici confutando le affermazioni di coloro che ci ripetono “non ce lo possiamo più permettere”. Dagli anni ottanta, nella gran parte dei paesi del mondo, si è gradualmente ridotto il contributo fiscale dei redditi più alti. Ad esempio in Gran Bretagna passando dall’83% fino al 40%, negli USA dal 70% fino al 28%.
 
Ne è conseguito che da allora la quota di reddito dell’1% più ricco si è più che raddoppiata e che le diseguaglianze siano ritornate al livello dei primi del ‘900, così com’è stato dimostrato dall’economista Thomas Piketty. Non a caso il miliardario Warren Buffet, circa 10 anni fa, ha potuto dichiarare: “Negli ultimi vent’anni si è combattuta una guerra di classe e la mia classe ha vinto.”
 
Oltre alla riduzione del prelievo fiscale dell’élite, è avvenuto anche un altro fenomeno che riduce in maniera impressionante la consistenza delle casse degli stati e conseguentemente la possibilità di garantire la tenuta del welfare di stato e contrastare le diseguaglianze: l’elusione fiscale.
 
Fra i tanti numeri disponibili, vediamone alcuni esemplificativi:
- Facebook, ricavi di 1,3 miliardi di sterline a fronte d’appena 7,4 milioni di sterline d’imposte nel Regno Unito nel 2017;
- Amazon, ricavi di 21,6 miliardi, imposte 16,5 milioni in Lussemburgo nel 2017 (un comune mortale su questo introito pagherebbe circa 6-8 miliardi di tasse);
- nel 2015 in Europa con la pratica dell’elusione sottratti al fisco 50-70 miliardi;
- Apple detiene 250 miliardi di dollari nei paradisi fiscali;
- 8.000 miliardi di dollari parcheggiati nei paradisi fiscali.
 
Per quanto riguarda l’Italia, è esemplificativa la vicenda di Fiat-Chrysler: il trasferimento della sua sede fiscale a Londra e della sede legale e fiscale in Olanda della società controllante comporta un dumping fiscale di 500 miliardi di dollari e un danno per l’Italia di 5-8 miliardi.
Come si può notare, non si tratta di bruscolini ma di cifre da manovra finanziaria.
Uno studio del Financial Times ha evidenziato che gli sforzi dei governi per ridurre e riformare i sistemi fiscali non hanno coinvolto le grandi aziende le cui aliquote sono più basse rispetto a prima della crisi, mentre aumentano le imposte su consumatori e lavoratori.
 
Tutte queste notizie sono note da tempo. Nel 2011 uno studio pubblicato su New Scientist,
esente da teorie complottistiche, speculazioni o pregiudizi ideologici perché basato sull’analisi di dati statistici, evidenziava come un piccolo nucleo di aziende, banche e multinazionali fossero in grado di controllare il 40% del potere finanziario.
 
Concludendo, mass media e politica si occupano di dare la caccia ai topolini mentre abbiamo un elefante nella stanza e non si intravede all’orizzonte una politica illuminata che sappia affrontarlo. Magari si potrebbe cominciare eliminando i paradisi fiscali presenti nella comunità europea, così come recentemente dichiarato da David Sassoli, neo Presidente del Parlamento Europeo.
 
Farlo risolverebbe tanti problemi (welfare di stato, opportunità di lavoro, diseguaglianze) e non staremmo a disquisire sulla (illusoria) capacità salvifica della sanità integrativa/sostitutiva dei terzi paganti, che per altro adottano su scala ridotta lo stesso genere di iniquità, destinando a componenti già avvantaggiati della società benefici fiscali ricavati dai contributi di tutti.
 
Nick Sandro Miranda

15 luglio 2019
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