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Dat. Ecco perché serve più informazione

di Marco Alfredo Arcidiacono

24 APR - Gentile Direttore,
devo ringraziare l’onorevole Donata Lenzi (vedi la sua lettera "Dat, eppur si muovono..."), per la risposta e l’attenzione, un momento questo che ci permette, appunto, di parlare del testamento biologico. Devo però mettere subito in chiaro che non ho accusato e non accuso nessuno, come ho anticipato nella mia prima lettera.
 
Posso solo immaginare le difficoltà incontrate nell’affrontare il percorso di approvazione della legge, di cui la deputata Lenzi va ringraziata. C’è finalmente una legge su un argomento così importante che prima non c’era. 
 
Il mio punto di vista è frutto di quanto mi trovo di fronte ogni giorno, nel mio lavoro come infermiere del reparto Oncologico all’ospedale Maggiore di Parma e Professore a contratto con l’Università di Parma nel corso di Infermieristica. Si va ad aggiungere a quanto emerso nel corso di un recente convegno sul tema, a cui hanno partecipato due importanti medici. 
 
Il cortocircuito è emerso in quell’occasione. Il giuramento di Ippocrate e la legge 219 sulle disposizioni anticipate di trattamento possono entrare in contrapposizione. Non è mio compito e nemmeno nelle mie facoltà difendere i medici ma, come sistema sanitario, qualche interrogativo dobbiamo porcelo. 
 
Le Dat sono uno strumento giuridico, espressione di una legge che a sua volta è una cosa “fredda”, mi si permetta il termine. Ma il fine vita è un momento molto particolare e imprevedibile. A volte è bastato un viaggio in barella da un piano all’altro, un attimo prima c’era una persona e subito dopo non c’era più. Altre volte, invece, si è di fronte a persone che soffrono, in cui l’umana esistenza perde di significato.
 
Più che sulla legge mi concentrerei, come ho fatto nel mio intervento iniziale, sulla scarsa conoscenza del pubblico, dei pazienti, delle persone. In Italia - dicono le statistiche - sono state depositate solo 40mila Dat su una popolazione vicina ai 60 milioni. In un paese della provincia di Parma con popolazione di poco al di sotto dei 15mila abitanti sono state depositate 47 Dat. L’applicazione della legge è agli inizi, occorre tempo e sensibilizzazione verso tutti, non solo verso gli anziani o chi si avvicina al fine vita. 
 
Lungi da me l’idea di insegnare alle Regioni quel che devono fare. Come dice la deputata Lenzi si deve arrivare agli addetti ai lavori come al pubblico.
 
Mi permetto di essere la cartina tornasole affermando che la situazione per il pubblico è ancora tutt’altro che chiara. Lo si capisce anche dal ventaglio di opportunità offerte dalla legge sulle registrazioni.
 
Proprio perché si tratta di uno strumento molto complesso dalle mille possibilità, che può essere facilmente influenzato dalle scoperte scientifiche e tecnologiche, dal sentimento della comunità e da mille altri fattori, si devono far conoscere al pubblico le prospettive, le possibilità che gli si offrono. Non si tratta di un semplice consenso alla rianimazione o meno.
 
Per tutti questi motivi la campagna informativa deve, a mio parere, provenire da un sistema Sanità. Occorre uniformità, non si possono creare differenze fra ospedali o strutture, per esempio quelle al confine di regione. 
 
Non intendo nemmeno intervenire sulla legge, non è mia intenzione e nemmeno mio compito ma semplicemente essere parte di quel sistema Sanità. Ho messo e metto il mio spirito critico e la mia visione a disposizione del sistema. Facciamolo, insieme.
 
Ecco perché mi sono permesso di dire che c’è ancora molto da fare, le Dat sono state create ma in pochi le utilizzano, in pochi se ne sono accorti.
 
Marco Alfredo Arcidiacono
Infermiere, Ospedale Maggiore di Parma e professore a contratto, Università di Parma corso di  Laurea in Infermieristica

24 aprile 2019
© Riproduzione riservata

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