Rete oncologica. Coinvolgere anche il Terzo settore
di Raffaella Pannuti (Presidente ANT)
19 APR -
Gentile direttore,
ho letto con interesse la notizia sulla revisione delle
linee di indirizzo per l’organizzazione della Rete oncologica. Nel documento sono fissati alcuni punti fondamentali sull’integrazione tra ospedale e territorio e sulla definizione di reti oncologiche regionali, ma ritengo che, per passare dalle buone intenzioni a soluzioni concrete che vadano incontro ai bisogni dei pazienti oncologici, sia necessario un cambio di passo più deciso.
Mi riferisco in particolare alle cure palliative, tema che sta a cuore a Fondazione ANT che rappresento e che assiste gratuitamente ogni anno in 11 regioni italiane 9.200 pazienti oncologici a domicilio.
Dispiace notare l’assenza, all’interno del gruppo di lavoro sulla Rete oncologica, delle realtà del non profit che si occupano di cure palliative che in Italia hanno un ruolo importante per garantire l’assistenza ai pazienti oncologici in fase avanzata e avanzatissima.
Mi sembra sbagliato e controproducente relegare il Terzo settore a un ruolo secondario soprattutto alla luce del fatto che ancora oggi la disponibilità di queste cure (a domicilio e in hospice) non è garantita in modo omogeneo sul territorio italiano e ne rimane escluso almeno il 70% dei pazienti oncologici italiani (dati dal Rapporto del Ministero della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 38 del 15 marzo 2010
“Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” – 2015-2017).
Perché quindi non coinvolgere maggiormente il Terzo Settore che già oggi riesce a dare un apporto qualificato e specifico in questo ambito? Gli esempi virtuosi di collaborazione tra la sanità pubblica e le realtà non profit non mancano. Fondazione ANT ha attivato collaborazioni con Aziende Sanitarie Locali di diverse regioni grazie alle quali i pazienti in fase avanzata e avanzatissima possono essere assistiti a domicilio dalle équipe multidisciplinari ANT (medici, infermieri, psicologi, OSS).
La collaborazione è particolarmente consolidata nella realtà di Bologna, da cui ANT è partita operativamente nel 1985 e dove oggi riesce ad assistere oltre 1.300 pazienti al giorno.
In base alla mia esperienza l’integrazione tra sanità pubblica e Terzo settore è un punto di forza che merita attenzione e che offre potenzialità vaste per offrire un’assistenza sempre migliore ai sofferenti cronici in fase avanzata e avanzatissima, anche in termini di qualità della vita.
Un altro punto debole della sanità oggi è la carenza di medici. I dati sull’esiguità di medici non lasciano scampo e, in particolare in ambito oncologico, renderanno difficile l’applicazione in futuro di molte delle iniziative e dei progetti contenuti nel documento sulla riorganizzazione della Rete Oncologica. Come si potrà garantire in futuro la giusta e virtuosa collaborazione tra tutte le figure mediche coinvolte nei piani di assistenza e terapia dei malati oncologici se mancheranno per esempio i medici di base e gli specialisti, tra cui i medici palliativisti?
Le soluzioni non sono semplici né immediate. Ritengo che si debba subito rendere più facile l’accesso dei giovani laureati alle scuole di specializzazione cui accede ogni anno meno della metà dei candidati.
Inoltre penso sia necessario rivedere i modelli organizzativi della Sanità e in particolare nelle cure palliative, modificando necessariamente il rapporto medico-infermiere per garantire già da subito un coefficiente di intensità assistenziale adeguato ai bisogni del sofferente in fase avanzata e avanzatissima.
In questo contesto torno a sottolineare la necessità di valorizzare i punti di forza esistenti nella realtà italiana come il Terzo Settore e la sua disponibilità a lavorare con le Istituzioni.
Raffaella Pannuti
Presidente Fondazione ANT Italia ONLUS
19 aprile 2019
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